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Segretezza finanziaria: gli Usa in testa alla classifica. E i Paesi del G7 minano la lotta all’evasione

© Tax justice network

Gli Stati Uniti sono il Paese con il più alto livello di segretezza finanziaria del Pianeta, vantando la giurisdizione maggiormente complice nell’agevolare individui e imprese a celare le proprie ricchezze. Una caratteristica condivisa con gli altri membri del G7. Il nuovo Financial secrecy index curato da Tax justice network

Gli Stati Uniti sono il Paese con il più alto livello di segretezza finanziaria del Pianeta, vantando la giurisdizione maggiormente complice nell’agevolare individui e imprese a celare le proprie ricchezze. Davanti a Svizzera, Singapore e Hong Kong. Una caratteristica condivisa con gli altri membri del G7, ovvero il “club” dei Paesi ricchi. Lo evidenziano i dati contenuti nel Financial secrecy index 2022 pubblicato maggio da Tax justice network (Tjn). “Gli Usa hanno raggiunto la vetta dopo aver aumentato la loro offerta di segretezza finanziaria nei confronti degli altri Paesi del mondo di quasi un terzo (+31%) rispetto al 2020 -si legge nel documento- che ora è quasi doppia rispetto a quella della Svizzera, seconda classificata”. Secondo i dati di uno studio pubblicato a novembre 2021 da Tjn, gli Stati Uniti “permettono” un’elusione fiscale del valore di 20 miliardi di dollari l’anno a danno di Paesi terzi. Seguono nella classifica altri Paesi che hanno una solida tradizione di “segretezza”: al terzo posto si piazza Singapore, seguita da Hong Kong, Lussemburgo, Giappone, Germania, Emirati arabi, le Isole vergini britanniche e l’isola di Guernsey (questi ultimi due territori appartengono al Regno Unito).

La classifica prende in considerazione il grado di segretezza di ciascuna legislazione e la quantità di strumenti forniti da un Paese a chi, non residente, volesse depositarvi le proprie ricchezze. In questo modo l’organizzazione è in grado di stimare quanto ogni Stato contribuisca a far nascondere e riciclare denaro. L’edizione 2022 dell’indice (che viene aggiornato con cadenza biennale) registra un lieve miglioramento: rispetto all’edizione del 2020 stima infatti che la segretezza finanziaria sia diminuita del 2% a livello globale (nel 2020 il calo era stato del 7%), continuando una contrazione già osservata in precedenza. Il miglioramento va attribuito soprattutto all’introduzione in molti Stati di una legge sulla registrazione del beneficiario effettivo ma anche a una crescente collaborazione tra le autorità fiscali.

Miglioramenti sono stati riscontrati in diversi Stati e territori. Tax justice network ha abbassato l’indice di segretezza attributo alle Cayman quando queste hanno reso per la prima volta informazioni che hanno reso possibile conoscere la reale portata dei servizi offerti ai non residenti: la Svizzera ha ridotto del 5% i servizi finanziari offerti ai non residenti e lo stesso ha fatto il Lussemburgo. Cruciale è stato lo sforzo messo in atto in questi mesi per applicare sanzioni agli oligarchi russi, un’azione che ha la conseguenza di lasciare meno spazio alle pratiche illecite.

Eppure secondo le stime di Tjn circa 10mila miliardi di dollari vengono detenuti segretamente offshore da individui facoltosi che beneficiano di legislazioni compiacenti: una cifra pari a 2,5 volte il valore di tutte le banconote in dollari e in euro circolanti sul Pianeta. Se questo accade, sottolinea il rapporto, la responsabilità ricade in gran parte sui Paesi del G7: mentre gli Stati a medio e basso reddito si muovono verso una maggiore trasparenza, cinque dei più ricchi (Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone e Italia) registrano un peggioramento dei propri standard, minando così gli sforzi portati avanti dal resto del mondo.

“Ancora una volta vediamo come la responsabilità maggiore nel facilitare la segretezza finanziaria e l’abuso fiscale sia di un piccolo club di Paesi ricchi, gli stessi che stabiliscono le regole globali in materia finanziaria e fiscale”, commenta Moran Harari, autrice della ricerca e direttore per l’area financial secrecy and governance di Tax justice network. Per decenni i Paesi del G7 hanno corteggiato miliardari e grandi multinazionali mettendo a loro disposizione scappatoie e strumenti normativi che gli permettessero di eludere il fisco nei Paesi d’origine e nascondere le loro ricchezze all’estero. “Queste norme hanno facilitato il furto di miliardi dalle casse pubbliche dei Paesi più poveri -aggiunge Harari-. E ora quelle stesse norme stanno rendendo quasi impossibile per gli stessi Paesi del G7 rintracciare i miliardi detenuti offshore dagli oligarchi russi sanzionati. Dobbiamo trasferire alle Nazioni Unite la definizione delle regole sulla finanza e sulla fiscalità globale. Solo una convenzione fiscale dell’Onu può garantire che le regole fiscali e finanziarie globali siano realmente democratiche e basate sui diritti umani”.

Significativo è il caso degli Stati Uniti, che con l’elezione di Joe Biden si erano detti pronti ad assumere un ruolo di guida nel combattere l’evasione fiscale. Qualcosa effettivamente è stato fatto, spiega Tax justice network: nei primi mesi di Biden alla Casa Bianca l’amministrazione aveva sostenuto l’adozione di una tassazione minima globale, promettendo maggior trasparenza in tal senso. Sforzi però in gran parte vanificati dal rifiuto di collaborare con le autorità fiscali di altri Paesi: gli Stati Uniti rimangono infatti l’unica “grande” economia a non fornire informazioni sui propri cittadini.

Come detto peggiorano anche gli indici di segretezza di Germania e Regno Unito mentre l’Italia si posiziona al ventunesimo posto, in consistente peggioramento rispetto al 2020: uno scivolamento da imputare soprattutto allo stop da parte del Consiglio di Stato a una misura che avrebbe facilitato l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva di imprese e di fondi fiduciari. Proprio questi ultimi, indica Tax justice nel rapporto, sono ora al centro dell’attenzione nella campagna per una maggiore trasparenza finanziaria. Il tentativo di sanzionare gli oligarchi russi ha infatti mostrato come lo strumento dei fondi fiduciari sia stato spesso usato per occultare i propri beni (ad aprile è emerso inoltre che Rishi Sunak, membro del governo Johnson nel Regno Unito, figurava tra i beneficiari di due fondi con base in paradisi fiscali, alle Isole Vergini Britanniche e alle Isole Cayman).

Tax justice network sprona dunque i ministri delle Finanze dei Paesi del G7 a lavorare per l’istituzione di un registro globale dei beni, al fine di combattere evasione fiscale e riciclaggio: in questo modo sarebbe possibile ottenere una maggiore trasparenza finanziaria e, di conseguenza, tassare le proprietà e il denaro ora nascosti in paradisi fiscali, il cui valore ammonta a migliaia di miliardi di dollari. Perché come denuncia Alex Cobham, direttore esecutivo di Tjn, “Questa ricchezza senza legge è una minaccia per le nostre democrazie, le nostre economie e la nostra sicurezza”.

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