Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Interni / Opinioni

Sanità pubblica senza risorse. L’indirizzo è chiaro: privatizzare

© Joseph Akbrud - Unsplash

L’esplosione dei bilanci in rosso delle Regioni e il taglio della spesa pubblica rischiano di essere sempre più marcati alla luce delle scelte fiscali del Governo Meloni. Il tutto mentre la spesa sanitaria pubblica è prevista in riduzione dal 6,7% del Pil nel 2023 al 6,3 nel 2024 fino al 6,2 nel 2025. L’analisi di Alessandro Volpi

Durante il 2021, per effetto della pandemia, le Regioni italiane hanno speso 8,3 miliardi in più rispetto all’anno precedente, ricevendo dallo Stato una copertura di poco superiore ai quattro miliardi di euro. Nel 2022, le spese extra sono proseguite e a queste si è aggiunto un ulteriore esborso di 1,4 miliardi di euro per i maggiori costi energetici, di fatto rimborsati dallo Stato per circa la metà. Infine, pende sulle Regioni la questione del payback, la cui entità è ancora parzialmente sconosciuta: per far fronte a bilanci regionali in rosso e per la spesa sanitaria pubblica, la legge di Bilancio prevede ora solo un incremento di tre miliardi a cui aggiungere un miliardo circa per il payback destinato quest’ultimo, nella sostanza, a coprire il 50% delle maggiori spese in attrezzature sanitarie.

Dunque, le Regioni dovrebbero ricevere quasi cinque miliardi in più, oltre all’adeguamento della spesa sanitaria all’inflazione per poco meno di 10 miliardi di euro, mentre gli stanziamenti aggiuntivi si fermano, in totale, a circa quattro miliardi di euro. A ciò è possibile aggiungere una considerazione più specifica. La spesa sanitaria, che copre l’80% dei bilanci regionali, è finanziata ormai in larghissima parte dallo Stato centrale perché le “riforme fiscali” hanno ridotto nel tempo il gettito dell’Irap -che ora si propone di abolire- e perché le stesse Regioni non hanno altre vere entrate fiscali, se si escludono le tasse di circolazione e le addizionali.

In estrema sintesi, nel corso dell’ultimo anno, le entrate delle Regioni sono state pari a circa 45 miliardi di euro, naturalmente con grandi differenze da caso a caso, che risultano del tutto insufficienti a coprire anche solo un terzo della spesa sanitaria pubblica. Inoltre, le stesse Regioni, di fatto, non sono nelle condizioni di emettere titoli di debito perché l’indebitamento pubblico è quasi interamente in mano al Tesoro. La spesa, pertanto, è salita per l’emergenza dettata da una pesantissima pandemia e non è stata rifusa dallo Stato che, ad oggi, è l’unico soggetto in grado di agire sul piano fiscale e di indebitarsi.

Alla luce di ciò, l’esplosione dei bilanci in rosso e il taglio della spesa pubblica rischiano di essere sempre più marcati proprio alla luce delle scelte fiscali del Governo Meloni in direzione di un’ulteriore riduzione del gettito e in tale prospettiva la cosiddetta autonomia differenziata risulta un nodo molto spinoso, non affrontando in alcun modo il tema delle risorse.

L’indirizzo verso il quale questa condizione tende a muovere la sanità è tuttavia assai esplicito. Un recente studio di Mediobanca mette in luce, con chiarezza, il recente rafforzamento della sanità privata. Nel 2021, 24 operatori sanitari privati hanno realizzato in Italia un fatturato di 9,2 miliardi di euro, in forte, e continua, crescita rispetto al passato. Una simile crescita è stata, in buona misura, trascinata dalla diagnostica. Lo stesso rapporto indica con didascalica evidenza che tale crescita dipende moltissimo dalla decisa frenata della spesa sanitaria pubblica i cui numeri sono, davvero impietosi, secondo quanto emerge dal recente Def. Come accennato in apertura, la spesa sanitaria pubblica, infatti, è prevista in ulteriore riduzione dal 6,7% del Pil nel 2023 al 6,3 nel 2024 fino al 6,2 nel 2025. Peraltro, occorre ricordare che si tratta di una spesa più bassa di quella della Germania, dove risulta pari al 10,9% del Pil, della Francia, dove è pari al 10,3, e della Spagna dove supera di poco il 7,8%. È evidente verso quale modello stiamo andando.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati