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Diritti / Approfondimento

Un progetto per portare legalità e diritti nella “Fascia trasformata”

Nei tre Comuni della “Fascia trasformata” di Acate, Vittoria e Santa Croce Camerina la popolazione straniera residente è pari al 16,3% del totale. A fronte di una media nazionale dell’8,7% © Progetto Presidio - Caritas di Ragusa

L’iniziativa è stata lanciata a gennaio da un gruppo di associazioni e istituzioni della provincia di Ragusa, con l’obiettivo di affrontare alla radice lo sfruttamento lavorativo e la grave marginalità delle persone impiegate nelle serre

Tratto da Altreconomia 249 — Giugno 2022

Restituire compattezza a un territorio frammentato e caratterizzato dalla diseguaglianza sociale, dallo sfruttamento lavorativo in agricoltura e dall’inquinamento ambientale. Con questo ambizioso obiettivo il progetto “Trasformare la Fascia trasformata” ha preso il via a gennaio 2022 grazie alla collaborazione di numerose realtà associative e istituzionali della provincia di Ragusa. Al centro dell’intervento ci saranno i lavoratori, in maggioranza stranieri, impiegati nelle serre agricole presenti nelle campagne dei Comuni di Santa Croce Camerina, Vittoria e Acate che, come abbiamo raccontato sul numero di maggio di Altreconomia, vivono in condizioni sociali di grave marginalità.

“Questo progetto può davvero rappresentare una svolta -spiega Vincenzo La Monica referente di progetto per l’associazione capofila I tetti colorati, braccio operativo del presidio locale di Caritas italiana-. Per la prima volta uniscono le forze diversi attori che da anni si occupano del tema dello sfruttamento nella ‘Fascia trasformata’ e, soprattutto, l’intervento cercherà di affrontare i problemi alla radice”.

Il progetto, cofinanziato da Fondazione con il Sud per una durata di tre anni, prevede diverse azioni su tre aree di intervento: la promozione dell’inclusione sociale di lavoratori e lavoratrici, la valorizzazione delle filiere agroalimentari virtuose e la riqualificazione ambientale del territorio. “L’elemento innovativo del progetto è agire su più piani -spiega Letizia Palumbo ricercatrice dell’associazione L’Altro diritto (Adir) che è partner di progetto-. La prospettiva di intervento guarda alla complessità del fenomeno dello sfruttamento lavorativo intervenendo sui fattori strutturali che alimentano la vulnerabilità delle persone coinvolte”. Un continuo dialogo tra dimensione individuale (i lavoratori e le lavoratrici), e dimensione socio-economica, sia con riferimento al tema delle filiere e del mercato del lavoro sia con riguardo alle tipologie di intervento realizzate da istituzioni e associazioni del territorio. “L’idea di collaborare tra diverse realtà è funzionale perché la condivisione di dati, metodologie di lavoro e prospettive permette a ogni partner di mettere in discussione e migliorare il proprio operato. Con un vantaggio anche per le istituzioni” spiega Palumbo.

“Viene definita ‘Fascia trasformata’ perché le serre hanno trasformato il paesaggio e l’assetto economico della zona” – Vincenzo La Monica

La “Fascia trasformata” è un insediamento di coltivazioni in serra -estese su una striscia di terra lunga circa 80 chilometri- dove sono attive circa 8mila aziende agricole, con un’incidenza dell’11% sul Pil provinciale. Si stimano in totale 14mila lavoratori e lavoratrici impiegati nella fascia: cinquemila di loro vivono stabilmente nelle campagne data la lunga stagionalità delle principali colture. Più del 50% di loro stranieri. “Viene definita ‘Fascia trasformata’ proprio perché le serre hanno trasformato il paesaggio e tutto l’assetto economico e sociale della zona -spiega La Monica-. È un contesto complicato perché si sono stratificati diversi bisogni: i lavoratori e le lavoratrici vivono ‘segregati’ nelle campagne, distanti più di dieci chilometri dalla città, spesso vittime di sfruttamento lavorativo e, con riferimento alle donne, anche sessuale. A questo si aggiunge la condizione critica di bambini e ragazzi che hanno scarso accesso all’istruzione”. In totale, nei tre Comuni la popolazione residente straniera è di 13.682 persone, il 16,3% del totale contro una media nazionale dell’8,7%.

“Acate conta novemila abitanti di cui 3.500 stranieri: è il secondo Comune per incidenza in Italia. Le istituzioni scontano il problema del dissesto economico e i servizi spesso non vengono garantiti adeguatamente. Da questi dati sfuggono gli ‘invisibili’”. Uomini, donne e bambini spesso senza permessi di soggiorno che hanno forti difficoltà all’accesso ai servizi sanitari. “Le istituzioni negli ultimi anni sono molto più presenti e attente al tema -spiega La Monica-. Serve però cambiare paradigma: i protocolli sono importanti, ma non basta aspettare le persone agli sportelli. Serve ‘sporcarsi le mani’ incontrandole nei luoghi che abitano”.

