Diritti / Intervista
Serve un cambio di sguardo per rendere efficace il contrasto alla tratta di esseri umani
In occasione della XVI giornata europea contro la tratta Giulia Serio, analista dell’Ufficio delle Nazioni Unite sulla droga e il crimine (Unodc), fa il punto su quali sono le nuove frontiere del fenomeno e come i diversi Paesi si stanno attrezzando per contrastare le reti criminali e aumentare la protezione per le vittime
Superare una visione “stereotipata” delle vittime di tratta e migliorare la raccolta dei dati per avere una fotografia del fenomeno che sia più “reale” possibile. Sono questi i due pilastri che Giulia Serio, analista presso l’Ufficio delle Nazioni Unite sulla droga e il crimine (Unodc) che si occupa di contrasto alla criminalità organizzata, individua per migliorare l’operato di istituzioni e Ong in occasione della XVI Giornata europea contro la tratta. L’Unodc cura il “Global report on trafficking in persons” che ogni due anni fa il “punto” sulle informazioni e le tendenze delle azioni intraprese per combattere il fenomeno in 148 Paesi, fornendo una panoramica dei modelli di sfruttamento e dei flussi di tratta a livello globale. In attesa del documento aggiornato, che sarà pubblicato a gennaio 2023, Serio riflette sulle nuove urgenze.
Serio, cominciamo dal tema più attuale in Europa legato al fenomeno della tratta. Dallo scoppio del conflitto in Ucraina del 24 febbraio le istituzioni europee hanno concentrato i loro sforzi per prevenire la vittimizzazione di chi scappa dal Paese. A che punto siamo?
GS Iniziano a uscire i primi dati e nella tragedia possiamo dire che è un caso di studio interessante. Almeno per due motivi. Soprattutto le donne originarie dell’Ucraina sono state nel recente passato identificate come vittime di tratta in vari Paesi europei, soprattutto nell’Europa occidentale e in quelli dell’Est. I servizi e le istituzioni le “conoscono”. Abbiamo quindi anche dei casi giudiziari che ci danno delle indicazioni su come la criminalità organizzata si è “mossa” nel passato rispetto al loro sfruttamento e questo ci permetterà di valutare come le reti del traffico si riattiveranno in una situazione di deterioramento dello status socio-economico e anche di sicurezza delle persone in fuga dal conflitto. È come avere sia una fotografia del “prima” e del “dopo”. In generale quindi c’è un segnale d’allerta ma ci sono anche dei dati e una conoscenza approfondita del fenomeno che può aiutare a migliorare la risposta delle istituzioni. E questo è fondamentale. Per esempio nello Yemen, dove un altro conflitto in atto solleva preoccupazioni crescenti non abbiamo nessun dato, nessuna informazione sulle vittime di tratta identificate. E non avere conoscenza di un fenomeno, neanche “numerica”, significa una risposta meno efficace.
E il secondo motivo per cui è un “caso di studio” interessante?
GS Per la prima volta è stata attivata la protezione temporanea e quindi potremo vedere cosa succede nel momento in cui viene garantita una via legale e sicura per la migrazione alle persone che fuggono da un conflitto. E quindi potremo vedere come incide l’accesso al mercato del lavoro e dei sistemi di protezione sociali nei Paesi di destinazione sul rischio di tratta.
La mancanza di vie legali per accedere in Europa, quindi, aumenta i casi di tratta?
GS Spesso si tende a parlare di tratta come un fenomeno esclusivamente legato alla migrazione. Ma non è così. La maggior parte delle vittime di tratta identificate a livello mondiale non sono migranti ma cittadini dello Stato all’interno del quale vengono identificate come vittime, in un fenomeno definito come “tratta domestica”. Per quanto riguarda la tratta transnazionale, la mancanza di vie legali e sicure per la migrazione è un fattore che aumenta la possibilità di vittimizzazione. Migrazione non è quindi sinonimo di tratta. La migrazione “irregolare” rappresenta poi una minima parte della mobilità internazionale. Incide soprattutto, invece, la vulnerabilità socio-economica del soggetto che rischia di cadere nella rete criminale e rispetto a cui determinate politiche creano un ambiente favorevole per la nascita di forme di sfruttamento. Spesso si tratta di persone che hanno uno svantaggio socio-economico, che subiscono una discriminazione di genere, a livello etnico, di razza, discriminazione con una difficoltà di accesso ai servizi. Più marcata è la marginalizzazione, maggiore è il rischio di tratta e sfruttamento. E su questo incidono le difficoltà di non accedere facilmente a posizioni giuridiche regolari nei Paesi di transito e di arrivo.
