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“Trattati come animali” lungo la rotta. Non si fermano i respingimenti dalla Croazia

Un poster della street artist Laika sul muro di un edificio abbandonato con la scritta "Life is not a game" a Velika Kladuša, in Bosnia ed Erzegovina © Chiara Fabbro

Human Rights Watch torna a denunciare le violazioni sistematiche e gli abusi ai danni delle persone in movimento da parte degli agenti di frontiera. Esortando il governo di Zagabria a interrompere respingimenti ed espulsioni collettive e sottolineando l’ipocrisia dell’Ue: “Finanzia questa ‘gestione’ dei confini e finge di non vedere”

Laila aveva poco più di dieci anni quando, nel 2016, è fuggita dall’Afghanistan insieme ai suoi genitori e ai suoi due fratelli. Dopo aver attraversato Iran, Turchia e Grecia, ha raggiunto la Bosnia ed Erzegovina all’inizio del 2021. Da qui hanno provato decine di volte ad attraversare il confine con la Croazia, senza successo: dopo essere stati intercettati dalla polizia di frontiera di Zagabria, che ogni volta ha ignorato le loro richieste di asilo, sono stati sistematicamente costretti a ritornare in Bosnia ed Erzegovina. Intervistata da Human Rights Watch, Laila ha raccontato che i respingimenti sono stati spesso effettuati nel cuore della notte, talvolta nei pressi di città bosniache, in diverse occasioni la famiglia è stata abbandonata in mezzo ai boschi, a decine di chilometri dal centro abitato più vicino.

“Non avevamo idea di dove fossimo -ha detto Laila, descrivendo il suo primo respingimento-. Era notte fonda e la polizia ci ha ordinato di continuare a camminare dritto davanti a noi fino a quando non avessimo attraversato il fiume che separa la Croazia dalla Bosnia. Abbiamo trascorso la notte nella foresta”. In quell’occasione, gli agenti hanno anche distrutto tutti gli smartphone in possesso della famiglia, rendendo così ancora più difficile orientarsi: solo al mattino successivo Laila, i suoi genitori e i suoi fratelli hanno incrociato una strada e hanno dovuto camminare per trenta chilometri per raggiungere la città bosniaca di Velika Kladuša.

La testimonianza della giovane è contenuta nel report di Human Rights Watch “‘Trattati come animali’: respingimenti di persone in cerca di protezione dalla Croazia alla Bosnia ed Erzegovina” pubblicato il 3 maggio di quest’anno e che denuncia, di nuovo, i respingimenti sistematici e spesso violenti commessi dalla polizia croata ai danni delle persone in movimento. Una pratica tuttora in corso malgrado le smentite ufficiali, le presunte attività di monitoraggio istituzionale e gli impegni reiterati (e mai mantenuti) a rispettare il diritto d’asilo e le altre norme sui diritti umani.

Human Rights Watch denuncia inoltre come per la polizia di frontiera sia pratica comune distruggere o sequestrare telefoni cellulari, denaro, documenti di identità e altri effetti personali, oltre a sottoporre adulti e bambini a trattamenti umilianti e degradanti, e in alcuni casi razzisti. “I respingimenti sono da tempo una procedura standard per la polizia di frontiera croata, mentre il governo inganna le istituzioni dell’Unione europea nascondendosi dietro parole vuote e vane promesse -ha dichiarato Michael Garcia Bochenek, avvocato di Human Rights Watch per la divisione diritti dell’infanzia e dei minori e autore del rapporto-. Questi deplorevoli abusi devono finire, così come l’ambiguità delle istituzioni che li avallano”.

