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Economia / Approfondimento

Viaggio dentro Montblanc, tra delocalizzazioni in loco e sfruttamento

© Nicolas Thomas - Unsplash

Non solo stilografiche con la stella ma anche pelletteria, gioielli, orologi e accessori di moda. Il marchio del gigante svizzero del lusso Richemont ha una catena di fornitura problematica. Lo dimostra il caso dei lavoratori di alcune ditte subappaltatrici del distretto di Prato, licenziati dopo anni di vertenze per il taglio degli ordini da parte di Montblanc. Sindacati e Ong si mobilitano. L’inchiesta della Campagna Abiti Puliti

La prima tappa di questo viaggio inedito alla scoperta di Montblanc è la sua maison virtuale. Il sito del noto marchio del lusso è un concentrato di prodotti di raffinata eleganza e bellezza senza tempo dove si legge: “Montblanc unisce il design antico con l’artigianato europeo, dando vita a pezzi in diverse città, tra cui gli strumenti di scrittura ad Amburgo, la pelletteria a Firenze e gli orologi in Svizzera”.

Un messaggio calibrato che evoca pezzi quasi unici, rigorosamente Made in Europe, con tutto il portato di qualità che questo concetto promette. Basti pensare alle stilografiche con la stella bianca, icone di eleganza e di bella scrittura, tipico regalo di laurea da parte di genitori o parenti che faticosamente mettono da parte almeno uno stipendio per donare non una semplice penna, ma uno status symbol. 

Oggi Montblanc, fondata in Germania ai primi del Novecento, produce anche pelletteria e appartiene al gruppo svizzero Richemont, uno dei giganti del lusso mondiale specializzato in gioielli, orologi e accessori di moda con un fatturato di oltre 20 miliardi di euro e un utile operativo di quasi cinque miliardi nel 2024.

Forte di un risultato straordinario in crescita da cinque anni, l’amministratore delegato Johann Rupert, nella nota di accompagnamento al bilancio consolidato pubblicata lo scorso giugno, aveva proposto di aumentare del 10% il dividendo agli azionisti, portando a tre euro il valore delle azioni di classe A.

L’idea è stata approvata praticamente all’unanimità, con il 99,97% dei voti favorevoli, nel corso della trentaseiesima Assemblea generale annuale tenutasi lo scorso 11 settembre nel lussuoso Hotel InterContinental di Ginevra, dove una suite vista lago costa 1.500 euro a notte. Esattamente come una borsa Montblanc.

Tra le voci poste in evidenza sulla homepage del sito web, desta una certa curiosità la parola “sostenibilità”. Che cosa dichiara l’azienda nella Rendicontazione 2024, obbligatoria per legge? Tra le 93 pagine dedicate alla gestione responsabile della catena di fornitura spicca un concetto espresso a pagina 62: la filiera è un ecosistema complesso, popolato da una rete di fornitori e subfornitori che occorre conoscere bene per assicurarsi che gli standard del gruppo per una condotta di impresa responsabile siano applicati, indica di fatto Richemont, mentre snocciola le numerose iniziative volontarie e certificazioni cui aderisce per tenere sotto controllo la sua filiera dal punto di vista ambientale e sociale. 

Oggi molte aziende, dopo anni di pressione da parte di attivisti e sindacati, hanno iniziato a dichiarare i propri fornitori, dimostrando che questo processo è non solo fattibile, ma anche vantaggioso.

Nel rapporto di Montblanc, l’assenza della lista dei fornitori almeno di primo livello, che attesterebbe l’impegno dell’azienda nel rendere trasparente la propria filiera, sottoponendola al controllo pubblico, è un evidente segno di completa opacità. 

“Per rispondere a questa sfida -si legge ancora nel documento- Richemont adotta un approccio proattivo e diligente”. A pagina 76 si va più nel dettaglio. L’azienda parla di impegno specifico per il rispetto dei diritti umani lungo la catena di fornitura e riporta la formazione di una task force per identificare il livello di esposizione al rischio di ogni attività. Il piano sembra ottimo. Peccato che non funzioni. 

Per capirlo basta andare in Toscana, dove hanno sede due aziende fornitrici di Montblanc: Z Production ed Eurotaglio. Secondo quanto riportato dal Sudd Cobas, sindacato che da anni lotta contro la piaga dello sfruttamento dei lavoratori, soprattutto immigrati, impiegati nelle aziende tessili di Prato e dintorni, il personale della Montblanc era quotidianamente presente alla Z Production, pelletteria a conduzione cinese alle porte di Firenze che produceva borse per il marchio insieme a Eurotaglio, azienda in subappalto creata ad hoc e operativa nello stesso stabilimento. Qui gli operai erano costretti a lavorare tra le dodici e le quattordici ore al giorno per una misera paga di tre euro l’ora, senza diritti e contratti in regola. Difficile pensare che la maison svizzera non ne fosse a conoscenza. 