In Italia, quando si parla di tratta oggi l’immagine più comune è quella di una donna di origine nigeriana trafficata nel nostro Paese ai fini dello sfruttamento della prostituzione. Se cambiamo prospettiva a livello mondiale, come si modifica la rappresentazione del fenomeno?
GS La tratta è un fenomeno molto complesso perché racchiude in una sola parola delle realtà di sfruttamento in realtà molto variegate, in cui alcune sono più simili a delle situazioni di violenza domestica o di genere: pensiamo alla prostituzione, allo sfruttamento nei lavori domestici o nel settore di cure. Altre forme, invece, sono molto più simili al lavoro forzato nell’ambito lavorativo o allo sfruttamento in attività criminali. Quindi da un lato incide la diversità, dall’altro il fatto che le autorità di polizia, il sistema giudiziario e i servizi riescano a vedere solo la punta dell’iceberg del fenomeno. E i sistemi di identificazione funzionano in un modo per cui, una volta che si è riusciti con successo effettivamente a intercettare un certo profilo o una certa forma di sfruttamento, il canale si autoalimenta. Per cui sempre più vittime con quello stesso profilo e quella stessa forma di sfruttamento vengono identificate. Questo da un lato ci garantisce una forza di risposta ma dall’altro, da solo, non ci permette di rispondere ai bisogni delle persone colpite dalla tratta in generale. L’Unodc cerca di incoraggiare gli Stati membri di fare studi sulla prevalenza e sull’incidenza del fenomeno: significa andare oltre i dati delle autorità giudiziarie per stimare i livelli di sfruttamento reale, oltre quanto visibile agli occhi delle autorità e degli enti anti-tratta.
In Italia, infatti, meno dell’1% delle persone sono identificate come vittime impiegate nelle attività criminali, quali ad esempio la vendita o il trasporto di stupefacenti. L’Unodc invece denuncia un’incidenza sei volte più alta. Perché?
GS Innanzitutto i dati globali e regionali presentati non sono rappresentativi della situazione nei singoli Stati. La risposta alla tratta varia da Paese a Paese, e così variano le forme di sfruttamento maggiormente identificate. In generale, è difficile per gli operatori, per gli enti anti-tratta e anche per le forze di polizia, identificare delle forme di tratta che non rientrano nell’ideale tipo di vittima e quindi, per esempio, la vittimizzazione di uomini magari in salute, con un passato migratorio, coinvolti in attività caratterizzate da un elevato grado di infiltrazioni della criminalità organizzata può essere di più difficile identificazione. Ma ovviamente è complesso: il Protocollo di Palermo (il Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani firmato a Palermo nel 2000 aveva come obiettivo il sostegno agli Stati membri nell’elaborazione delle leggi e dei piani per contrastare il fenomeno ndr) stabilisce che chi compie attività illecite ma vive una vicenda di tratta non può essere criminalizzato per i reati connessi alla tratta.
A proposito di stereotipi come valuta l’impatto sulla “dimensione della scelta”. Non c’è l’idea per cui la tratta per forza deve avere una dimensione di inganno (“Non sapevo che avrei dovuto prostituirmi”) per essere tale?
GS È importante sottolineare come, sempre il Protocollo di Palermo delle Nazioni Unite, prevede diversi elementi del reato che vanno molto oltre l’elemento di inganno: l’abuso di posizione vulnerabile e l’abuso di potere. Su questo bisogna lavorare: la giurisprudenza internazionale è pacifica nel riconoscere che il consenso (o la mancanza di) non sia un elemento essenziale ai fini dell’identificazione del reato, le persone possano aver accettato fin dall’inizio l’attività che avrebbero svolte o possono essere rimaste all’interno delle dinamiche di sfruttamento perché non avevano alternative. Certo è che bisogna continuare ad aumentare la consapevolezza sull’importanza del principio di non colpevolezza per le vittime di tratta.
