Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Attualità

“Women with Gaza”, un progetto italo-palestinese per le donne della Striscia

© Women with Gaza

Sono oltre 690mila le donne e ragazze con le mestruazioni nella Striscia di Gaza con un accesso limitato ai prodotti per l’igiene. Molte sono costrette a improvvisare alternative, come usare pezzi di tende, e sono esposte al rischio di infezioni e complicazioni. Con i fondi raccolti dalla campagna si partirà proprio dalla distribuzione di kit igienici e da sportelli di supporto e ascolto

Sono più di 690mila le ragazze e donne con le mestruazioni nella Striscia di Gaza che ogni mese si confrontano con l’impossibilità di accedere ad assorbenti, tamponi, materiali e servizi igienico-sanitari adeguati alla gestione dell’igiene mestruale.

Gli assorbenti sono infatti introvabili tanto che nei primi mesi dell’offensiva israeliana a Gaza si era diffusa la notizia del ricorso a pillole ritardanti, normalmente prescritte per condizioni come sanguinamento mestruale grave, endometriosi e periodi dolorosi. Le donne palestinesi sono quindi costrette ad arrangiarsi e a realizzare assorbenti utilizzando pezzi di tenda o di vestiti, rischiando infezioni e altre complicazioni mediche.

Fin dall’inizio della guerra, Israele ha inoltre bandito l’ingresso di prodotti per l’igiene personale, come saponi e detergenti intimi, e quelli disponibili sono così costosi che la maggior parte delle donne non può permettersi di comprarli. Un flacone di sapone può costare 160 dollari e arrivare a 300, riporta Rajaa Ibnou del progetto Gaza Freestyle, afferente all’associazione Mutuo soccorso Milano Aps, che dal 2014 fino allo scorso anno ha svolto attività di scambio culturale insieme a gruppi di giovani gazawi e gazawe, appoggiandosi anche al Centro italiano di scambio culturale Vik – Vittorio Arrigoni e con la collaborazione e sostegno di Acs – Associazione di Cooperazione e Solidarietà.

Un altro aspetto rilevante che contribuisce a quella che viene definita povertà mestruale è la carenza idrica. Nella Striscia di Gaza manca l’acqua e lavarsi è diventato un privilegio che nella maggior parte dei casi è possibile permettersi solo una volta ogni tre settimane o addirittura al mese, in situazioni di mancanza di privacy, in ambienti sconosciuti e affollati, dove altre decine di persone si sono pulite con il rischio di contrarre infezioni e malattie. Spesso, inoltre, i proprietari delle case che non sono state distrutte -secondo il Centro satellitare delle Nazioni Unite solo il 34% del totale degli edifici nella Striscia di Gaza- richiedono un pagamento per permettere l’utilizzo di bagni e docce.

“Se non muori per la fame puoi comunque semplicemente morire per la mancanza di igiene personale”, racconta infatti sui social Aya Ashour, avvocata e attivista per i diritti umani, che descrive com’è vivere da donna a Gaza. Lo fa in un video messaggio per promuovere Women with Gaza, una campagna di raccolta fondi pensata per rispondere proprio a questa situazione.

Si tratta di un progetto di mutualismo collettivo perché nasce dall’incontro e alleanza tra organizzazioni femministe palestinesi e italiane. Da una parte c’è infatti l’Unione dei comitati di donne palestinesi (Upwc) una comunità di organizzazioni nata nel 1980 con l’obiettivo di migliorare lo status e l’emancipazione delle donne palestinesi.

Alcune delle donne che facevano parte di questa realtà associativa si sono ritrovate casualmente in un campo allestito nel governatorato centrale e hanno deciso di attivarsi elaborando il progetto Eva. L’esigenza, in questo momento, è infatti quella non solo di distribuire kit igienici, saponette e salviettine ma anche di creare di un luogo fisico dove potersi prendere cura del proprio corpo e trovare uno sportello di ascolto, un luogo per non sentirsi sole nell’orrore del massacro, oppure ancora per poter frequentare corsi di formazione e creare prodotti hand-made con il materiale a disposizione.

Dall’altra ci sono le realtà italiane di diverse città come Milano, Torino e Bologna che sono riuscite a non perdere i contatti con le donne palestinesi e hanno accolto la loro richiesta di sostegno. Come racconta Rajaa Ibnou per le donne delle organizzazioni o associazioni femminili è stato infatti molto più difficile mantenere i rapporti con l’esterno rispetto a quelle maschili. Questo sia per ragioni pratiche legate alla difficoltà di usare il cellulare o la rete internet sia per il ruolo centrale che la donna svolge nella società palestinese. Come riportato inoltre da Un women, l’ente delle Nazioni Unite dedicata all’uguaglianza di genere e all’emancipazione delle donne, in situazioni di guerra e crisi le donne hanno la tendenza a dare meno priorità a sé stesse e a rinunciare perfino a nutrirsi mettendo al primo posto i propri familiari.

La rete italiana che supporta le donne di Gaza è composta oltre che da Acs- Associazione di cooperazione e solidarietà, Mutuo Soccorso Milano Aps, anche da Donne in Strada APS, DeGenerAzione, Sgangherz, Casa delle donne di Milano, Collettiva Ambrosia – Milano, Collettivo Artemisia e da Gaza freestyle che tra i suoi progetti attivi prima del 7 ottobre 2023 aveva anche l’apertura di una Casa internazionale delle Donne nella Striscia di Gaza.

“Ogni anno carovane di solidarietà partivano prima da Milano e poi da tutta Italia per incontrare e stringere relazione con gli abitanti di Gaza per mezzo del freestyle e dello sport, del circo, dello skateboard, della musica e dell’arte ma anche di laboratori di autodifesa e yoga rivolti alle donne -racconta Rajaa Ibnou-. Nel dicembre 2023 saremmo dovuti partire per il decimo anno anche per inaugurare la Casa delle donne, non è stato possibile”. Il luogo in cui sarebbe dovuta sorgere è stato infatti occupato dall’esercito israeliano, e la maggior parte delle donne che contribuivano alla creazione di questo posto sono sparite nel caos e nella violenza.

Già otto mesi fa, tentando di dare una risposta alle richieste delle donne palestinesi, Gaza freestyle insieme con Le Sberle, De Gener Azione, Ambrosie e Case delle donne di Milano aveva raccolto da tutta Italia e spedito un container carico di assorbenti, mutande mestruali, salviettine biodegradabili che è rimasto però fermo in Egitto. Notizia degli ultimi giorni è che pare che verrà presto sbloccato per portare un po’ di sollievo alle donne e ragazze sfollate -circa un milione in totale sempre secondo Un women- che sono ulteriormente svantaggiate dalla disuguaglianza di genere nell’accesso a forniture, servizi e risorse e che vivono in una situazione di insicurezza e di ricerca di protezione per sé stesse e i propri familiari.

“Questa è una chiara violazione dei diritti fondamentali dell’essere umano”, conclude nel video Aya Ashour da Gaza. La situazione di mancanza e privazione legata alla gestione del ciclo mestruale espone non solo a problemi di tipo fisico ma incide sulla dignità delle donne e delle ragazze e sulla loro salute mentale e psicologica.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati