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Cultura e scienza / Approfondimento

Un malinconico e lacerante ritratto di una Gaza che non c’è più

La spiaggia di Gaza city © Mohammed Al Hajjar, RoverImages, Pacific Press

Il romanzo “La moglie” di Anne-Sophie Subilia è ambientato nel 1974, un anno dopo la guerra del Kippur e sette dopo l’inizio dell’occupazione israeliana della Striscia. Che viene raccontata dalla compagna di un delegato internazionale

Tratto da Altreconomia 268 — Marzo 2024

È una Gaza che non c’è più la co-protagonista del romanzo “La moglie” di Anne-Sophie Subilia. E anche per questo il sentimento dominante è la malinconia. Una malinconia dolce e al tempo stesso lacerante, specie se letto ora, mentre contro la Striscia di Gaza è in corso, in risposta al terribile attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, l’operazione israeliana più distruttiva e disumana della storia.

Ma è una Gaza di tanti anni fa quella in cui il libro è ambientato: siamo nel 1974, un anno dopo la guerra del Kippur e sette dopo l’inizio dell’occupazione israeliana della Striscia (oltre che di Gerusalemme Est, della Cisgiordania, del Sinai e delle alture del Golan). La protagonista si chiama Piper, ma il suo nome viene pronunciato solo una manciata di volte. È sempre definita “la moglie del delegato”, ovvero di Vivian, in missione nei territori palestinesi occupati con la Croce Rossa.

A Gaza ci sono gli israeliani, che già allora accendevano e spegnevano la luce a loro piacimento, mandando la Striscia in blackout. Ci sono i checkpoint e la sera i controlli che svuotano la spiaggia infinita, che costeggia la Striscia, affacciata sul Mediterraneo. A volte si sentono esplosioni e rumori di combattimenti, si incrociano carcasse di mezzi militari e uomini, ma restano sempre sullo sfondo.

Solo gli arresti arbitrari dei palestinesi irrompono nella storia, ma la Gaza che non c’è più, quella che oggi manca, non è quella della guerra. È una Gaza fatta di lentezza, di ritmi che sembrano dettati dal sole, di povertà, ma al tempo stesso di grande fascino. La vita pullula nei mercati e nelle vie del centro, tra animali stretti alla corda e frutta succosa, tra nuvole di fumo di carne alla griglia, petrolio e polvere.

Mentre si leggono pagine piene di vita, è quasi inevitabile pensare a quello che non c’è più e soprattutto chiedersi che cosa ne sarà della Striscia e dei suoi abitanti

Sembra di vederle le montagne di arachidi che non crollano, le gabbie di uccelli stramazzanti, i banchi di olive e i limoni canditi. Sembra di sentirli gli artigiani gridare, in un arabo incomprensibile, ma al tempo stesso chiaro. Tra pelli, tessuti e gioielli mediorientali. Macchine e motociclette che strombazzano all’impazzata e carretti, trainati da vecchi asini. Come quello di Hadj, l’anziano palestinese che cura il giardino della casa del delegato, il “giardino di sabbia”, con l’ostinazione e la pazienza tipica degli abitanti di Gaza.

La sabbia invade, si infila ovunque, sembra moltiplicarsi e conoscere ogni angolo della Striscia e dei suoi abitanti. Produce un senso di fastidio e di ineluttabilità, richiamando alla mente l’occupazione. La malinconia è il sentimento dominante anche per Piper, che cerca il suo spazio in un mondo così diverso. Sa di essere una privilegiata, tra altri privilegiati: gli internazionali venuti ad “aiutare”, che la sera si incontrano al “Beach club”, fumano e bevono alcolici nella terrazza affacciata sul mare.

La moglie osserva e si intrufola nella vita degli abitanti di Gaza, vorrebbe poterla trasformare, forse proprio come suo marito, ma Gaza non cambia. Almeno fino a oggi. Mentre si leggono pagine piene di vita, è quasi inevitabile pensare a quello che non c’è più e soprattutto chiedersi che cosa ne sarà della Striscia e dei suoi abitanti. Le baracche dei pescatori di allora, oggi sembrerebbero dei palazzi agli sfollati che hanno perso tutto, incluso il diritto di ritrovare qualcosa al loro ritorno. I bambini di allora come quelli di oggi sono vestiti di stracci e camminano scalzi, anche in inverno.

La moglie” è un romanzo di Anne-Sophie Subilia tradotto da Carlotta Bernardoni-Jaquinta per Gabriele Capelli editore (160 pagine, 18 euro)

La spiaggia era la valvola di sfogo degli abitanti di Gaza, il loro angolo di bellezza e godimento: coppie innamorate, bambini che giocavano e famiglie festanti la popolavano dalla mattina, fino al calar del sole, quando le jeep israeliane li costringevano ad andarsene. La spiaggia era una certezza anche fino al 7 ottobre: oggi è rischioso anche solo attraversarla, come per ogni angolo della Striscia. E sulla sabbia vengono stesi panni a rappresentare i bambini uccisi: 4,5 chilometri di stoffa e più di 12mila vite perse, un numero che continua a salire. Ma c’è anche la Cisgiordania sullo sfondo della storia e Gerusalemme Est, con le sue mura rosate. Lui visita le carceri, dove i palestinesi venivano già arrestati in maniera arbitraria: c’è l’impegno e la frustrazione dell’operatore umanitario internazionale che osserva, registra, ma può fare poco. Ieri come oggi.

E poi c’è il Sud della Striscia, quello al confine con l’Egitto, dove a metà febbraio oltre un milione di gazawi sono accalcati in tende di plastica e fortuna. Allora il Sinai era israeliano, oggi è egiziano, ma la contesa in un certo senso continua. Gli israeliani sarebbero ben contenti di mandarci i palestinesi di Gaza -sono stati svelati progetti ministeriali in questo senso- ma l’Egitto si rifiuta. E il mondo, inetto, sta a guardare. Nel libro, la moglie e il delegato hanno un passaporto internazionale che permette loro di muoversi liberamente, senza file e controlli eccessivi, come invece era già allora per i palestinesi, per quanto la Striscia di Gaza non fosse isolata come quella che conosciamo oggi, diventata nel 2007 una prigione a cielo aperto con la salita al potere di Hamas.

Il privilegio è anche quello di poter osservare la situazione da dentro e da fuori: nel 1974 era già evidente il controllo asfissiante a cui erano sottoposti i palestinesi della Striscia, tanto che anche la quiete di Gaza per Piper è a tratti soffocante. Eppure viene spontaneo immaginare che un giorno, tornata in Svizzera col suo baule carico di monili, tappeti e tendaggi, le sarebbe probabilmente mancata.

E chissà che male le farebbe vedere Gaza oggi.

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