Quale potrebbe essere un esempio di tratta a fini di sfruttamento in attività criminale legata ai movimenti migratori?
GS Penso, ad esempio, ai fenomeni legati al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina via mare. Abbiamo sempre più casi in cui il capitano della barca ha lo stesso profilo, dal punto di vista della vulnerabilità delle altre persone migranti presenti nella barca e le motivazioni che lo avevano portato a guidare la barca erano simili ai compagni di viaggio. Una persona può essere condannata solo se trae beneficio dall’attività che svolge di contrabbando: a volte il cosiddetto scafista riceve uno sconto sul viaggio o non paga la tratta. Succede spesso, ad esempio, nella rotta per le Canarie ma non solo. Sempre più studiosi sottolineano l’abuso della posizione di una vulnerabilità in cui la persona si è trovata nel momento in cui ha compiuto questo reato: salvare la sua vita, oltre che quella degli altri. E questa la rende potenzialmente una vittima di tratta ai fini dello sfruttamento in attività criminale. Un altro esempio interessante riguarda il caso di donne vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale criminalizzate per prostituzione o favoreggiamento della prostituzione.
I dati ci dicono che le condanne per tratta sono in diminuzione. Perché?
GS Purtroppo la ricerca a nostra disposizione non ci permette ancora di rispondere a questa domanda. Le tendenze globali ci dicono però che il contesto incide sulle dinamiche di prevenzione del reato. Per esempio, il crollo del numero di ispezioni condotte dagli organi deputati, come per esempio ispettorati del lavoro. Vediamo una riduzione progressiva della sindacalizzazione dei lavoratori, tra iscritti e sigle sindacali registrate. Queste tendenze sicuramente non sono incoraggianti perché riducono il livello di protezione per i lavoratori. Ed è anche importante cercare di lavorare sul tema della prevenzione del reato e non solo sull’aspetto del contrasto. Elementi come contro disparità di genere, discriminazione per status e discriminazione per appartenenza etnica sono fondamentali. E poi le autorità di contrasto sottolineano la difficoltà di arrivare a condanne per la particolare tipologia del reato.
Ovvero?
GS Spesso i processi di tratta si basano sulla testimonianza delle vittime che è un elemento probatorio essenziale e fa da cardine nel processo. Ma la collaborazione è molto difficile da ottenere anche perché ci sono scarsi incentivi per la collaborazione delle vittime, visto che a livello di compensazioni e risarcimenti ci sono pochi precedenti in cui si è arrivati a una condanna e a un risarcimento.
Anche in Italia si sottolinea molto questo aspetto. Ma forse non è indicativo del fatto che, se la testimonianza della vittima è l’elemento portante mancano elementi probatori e indagini di un certo tipo?
GS Sicuramente è da osservare con attenzione questo aspetto. Bisogna a delle tecniche investigative diverse che possano rispondere anche alla molteplicità degli attori che ci sono dal punto di vista della tratta: dalle organizzazioni criminali, ai singoli individui, alle piccole e medie imprese implicate in queste vicende.
Cosa si può migliorare?
GS Serve un maggiore sforzo sulla raccolta dati e maggiore trasparenza nelle attività di governo e delle forze di contrasto alla tratta. È necessario integrare le analisi dei diversi attori, istituzionali e non, che operano sul tema. Torno su quanto già detto: i dati giudiziari, ad esempio, possono darci una percezione “privilegiata” del fenomeno ma che resta parziale. La forza sta nel mettere insieme diversi punti di vista di attori molto diversi per cercare di ottenere un’immagine il più possibile vicina e vicina al reale. Uno studio realizzato recentemente dall’Università di Madrid ci dice che solo il 26 per cento delle vittime vengono identificate. Per ogni uomo vittima di tratta identificato nove restano invisibili. Per le donne il rapporto sale e per ogni donna identificata, altre due restano prive di assistenza. Avere studi simili permette di pianificare le risposte, le risorse, i fondi in maniera più ragionata. E dare così risposte più efficaci.
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