Economia / Opinioni
La sanità italiana: pomo della discordia o fiore all’occhiello?
Malgrado le difficoltà la qualità delle cure nel nostro Paese resta elevata. A scapito dei professionisti e delle fasce più deboli. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)
Chi legge i giornali ma anche si occupa da un punto di vista professionale della sanità italiana, e in particolare del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) da alcuni mesi si trova di fronte a una serie di informazioni difficili da interpretare. Da un lato vi sono elementi che sembrano indicare una crisi del SSN: liste di attesa lunghe, casi di malasanità e la “fuga” dei medici dalla sanità pubblica. Dall’altro, il nostro Paese continua ad avere diversi indicatori non solo di buona salute, ma anche di buon funzionamento della qualità della cura sanitaria prestata.
Come fanno a coesistere visioni così differenti? La soluzione del paradosso va ricercata nei seguenti elementi: la buona qualità della cura è un dato reale, ma è ottenuta a scapito di due aspetti essenziali: le diseguaglianze nell’accesso ai servizi e l’eccessivo carico posto sugli operatori della sanità (medici, infermieri e altre figure professionali), in termini di contratti e condizioni di lavoro. La speranza di vita in Italia, sia alla nascita (82,8 anni per gli uomini, 85,6 per le donne) che a 65 anni (19,2 e 22,8 anni rispettivamente), è più elevata rispetto alla media dell’Europa occidentale e in crescita. I tassi di mortalità, sia quelli generali (708 morti ogni 100.000 individui) che nell’infanzia (2.8 morti per 1.000 nati vivi), sono più bassi della media UE e in diminuzione.
Anche gli indicatori che misurano la qualità delle cure sanitarie offrono un quadro sostanzialmente positivo, con tassi di sopravvivenza a gravi malattie (cardiovascolari, tumorali) in genere simili o migliori di quelli dell’UE-15. Numerosi studi testimoniano l’efficacia e la qualità del SSN. La Corte dei Conti ha più volte documentato come sia riuscito a contenere la spesa complessiva, l’OMS e l’OCSE hanno certificato simili successi e miglioramenti sotto il profilo della performance clinica, strettamente sanitaria e di quella finanziaria. L’ISTAT mostra come circa il 70% dei cittadini sia rimasto soddisfatto del SSN anche durante gli anni della crisi e dell’austerità.
Da dove provengono, dunque, critiche e preoccupazioni? Si fondano essenzialmente su tre elementi: le risorse economiche messe a disposizione del SSN; le diseguaglianze nell’accesso ai servizi; la gestione delle risorse umane. Da due decenni l’Italia spende (molto) meno per la salute (6,6% del Pil) rispetto all’Europa occidentale (8,2%). Inoltre, la spesa pro-capite pubblica in Italia era già più bassa (circa il 10%) rispetto a quella media europea e agli inizi del secolo. In anni più recenti tale spesa è arrivata ad essere più bassa di un terzo rispetto a quella media europea.
6,6% del Pil è la quota spesa per la sanità pubblica in Italia, molto inferiore rispetto alla media dell’Europa occidentale (8,2%)
Tenere performance sanitarie come quelle italiane con una spesa così significativamente inferiore rispetto al resto dell’Europa occidentale è molto arduo (nonostante la retorica dei mass media sugli sprechi in sanità) e richiede prezzi da pagare. Prezzi che sono stati pagati dai professionisti della sanità e da una parte di coloro che hanno accesso ai servizi. Il SSN infatti si regge su molti meno infermieri che altrove, oltre che su medici mediamente più vecchi: non c’è stato ricambio generazionale adeguato in questi anni, né si è investito sul potenziamento delle figure non mediche. Inoltre, una parte della bassa spesa pubblica non si traduce in peggiori cure perché gli Italiani spendono di tasca propria per curarsi in misura maggiore ai paesi dell’Europa occidentale. Infine, una percentuale non trascurabile di italiani lamenta problemi di accesso alle cure e tale quota è più significativa tra le fasce della popolazione meno abbienti.
Emmanuele Pavolini è docente di sociologia presso l’università di Macerata. Matteo Jessoula, insegna scienza politica all’Università degli Studi di Milano. Entrambi fanno parte di OCIS.
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