Ma qualcosa a febbraio del 2023 cambia: i lavoratori si uniscono al sindacato e al movimento “8×5” e con un accordo sindacale conquistano i diritti stabiliti dal contratto collettivo nazionale di lavoro e la fine di turni massacranti e lavoro nero. I contratti vengono regolarizzati, iniziano a lavorare “otto ore per cinque giorni” e possono godere di diritto alla malattia, alle ferie, ai permessi. Vengono anche stabilizzati i lavoratori precedentemente inquadrati come apprendisti e viene riconosciuta un’indennità di mensa. Un successo per i lavoratori e, in teoria, anche per il committente svizzero, dato l’adeguamento dei loro fornitori a quanto prevede il Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) e al codice di condotta che Richemont chiede ai suoi fornitori di sottoscrivere. Esattamente quello che impone la responsabilità aziendale quando prescrive alle imprese l’obbligo di porre rimedio a violazioni e abusi identificati nella propria catena di fornitura. 

Le cose però vanno diversamente. Gli ordini cominciano a calare fino alla totale cessazione, mettendo in discussione la continuità occupazionale dei lavoratori, in particolare quelli sindacalizzati. Non si tratta di una crisi di mercato, ma di una delocalizzazione in loco: gli ordini in realtà ci sono, ma vengono spostati verso altre aziende dove lo sfruttamento continua e il committente può contare su manodopera vulnerabile e a basso costo. 

Di fatto, secondo il sindacato, si tratta di una delocalizzazione punitiva per scoraggiare i lavoratori che si organizzano per rivendicare i propri diritti e continuare a massimizzare i propri profitti comprimendo il costo del lavoro. I lavoratori non ci stanno e mettono in campo una serie di azioni e proteste fino a siglare un contratto di solidarietà che dovrebbe assicurare alcuni mesi di stipendio, in parte a carico dello Stato, e una turnazione in fabbrica con orari ridotti in attesa di una soluzione.

La richiesta dei sindacati che Abiti Puliti sostiene è chiara: Montblanc, cioè il gruppo Richemont, deve assumersi le responsabilità per la crisi causata dalla sua condotta irresponsabile e garantire a tutti i lavoratori, senza più lavoro, né stipendio, una ricollocazione nella sua filiera con contratti regolari nel rispetto del Ccnl vigente. Richemont non solo ha tradito il suo stesso impegno a un approccio “proattivo e diligente” in materia di diritti umani, ma nemmeno si è mai presentata ai tavoli convocati più volte da Regione Toscana per risolvere la situazione. Nel frattempo neanche il contratto di solidarietà viene rispettato e la Z Production attiva una procedura di licenziamento collettivo rivolta ai soli lavoratori sindacalizzati. 

Ad oggi rimangono interi sul tavolo i problemi sollevati dal coraggio dei lavoratori sfruttati per anni nelle ditte in appalto a servizio della maison svizzera che, a quanto pare, non ha mai scomodato la sua task force per i diritti umani per andare a vedere che cosa succede regolarmente nella culla di quell’artigianato europeo che vanta come un fiore all’occhiello e da cui più volte sono arrivati segnali di sofferenza, rivendicazioni e proteste. 

L’ultima è approdata a Ginevra lo scorso 11 settembre, quando una delegazione di lavoratori con il Sudd Cobas è stata attaccata dalla polizia mentre manifestava pacificamente per chiedere, ancora una volta, al loro principale datore di lavoro di assumersi le proprie responsabilità e ricollocare i lavoratori ingiustamente licenziati con un contratto giusto.

Ma l’azienda e i suoi azionisti hanno fatto orecchie da mercante per dedicarsi alla festa annuale organizzata a pochi passi dal presidio, nel lussuoso Hotel InterContinental dove avrebbero poi votato l’aumento del dividendo per la distribuzione degli utili, generati anche da quei lavoratori immigrati senza diritti occultati nelle pieghe irregolari dei loro appalti. Il destino beffardo ha voluto che i bonifici agli azionisti fossero disposti il 23 settembre, data di scadenza del contratto di solidarietà degli operai di Campi Bisenzio. 

Per il ricollocamento dei lavoratori, per la fine delle politiche antisindacali nella filiera degli appalti di Montblanc di Campi Bisenzio, per una clausola sociale di garanzia anche in caso di cambio di appalto, per porre fine allo sfruttamento delle filiere del lusso causato da pratiche commerciali sleali dei marchi committenti, Sudd Cobas ha indetto una giornata di convergenza europea davanti ai negozi Montblanc per sabato 26 ottobre. 

In molti hanno risposto all’appello e vari presidi saranno organizzati in diversi Paesi europei da attivisti e sindacati. A Firenze i Sudd Cobas ne hanno organizzato uno per le 17:30, davanti al negozio Montblanc in Via Tornabuoni. A Milano la Campagna Abiti Puliti alle 15:00, presso la Montblanc Boutique in Galleria Vittorio Emanuele II. A Ginevra Public Eye alle 14:30 davanti al negozio Montblanc in Place du Port. Con la speranza che siano le ultime tappe di questo viaggio originale dentro la filiera di Montblanc. 

Deborah Lucchetti è coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti

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