Finanza / Attualità
Chi supporta finanziariamente la distruzione di Lützerath per mano della RWE
La piattaforma Reclaim finance ha messo in fila i principali finanziatori e azionisti del colosso tedesco del carbone, protagonista della recente e contestata espansione della miniera di lignite Garzweiler II. Coinvolte anche le due banche italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit. Una vicenda che mostra l’ipocrisia della “finanza sostenibile”
Come noto la RWE, la più grande azienda europea nel campo del carbone con 63 milioni di tonnellate estratte solo nel 2022, sta demolendo il villaggio di Lützerath nella Germania Occidentale a favore dell’espansione della sua miniera di lignite, Garzweiler II. Un’espansione ai danni del clima e dei diritti umani, come ha raccontato ReCommon su Altreconomia già lo scorso dicembre. A fine gennaio di quest’anno, a pochi giorni dalla repressione delle proteste dei movimenti e delle organizzazioni per il clima, la piattaforma Reclaim finance che si batte per una finanza a sostegno della transizione ecologica ha elencato nome per nome i più importanti operatori finanziari in qualche modo legati a RWE, tra cui le banche italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit, che hanno garantito all’azienda rispettivamente 299 e 247 milioni di dollari tra gennaio e agosto 2022. Altri operatori hanno già escluso l’azienda tedesca proprio per la sua mancata uscita dal carbone, tra cui il colosso assicurativo francese AXA che nel 2017 ha disinvestito e nel 2019 l’ha esclusa dai suoi portafogli dopo un aggiornamento delle politiche di due diligence. “L’elenco dei finanziatori e degli investitori di RWE è interessante perché, ad eccezione di pochi come Vanguard e JP Morgan America, la maggior parte ha adottato politiche per limitare il proprio sostegno al carbone. Sarebbe logico aspettarsi che un gigante dell’energia fossile come RWE venga escluso -annotano i ricercatori di Reclaim finance-. Ma non è questo il caso. Il motivo è che le loro politiche sono notoriamente inadeguate o piene di vie di fuga”.
Lo scorso 14 gennaio più di 35mila attivisti per il clima si sono radunati presso il villaggio di Lützerath, nello Stato tedesco della Renania Settentrionale-Vestfalia, per protestare contro l’espansione della miniera di lignite, una superficie di 35 chilometri quadrati e che ha già inglobato nella sua espansione 13 villaggi. “Gli attivisti hanno cercato di difendere il villaggio per anni, sostenendo che l’espansione del carbone non è compatibile con gli impegni della Germania sul clima. Non solo la lignite nella miniera è la forma più sporca di carbone, ma il carbone stesso è il combustibile fossile più inquinante. La miniera non ha senso per il clima ed è indifendibile –ha commentato il 17 gennaio Andy Rowell giornalista e ricercatore di Oil change international, organizzazione di ricerca, comunicazione e advocacy focalizzata sull’esposizione dei costi dei combustibili fossili e sull’agevolazione della transizione verso l’energia pulita-. Ma ancora lo Stato tedesco difende l’indifendibile. E il 14 e il 15 gennaio scorso ha usato la forza bruta per farlo. La polizia ha usato la forza schiacciante e la violenza contro i manifestanti, con circa 20 persone ferite e portate in ospedale”.
Lo strapotere di RWE non sarebbe stato tale senza un sostegno da parte di banche, istituti di credito e investitori. Più di 20 banche internazionali hanno partecipato ad almeno uno dei due prestiti concessi a RWE tra marzo e aprile 2022 per un totale di cinque miliardi di euro. Reclaim finance ha stilato un elenco delle principali banche che hanno finanziato il gigante tedesco del carbone, tra cui figurano la tedesca Commerzbank, il principale finanziatore con 849 milioni di dollari, seguita dalla francese Société générale per 459 milioni e dall’istituto di credito giapponese MUFG. Intesa Sanpaolo si piazza al quinto posto con 299 milioni di dollari mentre UniCredit raggiunge la settima posizione con 247 milioni. Una seconda parte dell’analisi di Reclaim finance riguarda gli azionisti di RWE. Tra questi primeggia BlackRock con circa 1,8 miliardi di euro di quote. Seguono KEB per 1,342 miliardi e la statunitense Vanguard per un miliardo di investimenti oltre alla francese Crédit agricole/Amundi con più di 900 milioni.
