Diritti / Attualità
Se Frontex riduce a “rischi potenziali” le violenze accertate contro i migranti in Ungheria
A pochi giorni dalla dura risoluzione del Parlamento europeo che ha definito l’Ungheria il “primo Stato membro autoritario nella storia dell’Ue” e stigmatizzato l’attacco ai diritti fondamentali dei profughi, l’Agenzia europea che controlla le frontiere ha confermato il proprio supporto a Budapest per le procedure di rimpatrio
Il 15 settembre 2022 il Parlamento europeo ha approvato una durissima risoluzione sull’Ungheria, definita il “primo Stato membro autoritario nella storia dell’Unione europea”, da non potersi considerare più una democrazia. Ha rilevato inoltre un “evidente rischio di violazione grave” da parte di Budapest “dei valori su cui si fonda l’Unione” anche, ma non solo, per via dell’attacco ai “diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo e dei profughi”, come certificato negli anni dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Nemmeno una settimana dopo l’approvazione (larga) di quella risoluzione, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex ha però confermato il proprio supporto in Ungheria alle procedure di rimpatrio, limitandosi a dirsi “consapevole” di quelli che ha derubricato a meri “rischi potenziali” cui sono esposti i richiedenti asilo e le persone in transito nel Paese governato da Viktor Orbàn. Lo ha messo nero su bianco la stessa Agenzia in un documento pubblicato il 21 settembre 2022 che dovrebbe rappresentare la sintesi dei passi avanti fatti da Frontex in tema di rispetto dei diritti umani, trasparenza e gestione corretta dei finanziamenti (il budget di quest’anno supera i 750 milioni di euro).
“L’Agenzia attribuisce la massima importanza alla decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha individuato gravi carenze nel sistema di asilo ungherese e Frontex è consapevole dei rischi potenziali. Tuttavia -scrive l’organo guidato oggi ad interim da Aija Kalnaja, subentrata dopo le dimissioni dell’ex direttore esecutivo Fabrice Leggeri di fine aprile- l’Agenzia ha anche la responsabilità di adempiere al suo mandato di sostegno agli Stati membri”.
Quelle che per Frontex sono solo “gravi carenze” o “rischi potenziali”, in realtà, sono acclarate aggressioni istituzionali a danno delle persone, portate avanti da tempo. Le ha messe in fila lo stesso Parlamento europeo, riprendendo le pronunce di condanna di Budapest da parte di diversi organismi europei e internazionali.
È il caso ad esempio della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 17 dicembre 2020 nella causa C-808/18, Commissione europea/Ungheria (“Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”). L’Ungheria è stata condannata per aver previsto che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di Paesi terzi o da apolidi possano essere presentate solo nelle zone di transito di Röszke e Tompa. Non solo. Come hanno ricordato gli europarlamentari, le autorità ungheresi hanno “limitato nel contempo drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito”, hanno istituito “un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa”, hanno consentito “l’allontanamento di tutti i cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, senza rispettare le procedure e le garanzie previste dall’acquis” e infine subordinato a “condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio da parte dei richiedenti protezione internazionale del loro diritto di rimanere nel suo territorio”.
L’Ungheria, non da sola in Europa, punisce come reato il “comportamento di qualsiasi persona che, nell’ambito di un’attività organizzativa, offra un sostegno alla presentazione o all’inoltro di una domanda di asilo nel suo territorio, qualora sia possibile provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che tale persona era consapevole del fatto che detta domanda non poteva essere accolta” (come ricorda la risoluzione del Parlamento europeo). Inoltre ha privato del diritto di avvicinarsi alle sue frontiere esterne qualsiasi persona sospettata di aver commesso il presunto reato.
Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ha ricordato in più occasioni come in Ungheria “nulla” sia stato fatto per mettere in atto “garanzie efficaci al fine di impedire il maltrattamento da parte di funzionari di polizia ungheresi di persone rimpatriate attraverso il confine con la Serbia”. Ed è risultato inoltre “evidente che non erano ancora previsti mezzi di ricorso in grado di offrire a queste persone una protezione efficace contro il loro respingimento forzato e/o allontanamento, compresi respingimenti a catena”. Stessa valutazione è quella espressa nel tempo dal Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale, che si è detto “profondamente allarmato” per i casi di “uso eccessivo della forza e della violenza da parte dei funzionari delle autorità di contrasto nei confronti di cittadini di Paesi terzi riferiti ovunque in Ungheria, mentre nel contempo venivano ‘spinti via’ quanti si trovavano in prossimità del confine con la Serbia, con risultanti lesioni e danni fisici”. Nei primi sette mesi del 2022 -dati della polizia ungherese elaborati da Openpolis- sono infatti già oltre 132mila i respingimenti alle frontiere, più di tutti quelli fatti nel 2021.