A partire dal 2016, quando l’Ungheria ha sigillato la propria frontiera con la Serbia con la costruzione di una lunga barriera, la Croazia è diventata uno snodo cruciale lungo la rotta balcanica. La polizia di Zagabria, denuncia Hrw, ha risposto all’aumento del numero di persone che cercano di attraversare il Paese con sistematici e violenti respingimenti, senza tenere in considerazione le richieste di asilo e le condizioni di fragilità di donne e minori. Secondo le stime del Danish Refugee Council, tra gennaio 2020 e dicembre 2022 sarebbero circa 30mila le persone in transito costrette a ritornare in Bosnia ed Erzegovina (con ogni probabilità però si tratta di un dato sottostimato), circa il 13% dei respingimenti registrati nel 2022 ha coinvolto minori soli o in viaggio con le loro famiglie. È successo anche nell’aprile 2023 a due adolescenti (Firooz e Hai, entrambi di 15 anni) che hanno raccontato di essere stati picchiati e presi a calci da agenti della polizia croata che avrebbero anche sottratto loro 500 euro, prima di costringerli a ritornare in Bosnia sebbene i due avessero dichiarato di essere minorenni: “Hanno detto che se ci ribeccano ce le daranno sul serio”.

Anche Stephanie, 35enne camerunense, è stata vittima di un violento respingimento da parte dei poliziotti croati: “Ci hanno fatto spogliare. Ci hanno preso i telefoni. Ci hanno perquisiti. Abbiamo detto che volevamo chiedere asilo in Croazia. Abbiamo detto che avevamo bisogno di un medico. Ci hanno risposto: ‘Andatevene’. Ci hanno deportato senza alcuna considerazione per la nostra situazione. Era la quinta volta che ci succedeva”.

© Human Rights Watch

Proprio per monitorare e affrontare questo tipo di abusi, la Croazia ha attivato -su iniziativa e con finanziamenti dell’Unione europea- un presunto meccanismo di monitoraggio delle frontiere. I parametri e i risultati ottenuti da questo meccanismo però “non sembrano promettenti”, come osserva Human Rights Watch: “I suoi membri, infatti, non possono fare visite senza preavviso e non possono recarsi ai valichi di frontiera non ufficiali. Non è chiaro nemmeno come vengano nominati e come definiscano le priorità da rispettare. I rapporti redatti finora sono stati modificati per eliminare qualsiasi critica alla polizia e al ministero dell’Interno croati”.

Inoltre, in base a quanto ricostruito dall’organizzazione per i diritti umani, nella seconda metà del 2022, quando l’esame della domanda di adesione della Croazia all’area Schengen era ormai nelle fasi finali, la polizia del Paese ha fatto ricorso agli ordini di espulsione sommaria come strategia alternativa, anche in questo caso senza considerare le necessità di protezione né garantire il diritto al giusto processo. Alla fine di marzo 2023, si legge nel report, questa pratica sembrava essere stata abbandonata.

Nei mesi di marzo e aprile 2023, la polizia croata ha inoltre inviato diverse centinaia di persone in Bosnia ed Erzegovina in virtù di un “accordo di riammissione” tra i due Paesi, manifestando l’intenzione di continuare a farlo. Si tratta di una procedura formale che avviene ai posti di frontiera ufficiali, ma quelle svolte dalla Croazia alla Bosnia ed Erzegovina non tengono conto delle necessità di protezione né tutelano l’importante diritto a un giusto processo, incluso il diritto di appello: di fatto, secondo Human Rights Watch, si tratta di espulsioni sommarie e di massa.

“L’Unione europea ha stanziato ingenti fondi per la gestione dei confini croati, senza pretendere le dovute garanzie sul fatto che le pratiche adottate dalle autorità rispettino le norme internazionali sui diritti umani e le leggi comunitarie”, scrive ancora Hrw, denunciando il fatto che il meccanismo di monitoraggio delle frontiere avviato nel 2021 e finanziato dall’Unione europea ha finora dimostrato una grave carenza sotto il profilo dell’indipendenza.

I respingimenti effettuati dalla Croazia violano le norme internazionali contro la tortura, i maltrattamenti e le espulsioni collettive, nonché il principio di non respingimento (non-refoulement), che vieta l’allontanamento forzato verso un Paese non sicuro. Inoltre, sono in contrasto con le norme sui diritti dei minori. Per questi motivi Hrw esorta le autorità croate a “interrompere immediatamente i respingimenti e le espulsioni collettive verso la Bosnia ed Erzegovina”, invitando gli altri Paesi dell’Unione europea (tra cui l’Italia e la Slovenia) a non trasferire persone in Croazia finché quest’ultima non cesserà le espulsioni collettive e non garantirà il rispetto del diritto d’asilo.

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