Diritti / Opinioni
Guerre e contagi vanno di pari passo
Un anno di bombe e Gaza è diventata un focolaio di batteri imbattibili. Come in Ucraina e in Sudan, i conflitti aumentano la resistenza antimicrobica. La rubrica di Nicoletta Dentico
Sono finite le parole necessarie per descrivere la dimensione della catastrofe umanitaria che si consuma a Gaza da un anno. Scriviamo con l’acuminata percezione che riguarda l’impotenza delle parole di fronte alla violenza ridondante, fine a sé stessa, che distingue questa pagina della storia contemporanea. Violenza sproporzionata volta solo a causare dolore.
Il 15 settembre scorso il ministero della Salute di Gaza ha rilasciato una lista (incompleta) di 649 pagine contenente nomi e dati anagrafici dei palestinesi uccisi dagli attacchi dell’esercito israeliano dal 7 ottobre 2023 al 31 agosto 2024. Nelle prime 14 pagine sfilano i nomi dei bambini di età inferiore a un anno. In questi numeri risiede “ciò che differenzia Gaza” dalle altre guerre, ha commentato Trita Parsi del Quincy institute for responsible statecraft. Il numero delle pagine sarà inesorabilmente aumentato quando leggerete questa rubrica.
Dubito che sarà cresciuta anche la capacità di azione della comunità internazionale, invischiata in un insoffribile doppio standard. La pausa temporanea dei bombardamenti a Gaza all’inizio di settembre, mirata all’avvio della campagna per immunizzare 640mila bambini sotto i dieci anni contro la poliomielite, è stata accolta con frettolosa e ambigua euforia. Il varco umanitario per la vaccinazione d’emergenza è stato imposto dall’identificazione del virus della polio in diversi siti della Striscia, ma è una minuscola goccia nell’oceano della devastazione che soffoca il territorio della Palestina. Più che la speranza di una pace “a tempo”, la decisione allude alla realtà che virus e batteri hanno un facile sopravvento quando imperversa il mestiere delle armi. Il mondo della medicina lo sa bene.
Forse non tutti i medici sanno invece che la distruzione prodotta dalle azioni di guerra -bombardamenti, abbattimenti di case e palazzi, devastazioni di dighe e strutture fognarie, solo per citarne alcune- è una delle condizioni che agevolano l’aumento della resistenza antimicrobica, ovvero la diffusione incontrollata di funghi batteri e patogeni immuni agli antibiotici esistenti. Guerre e infezioni ambientali e umane vanno di pari passo.
Gli studiosi lo hanno scoperto per la prima volta in seguito alla guerra in Iraq. I metalli delle bombe, quelli rilasciati dalla distruzione degli edifici -soprattutto zinco e piombo- sono facili induttori di resistenza antimicrobica. Dopo un anno di bombardamenti, Gaza è diventata un focolaio di batteri intrattabili, con i suoi resti umani e animali per le strade, l’odore fermentato dell’aria. Non ci sono antibiotici, né tantomeno laboratori per l’identificazione dei microrganismi resistenti. Questi intanto sono in grado di diffondersi in silenzio nei Paesi limitrofi, a cominciare da Israele, Giordania e Libano, con potente azione infettiva.
Sono cinque milioni i decessi causati da infezioni imputabili alla resistenza antibiotica nel 2019. Se non invertiamo la rotta, l’umanità potrebbe tornare a un’era pre-penicillina (The Lancet, 2019).
Purtroppo, quello della Striscia di Gaza non è il solo scenario bellico a destare gravi preoccupazioni. La riproduzione di infezioni batteriche è indissolubilmente associata anche alle altre guerre in corso in Sudan e in Ucraina. Qui, la resistenza antimicrobica era già un serio problema prima dell’invasione russa nel 2022. Non possiamo escludere che l’imperversare delle armi non abbia ricadute sanitarie nei Paesi confinanti in Europa, nella stessa Russia, nei confini caucasici. Forse lo spillover è già cominciato, dice sottovoce Hanan Balkly, specialista dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La guerra non risparmia nessuno, anche per questo la pace conviene.
Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici senza frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development
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