Altre Economie
Una filiera italiana per la lana
I maglioni di B-Origin sono davvero “made in Italy”. L’azienda marchigiana usa materie prime nazionali, dal filato alle tinture naturali
500 pecore italiane hanno pascolato per lui. dai seicento chili di filato di lana sono stati ricavati quasi 1.200 capi di vestiario. “Se vuoi ottenere qualcosa, devi incoraggiare qualcuno a farlo” racconta Giordano Costantini, che ha messo una filiera produttiva che parte dalle pecore, passa per il filo di lana finito e tinto in modo naturale e arriva a bei maglioni 100% made in Italy, venduti nel circuito dei Gas ma anche in alcuni negozi di abbigliamento tradizionali. Un circuito virtuoso, attivato nel giro di un anno e mezzo, che contribuisce a sostenere un paesaggio fatto di pascoli e pastorizia. “‘B-Origin’, il nostro marchio, significa un ritorno alle origini -racconta Giordano-: agli allevatori italiani, alla colorazione naturale con tinte vegetali, a un’economia fatta di relazioni, senza intermediari. L’esperienza di tosare le pecore con gli allevatori e poi fermarsi a metà mattina per uno spuntino con i loro salumi e formaggi è unica. Questa, per me, è già un’economia differente”.
La storia di Giordano s’intreccia con quella della sua famiglia. Nel 1986 la madre acquista l’attrezzatura per un maglificio, e nasce così la ditta Hi-Tex, che dal 2001 ha una sede di 500 m2 a Lucrezia di Cartoceto (Pu), con 14 macchinari e 6 addetti, dai 26 ai 50 anni d’età. Giordano, che ora ha 41 anni portati sulle spalle con la stessa morbidezza del suo maglione, ha lasciato le scuole alle superiori per seguire la ditta di famiglia e lavorare in giro per l’Europa come tecnico programmatore di macchinari per maglieria. Apparecchi che per lui non hanno segreti, come la tecnologia a filo continuo, senza cuciture, che garantisce vestibilità e praticità di movimenti. Da un lato, Hi-Tex continua a produrre capi conto terzi per molti nomi noti della moda, dall’altro si profila la strada di una linea in proprio. Con la crisi, cresce la spinta a innovare. Nasce così B-Origin, il primo marchio di Hi-Tex, frutto della scelta di affrancarsi dal contoterzismo, i cui margini che coprono a malapena i costi di produzione, di uscire dalla stagionalità, che a volte fa correre e in altri mesi (agosto-ottobre e gennaio-marzo) lascia con le mani in mano. Giordano può far vivere il proprio sogno di “un modello economico diverso da quello che si subisce” grazie alla complicità del Consorzio Arianne per le fibre naturali (vedi box a p. 14). “Ci ha aiutato ad arrivare in fondo al filo -ammette Giordano, che nel Consorzio è entrato lo scorso anno e ora ne è consigliere-. La filiera della lana in Italia si è completamente persa: i costi di tosatura non garantiscono un profitto, e la lana è diventata un rifiuto speciale da smaltire. Dal dopoguerra l’allevamento ovino è stato destinato al mercato dei formaggi e delle carni, mentre la lana viene importata da Argentina, Australia e Nuova Zelanda. Questo per i nostri pascoli ha significato abbandono e degrado. Il progetto ‘Arianne’ dell’Enea punta al reinserimento di queste attività, con una selezione della fibra e la messa in rete di allevatori e aziende. Fino ad oggi mancava l’utilizzatore finale: ora ci siamo noi, anche se un’unica azienda non può reggere il sistema. Se sbagliamo un campionario, che succede, crolla tutto?”.
Una volta trovato il fornitore, in particolare l’azienda zootecnica Gran Sasso in Abruzzo, il bandolo della matassa per B-Origin andava svolto dal lato del colore “giusto”. Il percorso è stato lungo, fino all’incontro con la Cooperativa agrituristica “La Campana” di Montefiore dell’Aso (Ap, www.agriturismolacampana.it) a cui deve il know-how quanto a colorazione naturale. “Fatta salva la lana bianca e quella ‘moretta’ da ‘pecora nera’ che usiamo senza tintura -spiega Giordano-, con loro abbiamo ottenuto il blu dal guado, il verde chiaro dalle foglie di mirtillo, il beige dal papavero… Gli esperimenti sono iniziati con la colorazione della maglia finita, un fallimento. Siamo passati alla tintura della matassa, ma non c’era uniformità. Siamo approdati alla tinta in fiocco, ossia della lana prima di filarla. Così la ‘Tintoria di Quaregna’, a Biella, ora riesce ad assicurarci anche colori melangiati e un ottima qualità”.
Se lo chiamo “stilista” arrossisce, ma i primi 25 modelli della collezione autunno-inverno disegnati da Giordano, sul mercato da ottobre, testimoniano in pieno uno stile italiano, moderno e riuscito. Bottoni in cocco naturale e design sartoriale, ora i suoi capi sono in vendita sul sito www.b-origin.it e distribuiti dalla rete dei Gas, scelti come principali interlocutori proprio per la possibilità di spiegar loro il prodotto “senza delegare a 2 centimetri di etichetta tutta questa storia”, ma anche in negozi di bio-wear o “etici”. “A noi interessa che sia pagato chi ci mette la lana, sono loro che aggiungono valore in questa catena produttiva e loro che vanno remunerati e stimolati alla selezione della fibra. Il costo del filato è concordato, ed è una gran novità”. Prossima tappa, una linea in cotone bio per le stagioni calde, per “tenere il filo” con negozi e clienti. Perché, conclude Giordano, “il camaleonte del logo è come noi: colori che si mimetizzano con la natura, vista stereoscopica, amore per lo slow living ma anche la capacità di scatti. Ecco, noi speriamo di esser così”. —
Il filo di "Arianne"
Il vello delle pecore non interessa più il comparto tessile italiano, che importa dall’estero i filati per i suoi capi. Tosare le pecore per gli allevatori è solo un problema: la lana non vale nemmeno il costo della tosatura, ed è smaltita come rifiuto speciale. Mentre alcune razze rischiano l’estinzione, come la“pecora nera”, c’è chi sta riportando in auge la “lana moretta” al naturale e non solo. Ne sa qualcosa il professor Marco Antonini dell’Università di Camerino, presidente del Consorzio internazionale per le fibre tessili naturali “Arianne” (www.consorzioarianne.eu) di base proprio a Camerino (Mc), un progetto nata dalla collaborazione tra l’ateneo e l’Enea, per “avvicinare i produttori al mercato e sostenere il reinvestimento di parte del valore aggiunto nell’impresa agricola”. “Gli addetti ai lavori parlano per l’Italia di una produzione annuale di circa 14 milioni di chili di lana. Solo 1,5 milioni vengono utilizzati dalle imprese italiane, mentre il resto si dice venga esportato, secondo alcuni in Inghilterra, per altri nei Paesi dell’Est”. I numeri, però, sfuggono alle verifiche. Quanto al Consorzio: “Attualmente esistono solo due centri raccolta: uno a Biella, aperto nel 2009 presso The Wool Company, e uno abruzzese, a Castel del Monte, a cura del Parco nazionale del Gran Sasso, attivato di recente. Qui nel 2010 sono stati raccolti 20mila chili di lana, circa 30 mila quest’anno”. Per ciascun capo si parte da circa 5 chili di lana “sucida” per arrivare a quasi 1,5 chili di filato, con un ricavo netto per capo ovino nell’ordine dei 2,5 euro. Dal 1950 ad oggi la produzione italiana è diminuita: oggi è lo 0,5% di quella globale.