Diritti
QUEI COSPIRATORI DEL SUD RIBELLE…
QUEI COSPIRATORI DEL SUD RIBELLE L’inchiesta di Cosenza contro la Rete del Sud Ribelle è stato forse il passaggio più inquietante di quell’involuzione autoritaria che ha caratterizzato l’Italia del dopo Genova. Nel novembre 2002 venti militanti furono arrestati (e alcuni…
QUEI COSPIRATORI DEL SUD RIBELLE
L’inchiesta di Cosenza contro la Rete del Sud Ribelle è stato forse il passaggio più inquietante di quell’involuzione autoritaria che ha caratterizzato l’Italia del dopo Genova. Nel novembre 2002 venti militanti furono arrestati (e alcuni di loro furono rinchiusi nelle carceri di massima sicurezza vicino a mafiosi e terroristi) con accuse pesantissime, per lo più realtive ad articoli del codice penale di derivazione fascista, introdotti nel codice negli anni Trenta, come il “sovvertimento dell’ordinamento economico costituito nello Stato”. L’inchiesta si è basata principalmente su intercettazioni di telefonate ed e-mail e sulla lettura di documenti vari, una lettura spesso maliziosa quanto grottesca (basti pensare al manuale di autodifesa del manifestante, pubblicizzato tramite agenzie di stampa nazionali, interpretato come la dimostrazione che ci si preparava a uno scontro violento). L’accusa – e questo è il punto grave – non contesta agli indagati alcun fatto specifico, se non l’occupazione simbolica di un’agenzia di lavoro interinale e la parteicpazione attiva ai controvertici di Napoli e Genova nel 2001. Fra le imputazioni, per alcuni, c’è anche la “compartecipazione psichica” agli atti violenti compiuti da altri. In breve, un castello di accuse dal quale è pressoché impossibile difendersi: se l’accusa non contesta fatti specifici, come si può replicare?
Il tribunale di Catanzaro, recentemente, ha confermato il no agli arresti per i venti, imponendo però l’obbligo di firma per tre persone. L’articolo di Alessandro Mantovani, riportato qui sotto, mette in luce nuovi motivi d’inquietudine, in particolare la scelta di imporre misure restrittive motivandole con reati come la “cospirazione politica” e “l’attentato agli organi costituzionali”, quest’ultimo dovuto – pare di capire – al fatto di avere partecipato all’organizzazione di manifestazioni volte ad ostacolare il regolare funzionamento di questi organi (come lo svolgimento di un vertice G8…) I contovertici, secondo questa logica, sono azioni fuori legge. Come si vede, sono tutti temi e provvedimenti che hanno molto a che fare con la libertà di manifestazione del pensiero e con la libertà di espressione del dissenso.
«Nel Sud Ribelle un’associazione di cospiratori»
Erano un’associazione di cospiratori «all’interno di un’associazione non
illecita denominatata Rete meridionale del Sud ribelle», scrive il
tribunale di Catanzaro. E gli obiettivi della cospirazione erano due:
diffondere scritti politici e «turbare» il G8 di Genova nel 2001, attività
che i giudici qualificano come «propaganda sovversiva» e – udite udite –
«attentato agli organi costituzionali». Dal tribunale del riesame arriva
un’ordinanza che ha dell’incredibile, un’autorevole convalida
dell’inchiesta del pm cosentino Domenico Fiordalisi, che esattamente un
anno fa spedì in carcere una ventina di no global tra cui il disobbediente
napoletano Francesco Caruso, il dirigente dei Cobas Antonino Campennì
(ricercatore all’università di Cosenza) e attivisti calabresi e pugliesi.
