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Un porto sicuro dopo lo sfratto. Il modello vincente di Piacenza
Il progetto “Casa tra le case” è promosso dalla Caritas di Piacenza-Bobbio in collaborazione con le istituzioni locali: un “patto” tra proprietari e inquilini garantisce un alloggio temporaneo, gli operatori un percorso di sostegno
Marzo 2020. A Piacenza la pandemia è appena scoppiata e la città è tra i principali epicentri di diffusione del Covid-19. Giulio e Luigi, due fratelli, rischiano di finire in strada: i soldi per pagare le spese non bastano, è arrivata l’ingiunzione di sfratto. L’attività di Giulio è fallita, mentre Luigi non può lavorare perché ha una disabilità e percepisce solo una piccola pensione. Si rivolgono ai servizi sociali, che gli propongono di entrare a far parte del progetto “Casa tra le case”, nato in città per andare incontro alle fragilità che si determinano a causa degli sfratti e di politiche abitative carenti. Vengono loro offerti un alloggio e un percorso di supporto per riacquistare la propria autonomia: oggi Giulio ha un nuovo lavoro e insieme al fratello ha messo da parte dei soldi, che gli permettono di prendere in affitto un nuovo appartamento sul libero mercato.
Giulio e Luigi (i nomi sono di fantasia, ndr) sono due dei 280 beneficiari di “Casa tra le case”, portato avanti dal 2016 dalla Caritas di Piacenza-Bobbio insieme alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, in collaborazione con le istituzioni locali e i servizi sociali. L’obiettivo è quello di creare una rete di proprietari che mettono a disposizione il proprio alloggio a canone ridotto per le famiglie o i singoli sotto sfratto: attraverso un percorso ad hoc, che va dai sei ai 18 mesi e viene ritagliato sui bisogni della persona, il progetto permette di ritrovare la propria indipendenza, sul piano economico ma anche sociale. “È un modello che funziona -spiega Francesco Argirò, responsabile dell’area Promozione umana della Caritas Piacenza-Bobbio e ideatore del progetto-. Altrimenti non si spiegherebbe una percentuale del 93% di persone che, concluso il percorso, ritornano in casa propria, ottengono un alloggio popolare o trovano un appartamento in affitto sul libero mercato”.
“L’accompagnamento serve a sentirsi meno soli e riacquistare fiducia: l’importante è tornare a essere padroni della propria vita” – Francesco Argirò
Il 7 gennaio 2022 è finito il blocco temporaneo degli sfratti introdotto dal governo con il decreto Cura Italia nell’aprile 2020: a inizio 2022, in Italia sono in tutto 32mila gli sfratti in via d’esecuzione quasi tutti per morosità incolpevole. “Negli ultimi anni il problema degli sfratti si è acuito, in particolare con la pandemia -continua Argirò-. Questo gennaio abbiamo registrato più segnalazioni rispetto alla media: più che di nuove povertà, bisognerebbe parlare di nuovi poveri. Il Covid-19 ha allargato ulteriormente la forbice tra abbienti e meno abbienti, ma non dimentichiamoci che le famiglie erano già in crisi prima di finire sotto sfratto: adesso la questione sta venendo a galla, ma è solo la punta dell’iceberg”.
La politica ha provato a tamponare il problema stanziando fondi: con la legge di Stabilità per il 2021-2023, sono stati erogati contributi per l’affitto pari a 210 milioni di euro per il 2021 e 230 milioni per il 2022, oltre 50 milioni per il 2021 destinati al fondo per morosità incolpevole. Ma i sindacati degli inquilini stimano che, nonostante ciò, 150mila famiglie rischiano oggi di rimanere senza casa: mancano incentivi fiscali alle proprietà, oltre che risorse per la costruzione e la riqualificazione degli alloggi popolari.
“Il supporto economico però non è tutto -commenta Francesco Argirò-. A volte dare una casa non basta: appena finisce quel tipo di aiuto, la persona rischia di non farcela da sola. La forza del nostro progetto sta nel percorso di accompagnamento che si affianca all’alloggio: organizziamo attività di formazione, accompagniamo le famiglie nella ricerca del lavoro e le aiutiamo a orientarsi nella burocrazia, spesso troppo complessa. Questo serve a sentirsi meno soli e riacquistare fiducia: l’importante alla fine è ritornare alla propria progettualità e a essere padroni della propria vita”. Attualmente il progetto, portato avanti da una coordinatrice, due operatori e alcuni volontari, mette a disposizione 28 appartamenti, per un totale di 30 percorsi di accompagnamento attivi e cento persone accolte, tra famiglie e singoli, di cui metà italiane e metà straniere. Le case sono dislocate in diversi punti tra Piacenza e sette Comuni limitrofi: “Questo ci allontana dal rischio dello stigma e della ghettizzazione -spiega Argirò- permettendoci di attivare le risorse del territorio: la comunità è un pilastro fondamentale del nostro progetto”.
I proprietari che mettono a disposizione le case a canone ridotto -circa la metà del prezzo di mercato- sono comuni cittadini, ma anche parrocchie o enti del terzo settore che decidono di partecipare a un’iniziativa solidale. A ognuno di loro è data una garanzia sulla cura della casa, oltre che sul pagamento dell’affitto e delle utenze. “Anche se il canone è ridotto, le persone devono comunque pagarlo: quando non ce la fanno è il Comune di riferimento a farsi carico delle spese -continua Argirò-. Tuttavia è raro che accada: si tratta di famiglie che, se supportate, riescono a ripartire. Ad esempio, c’è la possibilità di attivare un tirocinio formativo che garantisca la continuità di reddito, e che dia il tempo ad altri componenti del nucleo familiare di trovare un lavoro”.
È quello che è successo a Lucy (nome di fantasia, ndr), cittadina nigeriana accolta nel progetto nel 2016 insieme a suo marito e ai due figli. Inizialmente il marito lavorava, ma dopo pochi mesi se n’è andato abbandonando la famiglia. Lucy era disorientata e non sapeva cosa fare, poi si è messa in gioco e ha tirato fuori le sue abilità: ha cominciato un tirocinio, prima in un ufficio pubblico, poi nel laboratorio di taglio e cucito della Caritas. Oggi ha un lavoro come caposquadra della sartoria in una ditta di Piacenza, e vive con i suoi figli in una casa in affitto. “È stata accompagnata passo dopo passo, ce l’ha messa tutta e si è ripresa la sua vita -conclude Argirò- Quando è uscita dal progetto aveva un altro volto: era più consapevole, più indipendente. Questa è per noi la soddisfazione più grande”.
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