Nel marzo 2021 (causa R.R. e a./Ungheria) la Corte europea dei diritti dell’uomo ha constatato -come ricorda inoltre il Parlamento europeo- che la “mancata fornitura di cibo al primo ricorrente (R.R.) e le condizioni di soggiorno degli altri richiedenti (una donna incinta e bambini) avevano comportato una violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti”. Rilevando inoltre che la permanenza dei ricorrenti nella zona di transito “ha costituito di fatto una privazione della libertà e che l’assenza di qualsiasi determinazione formale da parte delle autorità e di qualsiasi procedimento con cui la legittimità della loro detenzione avrebbe potuto essere decisa rapidamente da un tribunale ha condotto a violazioni del diritto alla libertà e alla sicurezza”.
Fino ad arrivare alla comunicazione del 12 agosto di quest’anno indirizzata al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa da Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Mijatović ha ricordato come l’accesso alla procedura di asilo e a una valutazione sostanziale e individuale dei rischi sia diventato “praticamente impossibile in Ungheria a causa del succedersi e del sovrapporsi delle misure adottate dal governo a partire dal 2015”. Il Parlamento europeo, citando quel passaggio, ricorda come “potenziali richiedenti asilo si vedono negare l’ingresso legale nel territorio o, salvo poche eccezioni, sono obbligati a lasciare l’Ungheria e a sottoporsi a un controllo preliminare mediante la procedura dell’ambasciata prima di poter presentare domanda di protezione internazionale”. “Questo graduale smantellamento del sistema di asilo è costantemente accompagnato e alimentato da una dura retorica anti-migranti adottata dal governo ungherese, che compromette ulteriormente l’accoglienza e la protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo nel Paese”.
Frontex finge che tutto questo non esista, equivocando e riducendo in qualche misura il proprio ruolo a mero partner tecnico nei rimpatri “assistiti”. Mentre le persone, in realtà, sono ricacciate indietro a forza, magari dopo avergli spaccato i telefoni, gli occhiali, tagliato i capelli o le sopracciglia con rasoi, costretti a ingurgitare sigarette (“Mangia questa sigaretta. Mangia in fretta”, è una testimonianza raccolta dal Border violence monitoring network quest’estate sul confine serbo-ungherese). “Per ogni richiesta di supporto le autorità ungheresi confermano per iscritto a Frontex che ogni persona interessata è stata adeguatamente informata del diritto di presentare una domanda di protezione internazionale -ha scritto infatti l’Agenzia- e che gli è stata offerta l’effettiva possibilità di presentarla”. Secondo Frontex è dal 2020 che “non ci sono state segnalazioni operative (né da parte del personale impiegato nei rimpatri dall’Ungheria, né da parte di osservatori indipendenti), reclami o rapporti su incidenti gravi e nessuna comunicazione di altro tipo su presunte violazioni dei diritti fondamentali nei casi di rimpatri assistiti da Frontex dall’Ungheria”. Va tutto bene, dice l’Agenzia, promettendo che “continuerà a vigilare”.
“Va ricordato che Frontex ha tra i suoi compiti il monitoraggio del ‘rispetto dei diritti umani fondamentali nell’ambito di tutte le sue attività alle frontiere esterne e delle operazioni di rimpatrio’ -osserva Gianfranco Schiavone, già componente del direttivo dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste, citando il Regolamento Ue 2019/1896-. Riconoscere che in Ungheria esistono ‘rischi potenziali’ di violazioni di tali diritti e nello stesso tempo affermare che l’Agenzia deve comunque continuare la collaborazione con le autorità ungheresi a prescindere da tali seri rischi si pone dunque in aperto contrasto con il suo mandato. Frontex dovrebbe, al contrario, essere strumento di azione delle istituzioni europee nei confronti degli Stati che alle loro frontiere si rendono responsabili di gravi violazioni come nel caso dell’Ungheria”. Accade il contrario. “La risposta di Frontex conferma nuovamente come tale agenzia sia oramai un pericoloso corpo a sé che opera in contrasto con le finalità per le quali è stata istituita”, conclude Schiavone.
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