Finanza / Opinioni
Unicredit su Bpm. La guerra del capitalismo finanziario passa dal risparmio gestito
L’obiettivo di fatto dell’Offerta pubblica di scambio del valore di 10 miliardi di euro è quello di creare un colosso, dominato da Unicredit, con oltre 20 milioni di clienti che contenda il controllo del risparmio gestito europeo ai fondi americani guidati da BlackRock. Una mossa che scompagina il piano del governo italiano. Per lo Stato sociale, comunque vada, non ci sono buone notizie. L’analisi di Alessandro Volpi
L’Offerta pubblica di scambio lanciata dall’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, nei confronti di Bpm sembra voler coronare e dare un senso all’acquisto da parte dello stesso Bpm, insieme a Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin (cassaforte dei Del Vecchio), di Anima Sgr, su cui pende un’opa proprio di Bpm, e della quota privatizzata di Mps, che di Anima è la banca “distributrice”.
L’Offerta pubblica di scambio in questione ha un valore di oltre 10 miliardi di euro e prevede un aumento di capitale di Unicredit del 13,9%. L’obiettivo, al di là delle dichiarazioni di Orcel, è chiaro: creare un colosso del risparmio, dominato da Unicredit, con oltre 20 milioni di clienti che contenda il controllo del risparmio gestito europeo alle Big Three.
Si tratta, in larga misura, dell’attuazione del Piano Draghi e del Piano di competitività di Letta; tenere in Europa i famosi 33mila miliardi di euro di risparmi europei, attraverso la creazione di colossi, magari sostenuti dalla Commissione europea, disponibile ad ampie deroghe in materia di concentrazione monopolistica e solerte nell’avviare un mercato unico dei capitali dove tali monopoli possano scorrazzare senza troppi limiti “nazionali”.
La partita decisiva in questo senso però è duplice: i nuovi colossi europei devono trovare in Europa impieghi remunerativi per azionisti e clientela, altrimenti continuerà la trasmigrazione del risparmio verso gli Stati Uniti, nonostante il nuovo assetto europeo, e, al tempo stesso, devono resistere alle pressioni delle medesime Big Three -BlackRock, Vanguard e State Street- che ormai molte delle banche europee hanno in pancia.
Alla luce di ciò è fondamentale capire se la possibile aggregazione Unicredit-Commerzbank, ad oggi sospesa, si faccia sotto l’egida degli azionisti europei o sotto le insegne di BlackRock, grande azionista di entrambi gli istituti.
Certo, l’elezione di Trump, con la scelta di figure come Lutnick e Bessent nei ruoli chiave dell’economia, non certo “ortodossi” rispetto alla linee guida degli attuali padroni di Wall Stret, sembra aver, almeno in parte, reso meno imbattibili le Big Three e, paradossalmente, rianimato la destra liberal europea.
Sì, la destra liberal, perché i colossi europei del risparmio gestito avranno bisogno, come le Big Three, della demolizione degli Stati sociali per disporre di una maggior massa di risparmiatori in cerca di polizze e fondi. La piena riscoperta della politica del rigore del riformato Patto di stabilità e le strategie restrittive della Bce della presidente Lagarde rafforzano una simile direzione.
In questo scenario, molto teso, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che il governo potrebbe intervenire con lo strumento del Golden power per fermare l’Offerta pubblica di scambio varata da Orcel.
È chiaro che l’esecutivo aveva in mente un “terzo polino” quasi italiano con Caltagirone, Eredi Del Vecchio, Anima, Bpm e Mps, magari non insensibile alle sirene del governo e beneficiato dallo smantellamento della presenza pubblica, a partire dalla destinazione del Tfr e dalla detassazione della previdenza complementare.
La mossa di Unicredit ha scompaginato però quel piano. Giorgetti, in realtà, sembra non capire che ormai con l’attuale Commissione von der Leyen, ispirata proprio dal Piano Draghi, non c’è più spazio per piccoli player nazionali e che la partita è quella delle mega-aggregazioni per la conquista del risparmio gestito. Unicredit vuole essere una di quelle e semmai lo scontro sarà tutto interno tra Allianz e BlackRock, i suoi azionisti, per decidere se tale aggregazione sarà “americana” o meno.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
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