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Diritti / Attualità

“Abbiamo solo le nostre parole”. Voci da Fiumicello per continuare a chiedere verità per Giulio

Il presidente della Fsi, Giuseppe Giulietti, parla dal palco della manifestazione per Giulio Regeni. 25 gennaio 2019

A tre anni dalla scomparsa di Giulio Regeni, la sua “maledetta storia di verità ostacolata” -come l’ha definita Erri De Luca- aspetta ancora l’impegno dei governi di tutta Europa. Il 25 gennaio 2019 tantissime persone si sono riunite a Fiumicello Villa Vicentina, il paese di Giulio. Le voci della manifestazione raccolte da Altreconomia

Giulio come Teseo, giovane “esploratore” che entra inconsapevolmente nel labirinto. Il paragone è dello scrittore Erri De Luca, intervenuto dal palco della sala Bison di Fiumicello Villa Vicentina (UD) in occasione della manifestazione del 25 gennaio 2019, a tre anni dalla scomparsa di Giulio Regeni in Egitto.
Dentro alla sala, e sopra al palco, “un’assemblea” -come l’ha definita De Luca- di cittadini si è riunita venerdì sera in nome del diritto, per chiedere senza sosta verità sull’uccisione del ricercatore friulano. “Un omicidio di regime”, nelle parole di Alessandra Ballerini, l’avvocato civilista che da tre anni vive fianco a fianco con Paola Deffendi, Claudio e Irene Regeni. Dal palco, è stata lei a fare il punto sulle indagini in corso, a partire dall’ultima, importante svolta dello scorso dicembre: l’iscrizione da parte della Procura di Roma di cinque persone nel registro degli indagati, per concorso in sequestro di persona. Sono cinque ufficiali dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale egiziana e dell’ufficio dell’investigazione giudiziaria del Cairo, “di cui quattro della stessa sezione della National Security, persone insospettabili e in divisa -afferma Ballerini-, che fanno parte di un disegno che si continua a tracciare”.
Per fermarlo -“ora che la Procura ha esaurito quel che poteva fare e le responsabilità spettano alla politica e all’economia”, ha detto Ballerini- le richieste sono chiare: che l’Egitto sia dichiarato dalla Farnesina un Paese non sicuro, perché “a ciascuno di noi poteva succedere quel che è accaduto a Giulio”, e il rientro dell’ambasciatore d’Italia al Cairo, Giampaolo Cantini, perché siano messi da parte gli “affari di cui continua a occuparsi” -dice De Luca- e si collabori invece alle consultazioni.
E mentre continuano le “indagini difensive” del gruppo legale, per “scavare nei ricordi e trovare i nomi nel covo di serpi in cui entrò Giulio”, Alessandra Ballerini aggiunge che, se questo potrà servire a salvarla, “chiederemo il perdono per Amal Fahty” -moglie di Mohamed Lotfy, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, consulente della famiglia Regeni in Egitto-, accusata di terrorismo e diffusione di notizie false. Sul palco, per lei, c’è un fiore giallo.

Per far fiorire la verità, un ruolo centrale spetta al giornalismo libero e indipendente: “Una boccata di ossigeno nel mondo dell’informazione dominato dall’azoto”, sottolinea Erri De Luca. Dal palco, Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, richiama l’importanza della Giornata della Memoria che si celebra il 27 gennaio per ricordare che “quel che è accaduto, può riaccadere” e fa un appello all’impegno civile accanto alla famiglia Regeni, ma anche per “i tanti Giulio egiziani che non conosciamo”. Il presidente della stampa lancia la proposta di inviare un pool di giornalisti in Egitto e rafforza l’importanza della “scorta mediatica”, avviata nell’ottobre 2017 affinché i media continuino a seguire il caso Regeni e le violazioni dei diritti umani in Egitto.

Sopra al palco, le parole scritte -la stampa, la poesia letta da Pif e la letteratura- hanno un posto in prima fila, mentre Erri De Luca ricorda che oggi, come in un paradosso, “il silenzio compatto e ottuso dei governi” a raccontare “una maledetta storia di verità ostacolata”. Ma nonostante le parole siano ormai “stanche, sfibrate, esauste”, resta “la necessità di ribadirle”. “Abbiamo solo le nostre parole -afferma l’onorevole Luigi Manconi- e un desiderio di verità”. Una ricerca per porre fine al “male assoluto della tortura”: Manconi, ricordando la vicenda della “Sea Watch 3”, richiama l’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, dove si afferma che “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
C’è anche un posto per il Governo su questo palco: è del presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, che si fa portavoce della volontà di “andare avanti come Stato italiano” nella vicenda Regeni. Dopo l’iscrizione degli ufficiali nel registro degli indagati, “la Camera dei deputati ha chiuso ogni tipo di relazione diplomatica con il Parlamento egiziano”, dichiara, e fa un appello all’Europa affinché tutti i Governi si uniscano in un impegno corale “per vincere questa lotta”.
È stata proprio il Parlamento Europeo a ricordare che “l’Unione Europea è il primo partner economico dell’Egitto e la sua principale fonte di investimenti stranieri”, nella risoluzione adottata lo scorso dicembre sull’Egitto e per i difensori dei diritti umani. Un documento nel quale si sottolinea la mancata collaborazione dell’Egitto con la Procura italiana sul caso Regeni e si evidenzia che “dalla fine di ottobre 2018, almeno 40 lavoratori del settore dei diritti umani, avvocati, politici e attivisti sono stati arrestati” o sono scomparsi e “almeno 38 giornalisti sono attualmente in carcere in Egitto per il loro lavoro”.

Mentre sul palco del 25 gennaio gli adolescenti del “Governo dei giovani” di Fiumicello Villa Vicentina e i musicisti amici di Giulio cantano “il coraggio pubblico di una gioventù intransigente”, giù dal palco resta un’Europa malconcia e il resto del Governo italiano, immobile di fatto nella ricerca della giustizia. Ma ci sono anche migliaia di fiaccole gialle -in tante piazze d’Italia e d’Europa-, che continuano a tenere illuminata questa vicenda. “Ci chiedono: quando vi fermerete? -dice l’avvocato Alessandra Ballerini – Una domanda insopportabile, che presuppone che non arriveremo in fondo e molleremo prima”. Ma “qual è il tempo della verità?”, si chiede Paola Deffendi: “Non avrei pensato di essere ancora qui dopo tre anni a lottare”.
Ma è questa ricerca della verità che, sola, ci porterà fuori da quel labirinto.

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