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Diritti / Approfondimento

Le responsabilità dei grandi marchi dell’industria tessile nello sfruttamento degli uiguri

© Keagan Henman, unsplash

Centinaia di migliaia di persone appartenenti alla minoranza vittima della sistematica discriminazione di Pechino, sono costrette al lavoro forzato. L’Università di Sheffield ha indagato le aziende che producono capi che vengono poi venduti in tutta Europa. Coinvolti i brand Hugo Boss, Zara, Mango e Max Mara, ma non solo

Trenta famosi marchi d’abbigliamento -tra cui Hugo Boss, Zara, Mango e Max Mara- sono “ad alto rischio” di rifornirsi da produttori che sfruttano il lavoro forzato degli uiguri, minoranza musulmana che vive nella regione cinese dello Xinjang e che da anni è sottoposta a una feroce repressione da parte di Pechino. La denuncia è contenuta nel rapporto “Tailoring responsability: tracing apparel supply chain from the Uyghur region to Europe”, pubblicato a fine 2023 dall’Università Hallam di Sheffield.

“I legami dell’industria dell’abbigliamento con la regione uigura sono ormai consolidati -si legge nel report-. La regione produce circa il 23% del cotone mondiale e il 10% del poliestere. Di conseguenza, un’enorme quantità di abiti e calzature rischia di essere coinvolta nello sfruttamento del lavoro forzato del popolo uiguro”. Dal 2017, infatti, il governo cinese ha inasprito la decennale e sistematica discriminazione ai danni di questa popolazione e di altre minoranze turcofone e musulmane nella regione autonoma uigura dello Xinjang: centinaia di migliaia di persone (le stime oscillano tra 900mila e 1,8 milioni) sono state rinchiuse in “campi di rieducazione” dove sono soggette a torture fisiche e psicologiche, violenze sessuali e costrette al lavoro forzato.

Inoltre Pechino ha implementato programmi di trasferimento forzato di manodopera, che prevedono la coscrizione obbligatoria degli uiguri e il loro trasferimento in altre zone dello Xinjang (e persino in altre aree della Cina) per lavorare in miniere, fabbriche o aziende agricole. “I funzionari governativi impongono la cooperazione in questi programmi attraverso minacce di internamento o incarcerazione, instillando un ambiente di estrema paura e intimidazione -denuncia il rapporto-. Nel 2021, il governo ha registrato ben 3,17 milioni di trasferimenti di manodopera”.

Il report, curato da Yalkun Uluyol, ricercatore presso la Hallam University, in collaborazione con Uyghur rights monitor e Uyghur center for democracy and human rights, si basa sull’analisi di fonti aperte, tra cui i dati di spedizione, le relazioni finanziarie aziendali e articoli di giornale. Oltre a immagini satellitari e alle testimonianze delle persone che hanno lavorato nelle fabbriche tessili.

Yalkun e i ricercatori del suo team (che per tutelare la propria sicurezza hanno scelto di restare anonimi) hanno concentrato le proprie indagini sulle operazioni di quattro grossi fornitori cinesi che hanno rapporti commerciali con i più grandi marchi di abbigliamento europei. Il primo è Zhejiang Sunrise che, attraverso due sue controllate Smart Shirts e May YSS, rifornisce Hugo Boss in Germania, Ralph Lauren e Burberry in Italia, Tommy Hilfiger e Calvin Klein (entrambi marchi Pvh) nei Paesi Bassi. Il secondo è Beijing Guanghua textile group, società che attraverso una sussidiaria dichiara di collaborare con Zara, Primark, Oysho, Mango, Vero Moda, Cache Cache, Guess, Levi’s e molti altri.

Il terzo fornitore preso in esame è Anhui Huamao che tra gli altri rifornisce Albini, Burberry, Prada e Max Mara. Oltre a vendere direttamente sui mercati internazionali, Anhui Huamao fornisce filati e tessuti a numerosi intermediari internazionali, tra cui Gain Lucky, in Vietnam, che a sua volta rifornisce Nike, Adidas e Puma.

Infine, c’è lo Xinjiang Zhongtai Group, un enorme conglomerato controllato dal governo di Pechino che si presenta come il principale produttore di poliestere della Repubblica popolare cinese, con una capacità complessiva di almeno 2,33 milioni di tonnellate all’anno. Secondo quanto ricostruito nel rapporto, nel maggio 2023 una controllata di Xinjiang Zhongtai ha dichiarato di possedere nella regione uigura oltre un milione di ettari di campi che producono cotone di alta qualità e linee di produzione che impiegano oltre 3.600 dipendenti. Il gruppo ha inoltre affermato che la sua capacità di produzione di viscosa (una fibra tessile artificiale a base di cellulosa) è la seconda più alta di tutta la Cina e in questo comparto prevede di “creare occupazione diretta di quasi diecimila persone”.

Ma dagli stabilimenti industriali dello Xinjang non escono solo scarpe e capi d’abbigliamento. Le aziende che operano nella regione producono beni per una vasta gamma di comparti -dall’elettronica all’automotive, passando per i dispositivi necessari alla transizione energetica- sfruttando il lavoro della minoranza uigura. Il gruppo Volkswagen, ad esempio, possiede una fabbrica nella capitale, Ürümqi e ha ammesso che gli abitanti della regione sono stati sottoposti a un approccio “significativamente repressivo”, ma si è rifiutata di abbandonare la produzione.

