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Senza alberi, semi né idee. Il fallimento annunciato del Pnrr sulla forestazione urbana
“Se non abbiamo alberi da piantare è perché non abbiamo vivai forestali”, denuncia Marco Bussone, presidente dell’Unione nazionale Comuni comunità enti montani (Uncem). Il flop della forestazione nelle città certificato di recente anche dalla Corte dei Conti è in realtà il prodotto di scelte politiche sbagliate. Ecco perché
Se consideriamo il fallimento della misura del Piano nazionale di ripresa e resilienza legato alla forestazione urbana, evidenziato dalla Corte dei Conti e riportato in un articolo del Corriere della Sera firmato da Milena Gabanelli e Gianni Santucci, come un episodio, dimostriamo di non aver chiaro ciò che sta accadendo da decenni intorno al settore forestale in Italia.
“Il tema non è solo semi sì, alberi no. Nel senso di ‘non abbiamo piantato alberi’, cioè l’accusa di Bruxelles. Era scontato non lo potessimo fare, non avendo alberelli”, ha spiegato Marco Bussone, presidente dell’Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem). Aggiungendo che se non abbiamo alberi da piantare è perché non abbiamo vivai forestali, come illustra nel dettaglio anche Alessandro Cerofolini nel libro “Le meraviglie dei boschi italiani”, uscito a marzo per Altreconomia. “Purtroppo, nel corso degli ultimi anni sono stati chiusi diversi vivai forestali; numerosi tra quelli rimasti attivi versano in condizioni di sottoproduzione. A parte la Sardegna, la Campania e la Puglia con 12 vivai, in ciascuna Regione sono rimasti attivi mediamente due-tre vivai, con un’estensione media di circa quattro ettari, in grado di produrre, per unità di superficie, un valore medio di circa 13mila piantine annue per ettaro. Si evidenzia tuttavia che molti vivai forestali pubblici, attualmente, si dedicano alla produzione di piantine ornamentali e per il verde urbano anziché alla riproduzione di piantine forestali da destinare a nuovi imboschimenti. Complessivamente, i vivai pubblici italiani riescono a produrre circa 4,5 milioni di piantine forestali all’anno. Non giovani alberi, ma piccole piantine alte pochi centimetri”.
Ecco perché l’indignazione per i semi piantati invece degli alberi previsti nella misura del Pnrr nella misura “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano” che investe 330 milioni di euro per “realizzare 6.600 ettari di nuove foreste, preservare e valorizzare la biodiversità locale per migliorare la qualità della vita e dell’aria in 14 città metropolitane”, “a me fa un po’ sorridere”, dice Bussone ad Altreconomia. Le questioni sono altre, aggiunge: “Il Pnrr sulle misure forestali ha fatto errori giganteschi, che non sono casuali ma figli di scelte politiche. Nella prima versione del Piano per le foreste c’era un miliardo di euro, per interventi legati anche al dissesto idrogeologico, che sono ‘saltate’ nel passaggio tra Governo Conte II e Governo Draghi, quando c’è stata la riscrittura parziale del Pnrr che ha visto la soppressione di alcune misure”.
Alla luca del Testo unico forestale del 2018 e della Strategia forestale nazionale, spiega Bussone, “con un miliardo di euro avrebbero potuto realizzarsi misure di forestazione urbana, di certificazione forestale in merito alla gestione sostenibile e alla generazione di servizi ecosistemici, ma anche per promuovere il superamento della percellizzazione della proprietà o investimenti per la creazione di filiere, a partire dalla costruzione di segherie, quelle che mancano quasi ovunque in Italia. Quando questa componente di spesa salta, ci si ritrova sguarniti di un’iniziativa sulle foreste e così il Governo Draghi s’inventa una misura sul rimboschimento nelle aree urbane”.
Una misura che secondo Bussone “fa riferimenti a enti troppo eterogenei, basti pensare all’area metropolitana di Napoli o a quella di Milano e paragonarla a quella di Torino, che ha dentro anche territori alpini come il Sestriere, e intimamente fragili e deboli dal punto di vista istituzionale, forse incapaci di gestire e programmare un intervento come quello legato alla forestazione urbana”. Inoltre, il bando era fin troppo preciso nel fornire alcune indicazioni, come le dimensioni minime delle aree in cui piantare gli alberelli.
Ma l’elemento centrale, per il presidente dell’Uncem, è appunto che “gli alberi non ci sono: la misura del Pnrr nasce da un’onda ideologica, ma l’indicazione di piantare mille miliardi di alberi per salvare il clima (lo ha detto, tra gli altri, Stefano Mancuso, ndr) è impossibile da realizzare se non muove sul presupposto di avere materiale di moltiplicazione, semi allevati fino ad avere alberelli da almeno 4-5 centimetri di diametro, un metro e mezzo o due metri di altezza. In Italia stanno scomparendo i vivai forestali, quelli incaricati di occuparsi della moltiplicazione dei semi e dell’accrescimento. È tutto questo ad averci portato a piantare dei semi, perché gli alberi non ci sono”.
Ecco perché secondo Bussone la chiave di lettura di quel che è successo intorno alla misura del Pnrr non è l’indignazione ma l’analisi della complessità. Con la sua associazione sta lavorando, tra gli altri temi, a promuovere Accordi di foresta, contratti che puntano a costruire filiere coinvolgendo proprietari forestali (pubblici o privati), produttori di beni e servizi, trasformatori e commercializzatori, ma anche residenti, consumatori e fruitori dei prodotti forestali e dei servizi ecosistemici. O, ancora, la Borsa italiana del legno, una piattaforma digitale di matchmaking tra domanda e offerta con 400 prodotti. “Un elemento centrale è la costruzione di segherie di valle”, spiega Bussone, altrimenti “si ripeterà quanto successo dopo la tempesta Vaia, quando il legname caduto è stato portato via, trasformato e venduto da aziende austriache”. La misura degli Accordi di foresta è finanziata con 10 milioni di euro dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Sono pochi. Bussone spiega di aver chiesto al ministro con delega al Pnrr, Raffaele Fitto, “di aumentare il finanziamento a favore delle politiche forestali, insieme a quelli dedicati alle infrastrutture sociali di comunità nelle aree interne e alle green communities, garantendo accesso alla risorse pubbliche anche ai 160 partenariati che non hanno finora ottenuto sostegno”.
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