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Diritti / Attualità

Un anno di osservazione dal buco della serratura del Cpr di Milano

© Mikhail Pasynkov, unsplash

L’associazione Naga e la rete “Mai più lager-No ai Cpr” hanno pubblicato a fine ottobre un documentato rapporto in cui denunciano le principali criticità della struttura di via Corelli. Opacità e ostracismo delle istituzioni avrebbero ostacolato la raccolta di informazioni e materiale, a partire dalle cartelle mediche dei trattenuti

Il signor R.S. è nato in Italia 35 anni fa da genitori di origine bosniaca, parla con uno spiccato accento veneto ed è padre di quattro figli, tutti di nazionalità italiana. Ma non ha mai ottenuto la cittadinanza e di fatto è apolide. Dopo essere stato richiuso nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano, nel mese di dicembre 2022 è stato “rimpatriato” verso la Bosnia ed Erzegovina: un Paese dove non era mai stato e dove non ha alcuna rete di supporto.

“Al primo tentativo ha avuto una crisi di panico talmente acuta che il pilota si è rifiutato di trasportarlo”, denuncia il Naga, storica associazione milanese che dal 1987 presta assistenza sanitaria e legale ai cittadini stranieri, che ha raccolto questa drammatica vicenda all’interno del reportAl di là di quella porta. Un anno di osservazione dal buco della serratura del Cpr di Milano” presentato lo scorso 25 ottobre.

Il rapporto è il frutto di un lavoro lungo e complesso, che riunisce informazioni ed elementi raccolti dai volontari dell’associazione e da quelli della rete “Mai più Lager-No ai Cpr” tra il maggio 2022 e il maggio 2023 attraverso accessi civici generalizzati, cartelle cliniche e altra documentazione ottenuta da ricorsi al Tar, un sopralluogo effettuato a marzo 2023 e soprattutto le testimonianze dirette delle persone trattenute. A differenza di quanto avviene negli altri Cpr italiani, le persone che vengono trattenute in via Corelli hanno la possibilità di tenere con sé e utilizzare il proprio telefono cellulare: in questo modo possono contattare il centralino telefonico messo a disposizione dalle due associazioni e inviare video o foto alla pagina Facebook della rete.

“Osservare un Cpr equivale a guardare un oggetto oscuro e al tempo stesso invisibile, nascosto da alte mura pressoché impenetrabili dalla società civile e talvolta anche dalle persone addette ai lavori”, scrivono le organizzazioni che denunciano l’opacità e l’ostruzionismo opposto a qualsiasi tentativo di ottenere informazioni su quello che avviene all’interno della struttura gestita dalla società Martinina Srl (al centro di questa nostra inchiesta).

Una delle principali criticità di via Corelli denunciata nel rapporto è la “sistematica violazione del diritto alle cure” che si osserva a partire dall’ingresso durante la cosiddetta “visita di idoneità”: “Solo chi è ‘idoneo’ al trattenimento, cioè sano, può restare nel Cpr -spiega Nadia Bovino, operatrice del servizio legale-. Ma le visite sono brevissime, ci si limita a chiedere alla persona se sta bene e vengono svolte senza strumenti diagnostici adeguati a evidenziare patologie che non sono visibili a occhio nudo”.

La carenza di un’adeguata assistenza sanitaria all’interno del Cpr milanese emerge poi da alcune drammatiche vicende ricostruite nel rapporto. È il caso, ad esempio, di J.M. un trattenuto che ha lamentato per giorni giramenti di testa e continui svenimenti: “Siamo stati informati della sua condizione da un suo compagno di cella, preoccupato per la sua condizione -racconta l’attivista Teresa Florio-. Solo a seguito di un ricovero al pronto soccorso si è scoperto che aveva un tumore al cervello, eppure è stato rimandato nel Cpr. Dopo le nostre segnalazioni al Garante nazionale è stato dichiarato inidoneo al trattenimento ed è stato liberato. Non solo: la sua situazione sanitaria è talmente critica che, ai sensi della normativa, non può essere espulso”. Eppure, nonostante la gravità della sua condizione, al momento del rilascio l’uomo è stato semplicemente lasciato davanti al portone del centro: “Ha dovuto trascinarsi in un bar e da lì chiamare la famiglia”, sottolinea Florio.

Un’altra vicenda ricostruita nel report è quella di B.A., cittadino marocchino considerato idoneo al trattenimento nel Cpr nonostante un’anamnesi di accompagnamento che evidenzia una sospetta patologia cardiaca congenita che può portare a morte improvvisa. Sebbene l’uomo abbia diritto a un permesso di soggiorno per motivi di salute, ha subito ben due tentativi di rimpatrio a cui è riuscito a sfuggire grazie a uno pneumatico bucato del furgone che lo stava portando all’aeroporto nel primo caso. Mentre la seconda volta ha preso a testate la cappelliera dell’aereo, insultato hostess e passeggeri inducendo così il pilota a ordinare il suo allontanamento dal velivolo.