Sono insegnanti, giovani dei centri sociali, militanti sindacali, gente
conosciuta da tutti per la sua attività politica alla luce del sole. Altro
che cospirazione. Anche Repubblica fece a pezzi quell’indagine, scrivendo
che era tutta paccottiglia del Ros dei carabinieri. Quasi a furor di popolo
il tribunale della libertà scarcerò tutti il mese successivo ma, dopo un
annullamento per vizi formali da parte della cassazione, la paccottiglia
sul «Sud ribelle» è tornata all’esame di un nuovo collegio catanzarese,
presidente il giudice Carlo Fontanazza. Il 10 novembre scorso la nuova
ordinanza: non più carcere ma obbligo di firma quotidiano per Caruso e per
il cosentino Francesco Cirillo, 53 anni, considerato il promotore della
«cospirazione mediante associazione»; solo tre giorni a settimana per
Michele Santagata, 37enne, anche lui di Cosenza. E ieri sono arrivate
trenta pagine di motivazioni. Che prendono per oro colato, o quasi, il
teorema di Fiordalisi. L’unica vera novità è che cadono gli indizi di
colpevolezza per tredici dei diciotto ricorrenti: si tratta del gruppo dei
tarantini dei Cobas attorno a Salvatore Stasi (che comunque sono indagati a
Taranto per associazione sovversiva) e del cosentino Giancarlo Mattia, un
signore con la barba bianca difeso a spada tratta anche dalla Caritas
calabrese. Per chi invece in questa indagine rimane impigliato, cambia solo
la qualificazione giuridica dei fatti e dei teoremi: il tribunale, con
motivazioni peraltro astruse, ha respinto l’ipotesi dell’associazione
sovversiva vera e propria (articolo 270); restano però la cospirazione
meidante associazione, la propaganda sovversiva e l’attentato agli organi
costituzionali, oltre a reati minori. E per attentare agli organi
costituzionali è bastato organizzare le manifestazioni contro il Global
Forum di Napoli (17 marzo 2001) e il G8 di Genova (20 e 2001): la norma, di
raria applicazione, punisce «chiunque commette un fatto diretto a impedire
l’esercizio delle loro funzioni» al presidente della repubblica, al governo
o alle assemblee legislative (articolo 289) e qui viene contestata per il
comma 2, «fatto diretto soltanto a turbare l’esercizio delle funzioni
suddette» .
Si legge nell’ordinanza: «L’esame complessivo degli atti convince che, dopo
i fatti di Napoli, gli indagati abbiano programmato, approntato mezzi e si
siano organizzati, integrando così il delitto di cospirazione, per
commettere il delitto di attentato». «Provata l’associazione (intesa come
fenomeno neutro) tra alcuni degli indagati – scrive il collegio – la sua
liceità viene valutata con riferimento all’esistenza di gravi indizi di un
programma violento da attuare a Genova, per coartare il Governo italiano e
per far sì che tale Governo abbandoni l’idea di realizzare nelle città
vertici internazionali. Tali indizi vanno desunti, essenzialmente, dalla
condivisione degli associati del metodo violento, dall’effettiva
partecipazione degli associati agli atti violenti, anche tramite l’ipotesi
del concorso morale, e dalla riferibilità di tali atti violenti
all’associazione e al suo programma delittuoso». I giudici spiegano che
l’associazione è provata da riunioni, iniziative comuni e scambi di e-mail.
Che tutti insieme hanno deciso di andare a Genova e ci sono andati (e prima
a Napoli, ma secondo l’ordinanza era un’attentato agli organi
costituzionali «che non rientrava nel programma associativo»). Il problema
del dottor Fiordalisi (e ora dei magistrati di Catanzaro) è che a Genova e
a Napoli nessuno degli indagati ha combinato nulla di male, così almeno
risulta dalle indagini delle locali procure. E allora si fa una marmellata
con le intercettazioni: Cirillo che racconta gli scontri al fratello più
piccolo, la cosentina Anna Curcio che da Genova ne aveva addirittura
riferito in diretta al telefono (lavorava per il network radiofonico di
movimento, Radiogap), Santagata che a Napoli in mezzo alla battaglia viene
fotografato mentre fugge, Caruso troppo vicino al camion in cui altri si
armano di mazze… Nulla dimostrare la partecipazione diretta di qualcuno a
reati di piazza, eppure ad alcuni è contestata la resistenza a pubblico
ufficiale (oltre al reato di attentato), «almeno a titolo di concorso
morale». Se ci fosse di più, del resto, in questo momento li
processerebbero a Napoli e a Genova, dove i magistrati – raccontava sempre
Repubblica un anno fa – avevano invece scartato la paccottiglia del Ros.
Alla quale peraltro contribuirono diverse Digos.
Alessandro Mantovani (Il Manifesto, 27 novembre 2003)