Come riportato in un secondo studio pubblicato sempre da Yalkun Uluyol e dall’Università di Sheffield a dicembre 2022, anche Bmw, Mercedes Benz e Porsche sono esposte al lavoro forzato degli uiguri lungo le loro catene di fornitura. A diverso titolo, poi, sono coinvolti anche altri famosi brand tedeschi tra cui Carlsberg, Siemens e Basf.

Di recente, poi, l’Outlaw ocean project -sito fondato dal giornalista investigativo Ian Urbina, che indaga su diritti umani, lavoro e ambiente “nei due terzi del Pianeta coperti da acqua”- ha rivelato che manodopera uigura è largamente impiegata sia negli impianti di lavorazione del pesce che riforniscono i mercati europei, sia sulle flotte di pescherecci, dove rimangono intrappolati per anni, come schiavi moderni.

Oltre a denunciare i legami trai produttori cinesi e i brand di moda, il rapporto “Tailoring responsability” ricostruisce anche le modalità adottate dalle aziende per celare il proprio coinvolgimento nello sfruttamento della manodopera uigura. Sono le stesse aziende che celebrano i propri successi con altisonanti certificazioni ambientali: la Smart Shirts, ad esempio, dedica una scheda sull’homepage del proprio sito internet al rispetto dei criteri Esg (environmental, social and corporate governance) al suo impegno per il riciclo, l’utilizzo di fibre sostenibili e l’attenzione per il benessere dei lavoratori. L’azienda dichiara inoltre di essere membro della Better cotton initiative e della Global organic textile standard, di rispettare i criteri di autovalutazione dell’Higg index e di essere accreditata dal gruppo per i diritti dei lavoratori BetterWork dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Insomma, tutto quello che un’azienda dovrebbe avere per dimostrarsi impegnata nel settore del lavoro equo. Ma che nella realtà non lo è affatto.

Zhejiang Sunrise ha risposto ai ricercatori, insieme a tre intermediari e ad alcuni brand (tra i quali H&M, Puma e Hugo Boss). Tutte le repliche sono state raccolte in un corposo documento di 24 pagine in cui rigettano ogni tipo di accusa, definendo “false e diffamatorie” le informazioni contenute nel rapporto, tali da causare “gravi danni alla loro reputazione” e ripercussioni a livello economico.

“La prima persona della mia famiglia a essere trasferita per fini rieducativi è stato mio cugino Iskender nel settembre 2016”, racconta Yalkun Uluyol ad Altreconomia. Il ricercatore, che ora vive in Turchia, ha lasciato lo Xinjang nel 2010 per proseguire gli studi all’estero e da allora non ha più contatti con i suoi parenti, compresi i suoi genitori. “Più di 30 persone della mia famiglia sono scomparse senza lasciare traccia -racconta-. Alcuni sono stati rilasciati, mentre altri sono stati trasferiti in modo coercitivo in strutture di produzione o condannati al carcere”.

Il padre di Yalkun è scomparso nel giugno 2018: “Mi ci sono voluti due anni per rintracciarlo in un centro di detenzione a Qumul e poi altri due anni per trovarlo in un’altra prigione, a Ürümqi, dove deve scontare 16 anni solo perché uiguro”. Yalkun non ha nemmeno avuto modo di fargli conoscere la figlia e quando, a inizio dicembre 2023, la bambina è morta l’uomo non ha potuto condividere il proprio dolore con nessuno della propria famiglia: “Nemmeno con i miei suoceri: vivono sotto stretta sorveglianza in quanto uiguri e non possono nemmeno parlare con mia moglie, starle vicino in questo momento di dolore”.

L’obiettivo di Yalkun è sensibilizzare l’opinione pubblica sulle violazioni dei diritti umani di cui sono vittima gli uiguri e sulla condizione di lavoro forzato cui sono sottoposti sia nello Xinjang sia in altre parti della Cina. Eppure, i consumatori di tutta europa continuano ad acquistare inconsapevolmente prodotti realizzati grazie a questo sfruttamento, sebbene l’attenzione internazionale sul problema stia crescendo. L’Unione europea, infatti, discute una Direttiva sulla due diligence aziendale che ha l’obiettivo di accrescere la protezione dell’ambiente e dei diritti umani in Europa e a livello mondiale.

I ricercatori invitato le istituzioni europee a prendere esempio dagli Stati Uniti che, nel 2022, hanno introdotto l’Uyghur forced labor prevention act (Uflpa), ovvero una norma che vieta le importazioni dalla regione dello Xinjiang e che introduce il concetto di “presunzione confutabile”. Si deve cioè dare per scontato che tutti i prodotti che arrivano dalle fabbriche dello Xinjiang siano stati realizzati attraverso lo sfruttamento forzato dei lavoratori uiguri; spetta quindi all’importatore dimostrare il contrario. Dalla sua introduzione, la legge ha bloccato beni per un valore pari a due miliardi di dollari, costringendo molte aziende a modificare le proprie catene di approvvigionamento.


Aggiornamento del 19 febbraio 2024: Nel valutare la catena di fornitura, una versione precedente di questo rapporto ha erroneamente identificato alcuni produttori come clienti di Anhui Huamao. Tali soggetti non avrebbero dovuto comparire e il rapporto è stato rivisto dai ricercatori stessi per eliminare i riferimenti a queste aziende e ai loro clienti a valle (tra quest’ultimi Decathlon). Mb

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