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Esteri / Opinioni

Il Piano Ue per i Balcani minaccia i diritti dei migranti

La commissaria agli Affari interni della Commissione europea Ylva Johansson © European Union 2019 – Source: EP.

Mette al centro le politiche di respingimento e punta a “confinarvi” tutti coloro che vengono respinti alle frontiere esterne dell’Unione. La rubrica di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 257 — Marzo 2023

Il 5 dicembre 2022 la Commissione europea ha presentato il Piano d’azione dell’Unione europea sui Balcani occidentali che comprende anche interventi pe-r la gestione delle migrazioni. Grande enfasi viene data nel documento ai dati di Frontex, in base ai quali tra gennaio e novembre 2022 ci sarebbero stati quasi 130mila tentativi di attraversamento irregolare delle frontiere esterne dell’Unione “su tutte le rotte dei Balcani occidentali, un numero tre volte superiore rispetto allo stesso periodo del 2021”. Se si considera che le persone vengono spesso respinte più volte e vengono quindi riconteggiate, l’enfasi allarmistica che il Piano pone su questi numeri appare eccessiva.

Nel documento della Commissione nessuna analisi viene invece condotta su chi siano i migranti in aumento lungo questa rotta, da quali Paesi provengano e quali siano le cause della loro fuga. Eppure in gran parte provengono da contesti di guerra e di persecuzione come Afghanistan, Siria e Iraq: questi tre Paesi da soli rappresentano oltre il 40% di tutte le domande di asilo nell’Unione europea. Una seria analisi dei dati porterebbe la Commissione a riconoscere l’esistenza di un grave problema di mancanza di protezione internazionale e ad aprire di conseguenza una discussione su come realizzare per i rifugiati dei canali di ingresso protetti.

Si preferisce invece ignorare completamente questi temi cruciali, inquadrare tutti i migranti come una generica e indistinta massa minacciosa e proporre come soluzione “il rafforzamento della gestione delle frontiere”. Con conseguente fornitura a tutti i Paesi dell’area di attrezzature per la sorveglianza e un rafforzamento dei “dispiegamenti congiunti di Frontex”. Oltre a un miglioramento della cooperazione per i rimpatri, l’allineamento della politica dei visti e il rinforzo dei “rimpatri volontari e non volontari” (le due tipologie sono divenute assai contigue tra loro).

L’obiettivo primario del Piano, dunque, non è come proteggere i rifugiati, bensì come impedire loro l’accesso ai Balcani, e quindi all’Europa. È vero che il documento prevede anche di “rafforzare la capacità di asilo dei partner dei Balcani occidentali” ma nella mezza paginetta dedicata a questo argomento, non vengono indicati gli interventi sociali, culturali ed economici da mettere in atto per accompagnare gli Stati dei Balcani occidentali nella gestione di un cambiamento molto delicato (l’accettazione di nuove migrazioni, spesso in contesti ancora segnati da conflitti su base etnico-nazionale) destinato a produrre impatti significativi sulla società. Né si prevede un programma di reinsediamento verso l’Unione europea anche se tale necessità è evidente, considerato l’aumento degli arrivi e i tempi lunghi necessari a costruire ex novo sistemi di asilo adeguati.

Il Piano prevede solo di agire per un “ulteriore rafforzamento e accelerazione delle procedure di asilo e registrazione”, non una parola viene spesa sul rafforzamento della qualità di tali procedimenti, che ovunque nei Balcani si concludono con il rigetto di quasi tutte le domande creando così in tutta l’area un sistema di radicale dissuasione a presentare richiesta di protezione internazionale. Quanto all’obiettivo di “sostenere una migliore gestione della capacità di accoglienza” il Piano si affretta a precisare che le azioni saranno condotte “sul modello del programma pilota ‘Ipa’ per il centro di accoglienza multifunzionale di Lipa”: un luogo divenuto simbolo della logica dei campi di confinamento dove, come evidenziato sul numero di febbraio di questa rubrica e sul sito di Altreconomia, è in corso la costruzione di un centro di detenzione.

Il Piano dell’Ue per il diritto d’asilo nei Balcani non è dunque la costruzione di sistemi di accoglienza, magari diffusa, né l’aiuto affinché gli Stati dell’area si trasformino progressivamente in Paesi d’asilo, ma esprime solo la volontà di attuarvi un confinamento di tutti coloro che non sono stati precedentemente respinti. Una logica violenta verso le persone e molto pericolosa se si considera la precaria stabilità geopolitica dell’area.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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