Per ricostruire questa e altre vicende che dimostrano la violazione del diritto alla salute all’interno del Cpr di via Corelli, gli attivisti e i legali del Naga hanno dovuto promuovere un ricorso al Tar per vedere rispettato il diritto di alcune persone trattenute a ottenere una copia della loro cartella clinica: “La negazione di questi documenti è tanto più grave in quanto questi, in molti casi, possono indurre il giudice a liberare la persona in ragione delle sue condizioni di salute”, denunciano le associazioni nel rapporto.

Un altro aspetto a cui il dossier dedica ampio spazio è quello del diritto alla difesa e di come questo venga gravemente limitato o negato: per i trattenuti è difficile nominare un legale di fiducia, mentre quelli d’ufficio vengono nominati per una sola udienza, spesso all’ultimo minuto, e non sono tenuti a prendere in carico la difesa della persona per le udienze successive. Il Naga denuncia anche la sostanziale mancanza di informazioni legali ai trattenuti, che dovrebbero essere messi a conoscenza dei loro diritti e della situazione nel Cpr: “Le persone trattenute ci dicono che non sanno nulla perché non ricevono spiegazioni. Quello all’informazione legale è un diritto che non viene rispettato nemmeno sulla carta -spiega Nadia Bovino- perché non vengono distribuiti opuscoli: la carta è un materiale incendiabile e quindi potenzialmente pericoloso”.

Gli avvocati che collaborano con il Naga denunciano inoltre come il Cpr non brilli per efficienza quando si tratta delle convocazioni per presenziare in udienza davanti al giudice di pace: i legali vengono avvisati tardi, con poche ore di preavviso oppure non vengono nemmeno chiamati. C’è poi un elemento che, tra i tanti, evidenzia la situazione paradossale in cui si trovano i migranti trattenuti nel Cpr e le difficoltà che devono affrontare i loro legali per garantire il diritto alla difesa: durante i colloqui, che si svolgono all’interno di una saletta dedicata, la porta deve restare aperta “per motivi di sicurezza” e gli agenti restano sulla soglia, a circa tre metri di distanza. “Troppo poco per non sentire i contenuti dei colloqui -lamentano gli autori del report-. In carcere questi motivi di sicurezza non ci sono, avvocati e assistiti hanno il diritto di conferire liberamente, in carcere. Nel Cpr no”.

Tutto questo si verifica all’interno di un contesto caratterizzato dallo squallore dei miserrimi moduli abitativi e dei servizi, passando per la totale mancanza di igiene e privacy dei bagni. Lenzuola di carta, armadietti a vista murati e senza ante, bagni e docce senza porte (solo separé di plastica bianca, aperti in alto e in basso). Nelle stanze e nel cortile il freddo è pungente o il caldo è asfissiante e nemmeno il cortile offre un minimo di refrigerio nei mesi più caldi dal momento che è coperto da un tetto di plexiglas. In diverse occasioni, inoltre, i trattenuti hanno denunciato come il cibo fosse immangiabile per la presenza di vermi al suo interno.

La routine nel centro è caratterizzata dalla disperazione che si esprime in pugni sulle porte, grida, richieste di aiuto che restano spesso inascoltate, tentativi di suicidio e atti di autolesionismo (dai tagli all’ingestione di pile e lamette), somministrazione eccessiva di psicofarmaci come ha documentato Altreconomia. Il Naga denuncia “la disperazione di trovarsi in un non-luogo ed essere ridotti a dei corpi deumanizzati, senza nessuna prospettiva e comprensione del motivo per cui siano finiti in quel buco nero”. Gli avvocati che collaborano con l’organizzazione parlano infatti della progressiva “zombizzazione” delle persone trattenute.

“Quello che succede nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non è frutto di una malagestione, ma di chiare scelte politiche che si traducono in prassi e pratiche amministrative e di gestione illecite e disumane, finanziate dai soldi pubblici. Il tutto è ancora più grave perché le persone che vengono portate in un Cpr non hanno commesso reati, ma solo un illecito amministrativo, ovvero essere irregolari sul territorio -concludono Naga e rete “Mai più lager-No ai Cpr”-. Già di per sé quindi la limitazione della libertà personale è una misura sproporzionata, ma tutto ciò che abbiamo descritto nel dossier rende questa misura intollerabile, inaccettabile e disumana”.

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