Economia / Opinioni
Trump e i dazi contro l’Unione europea. Lo specchio crudo dei nostri errori

L’Europa si è resa vulnerabile all’annunciata aggressione commerciale della nuova amministrazione americana. È troppo dipendente dalle esportazioni negli Usa, i possibili strumenti di ritorsione a disposizione sono limitati, ma soprattutto ha indebolito fortemente il proprio mercato interno, tagliando redditi e consumi. E regalando il risparmio ai fondi Oltreoceano. L’analisi di Alessandro Volpi
È molto probabile che Donald Trump concentrerà la sua “grande” guerra doganale contro l’Unione europea. La prima ragione sta nel fatto che gran parte dell’Europa è molto dipendente dalle esportazioni negli Stati Uniti, più di quanto non lo siano la Cina o altre parti del Pianeta.
Il disavanzo americano nella bilancia dei pagamenti ha superato i tremila miliardi di dollari nel 2024 e la posizione finanziaria netta -i debiti contratti dal sistema pubblico e privato Usa nei confronti del resto del mondo- è negativo di 24mila miliardi di dollari. Come ridurlo senza far saltare l’indispensabile dollarizzazione è davvero difficile da capire se non scatenando una guerra commerciale nei confronti del “partner” più debole.
Per dirla meglio, troppo a lungo i Paesi europei hanno impoverito il mercato interno, con la contrazione dei redditi e dei consumi, fidando in misura davvero eccessiva solo sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, dove gli europei spediscono oltre 500 miliardi di dollari di produzione e ne importano meno di 350.
Trump questo lo sa bene, è ben consapevole della fragilità dell’Europa in termini di mercati interni e dunque può piegarla proprio con i dazi, non permettendo l’ingresso negli Stati Uniti e quindi mettendo in ginocchio ancor di più economie che sono comunque concorrenti, come nel caso della Germania: i dazi americani contro l’Europa possono essere realmente un’arma di distruzione della concorrenza europea.
C’è poi un altro aspetto che gioca a favore degli Stati Uniti nella logica dei dazi e si lega alla natura delle esportazioni americane, caratterizzate da una larga prevalenza dei servizi. Se si considera la bilancia dei servizi, si nota infatti che gli Usa esportano in Europa per quasi 400 miliardi di dollari mentre importano per meno di 300 miliardi. In quest’ottica, è evidente che un’eventuale azione ritorsiva dell’Unione europea sarebbe molto difficile perché bloccare i servizi in termini fiscali è estremamente più complesso rispetto al blocco delle merci.
Dunque Trump, che è obbligato a ridurre il disavanzo commerciale complessivo, è molto probabile che scelga di colpire l’Europa, con un’aggressione magari selettiva ma in grado di far male anche perché la tariffa esterna europea deve essere, per obbligo normativo, unica.

Del resto non può certo colpire in maniera significativa la Cina, da cui dipendono l’inflazione Usa e la dollarizzazione, ma neppure abbattersi in modo troppo marcato nei confronti di Messico e Canada proprio per la natura stessa del commercio estero degli Stati Uniti che, a differenza dell’Europa, è concentrato per oltre il 45% proprio in Messico, Canada e Cina, mentre il Vecchio continente pesa per circa il 18%. Vale la pena ricordare in una simile prospettiva che in dieci anni il valore dell’interscambio Usa-Ue è raddoppiato e i benefici sono stati soprattutto europei.
Ora Trump vuole invertire questa situazione ma l’assenza di mercati interni veri, impoveriti lungo tutto questo decennio, rende la cosa difficile; una difficoltà decisamente accentuata dal fatto che, mentre crescevano le esportazioni verso gli Stati Uniti, cresceva, parimenti, la trasmigrazione dei risparmi degli europei verso gli States con conseguenze decisamente nefaste sulla capacità di contrastare l’impoverimento e le disuguaglianze. Trump, in estrema sintesi, è lo specchio crudo dei nostri errori.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
© riproduzione riservata