Il progetto prevede, sul piano sociale, l’accompagnamento verso l’autonomia per 24 famiglie attraverso la costruzione di un “progetto di vita consapevole” guidato da un’équipe multidisciplinare. Gli operatori della cooperativa Proxima, partner di progetto, si occuperanno proprio di questa educativa territoriale. I Tetti colorati, invece, provvederà alla presa in carico di almeno 30 beneficiari che vivono una condizione di disagio abitativo: l’obiettivo è l’inserimento in case dignitose, all’interno dei centri abitati, seguendo la metodologia dell’housing first, un approccio innovativo al tema dei senza dimora. E poi ancora azioni sull’accesso al diritto della salute, informazioni e orientamento legale per almeno cento donne con un intervento specifico su nuovi stili di mobilità, maggiormente condivisi e sostenibili. “È un tema centrale -continua La Monica-. Bisogna far sì che le persone possano uscire dalle serre. Car sharing, piccole doti economiche per l’acquisizione della patente o per la conversione di quelle straniere. Spesso non si va dal dottore perché è troppo distante e non si può perdere una giornata di lavoro”.

Il progetto prevede anche un intervento per affrontare le gravi criticità ambientali presenti sul territorio. È facile infatti imbattersi, lungo gli 80 chilometri della “Fascia trasformata”, in estese discariche a cielo aperto e nelle cosiddette fumarole. “La situazione è drammatica -spiega Alessia Gambuzza di Legambiente-. I rifiuti dell’attività agricola in serra sono contenitori di fitofarmaci, manichette per l’irrigazione, fili per legare le piante di pomodoro: un’enorme quantità di plastica che dovrebbe essere smaltita come rifiuto speciale e che invece spesso viene abbandonata sul terreno o, peggio ancora bruciata”. Da un lato quindi l’inquinamento legato alla produzione, dall’altro il tema dei rifiuti urbani. “Chi è invisibile dal punto di vista giuridico lo è anche per lo smaltimento dei rifiuti urbani -continua Gambuzza-. È un problema nel problema: chi vive in campagna produce immondizia che non viene ritirata dal servizio di igiene urbana o banalmente non può contribuire pagando la tassa dei rifiuti”.

Nella “Fascia trasformata” anche la gestione dei rifiuti è problematica. Non solo per quanto riguarda lo smaltimento degli oggetti utilizzati nelle serre nelle varie fasi di lavorazione, ma anche per quanto riguarda gli scarti domestici © Progetto Presidio – Caritas di Ragusa

La giustizia ambientale si lega così inevitabilmente a quella sociale e viceversa: l’obiettivo di questa azione sarà realizzare attività di sensibilizzazione e informazione per chi vive nelle serre e soprattutto per le imprese attive sul territorio. Il ruolo delle aziende è infatti centrale. E la Camera del lavoro di Ragusa, in collaborazione con L’Altro diritto, si occuperà proprio del tema della filiera agricola iniziando con un intervento di elaborazione di dati sul contesto. “Attraverso le banche dati dell’Inps -spiega Giuseppe Scifo, segretario generale della Cgil di Ragusa- mapperemo il numero di lavoratori e delle lavoratrici che, almeno sul piano formale, hanno ufficializzato il proprio rapporto di lavoro per avere un’idea più precisa del numero dei lavoratori impiegati nel territorio. Faremo un simile censimento anche con riferimento alle aziende ricostruendo quante sono e le loro dimensioni per avere così un’idea più chiara anche di come è strutturato il comparto”.

L’obiettivo è provare a ricostruire quali siano le aziende in cui le condizioni di sfruttamento derivano da condizioni imposte dalla filiera e dove invece nascono da un tentativo dell’azienda di aumentare il proprio guadagno illecitamente. “Lo sfruttamento non è mai giustificabile -precisa Scifo-. Bisogna considerare però che nella ‘Fascia trasformata’ si produce l’ortofrutta in serra destinata al mercato del fresco e il ruolo della grande distribuzione è centrale. Il piccolo produttore è costretto ad affidarsi al mercato al di fuori di una normale dinamica di domanda e offerta: il mercato stabilisce il prezzo senza contrattazione e il produttore cede il passo. In un settore in cui, tra l’altro, il costo d’impianto è molto alto perché sono coltivazioni dalle procedure produttive molto tecniche”.

Considerando che la filiera corta di vicinanza tra luogo di produzione e di consumazione è irrealizzabile (in provincia di Ragusa, ad esempio, si produce il 40% del fabbisogno nazionale di melanzane) l’obiettivo è sviluppare filiere articolate sostenibili, che garantiscano i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, affiancando e sostenendo le aziende virtuose. Uno dei risultati del progetto vuole quindi essere la creazione di un marchio che risponda a un preciso disciplinare, che individua gli elementi di sostenibilità nel processo produttivo e di filiera per rendere anche il consumatore più “consapevole” nel sapere perché quella specifica frutta o verdura che compra abbia un prezzo più alto rispetto ad altri. “È un lavoro arduo e ambizioso ma vogliamo provare a stabilire delle alternative concrete rispetto all’ordinario -conclude Scifo-. Finalmente con una visione d’insieme”.

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