L’analisi della Ong francese continua esaminando i motivi per i quali, nonostante quasi tutti gli attori coinvolti abbiano sottoscritto delle due diligence che escluderebbero o limiterebbero gli investimenti nel settore del carbone, questi siano ancora coinvolti per decine o centinaia di milioni di euro in una delle aziende energetiche più inquinanti d’Europa, che produce il 32% dell’energia e il 22% dei suoi ricavi dal carbone. È un terreno pieno di buchi. Un primo problema è dato dall’ampiezza limitata dei provvedimenti di due diligence, come quelle del MUFG e di SMBC, che riguardano solo il finanziamento diretto di progetti ma non quello generale alle imprese e che invece rappresenta il maggior flusso finanziario verso attività insostenibili. Tra cui rientra RWE. Altre volte le politiche si limitano a escludere solamente le aziende i cui profitti nel campo del carbone superano una certa percentuale. Soglie che spesso sono talmente alte da poter permettere l’inserimento di un’azienda che ricava il 22% del fatturato da questo combustibile. È il caso di Deutsche Bank e JPMorgan Chase che hanno imposto la soglia al valore del 50%. Anche se alcune banche adottano criteri che escluderebbero RWE, questi si applicano solamente ai nuovi clienti e quindi non riguardano l’azienda tedesca che risulta una storica affiliata di molti di questi istituti. Infine, la banca può semplicemente adottare delle “eccezioni su misura” per continuare a investire in aziende e in attività non consone alle proprie politiche sul clima. Ad avere applicato queste “eccezioni” è la banca svedese Seb, che dovrebbe escludere le attività in cui il carbone ricopre più del 15% del mix energetico, ma applica esenzioni alle società che operano in Germania. La stessa strategia è stata utilizzata da UniCredit per giustificare il suo coinvolgimento in RWE per il 2022. Altri istituti, che sulla carta applicano soglie molto rigorose, finiscono per accettare di finanziare le aziende che presentano “una strategia di diversificazione” o con “un piano di transizione in linea con l’Accordo di Parigi sul clima”. RWE rientra in queste categorie in quanto secondo Reclaim finance “starebbe investendo la maggior parte del proprio capitale in energie rinnovabili”. Di fatto si sta premiando il greenwashing delle aziende fossili.
“Così i grandi operatori finanziari possono affermare di sostenere sia l’uscita dal carbone sia lo sviluppo di un gigante delle energie rinnovabili in divenire -continua Reclaim finance-. La loro mancanza di reazione pubblica quando un’azienda rade inutilmente al suolo un villaggio è sufficiente per esprimere un giudizio: i loro interessi finanziari hanno la precedenza sulla giusta transizione”.
Le operazioni di RWE, inoltre, non vengono considerate come l’apertura di una nuova miniera (vietata dalle due diligence di molti istituti tra cui Société générale e BNP Paribas) ma l’espansione di un asset già esistente, la cui prima approvazione risale al 1987. Anche se RWE ha riconosciuto, nell’ottobre 2022, il 2030 come limite per l’eliminazione graduale del carbone, negli anni precedenti si è opposta a questa misura cercando inoltre di ottenere compensazioni dal governo tedesco. Per anni ha sostenuto che avrebbe sfruttato i suoi asset di carbone fino alla fine della loro vita utile e avrebbe abbandonato il combustibile entro il 2050. Inoltre ha citato a giudizio il governo olandese per la sua decisione di imporre l’uscita dal carbone al 2030. “Oggi l’azienda sta perseguendo la stessa strategia con la sua espansione a Lützerath. Tuttavia nessun attore finanziario compresi quelli che sono in cima alla lista di coloro che sono felici di proclamare il loro impegno per una ‘giusta transizione’, è intervenuto per condannare anche le azioni di RWE”. Anche la credibilità è stata rasa al suolo.
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