Ambiente / Attualità
Salvare un bosco per sempre. Così si riattiva l’ecosistema in Appennino
Nel pesarese un gruppo di amici ha acquistato un’area forestale di 33 ettari condannata al taglio frequente. Lo scopo è di riportare naturalità e biodiversità. Un laboratorio di ricerca aperto alle scuole e alla cittadinanza
“Non ci interessa la legna da ardere” racconta Aldo Cucchiarini. Con altri dodici amici ha acquistato insieme un bosco, nell’entroterra marchigiano, e il loro obiettivo non è il taglio ma riportare l’area a uno stato di naturalità. Aldo vive ad Apecchio, sull’Appennino pesarese, i suoi compagni di avventura arrivano anche dalla costa delle Marche e dall’Umbria. “In tutto l’Appennino ci sono troppi boschi ‘poveri’, perché vengono tagliati in continuazione e gli alberi sono tutti molto giovani. È capitata l’occasione, perché andava all’asta questo bosco, derivante dal fallimento di un’azienda, ad un prezzo interessante: la vendita era andata deserta diverse volte, perché le aziende forestali stavano aspettando che il prezzo calasse ancora”.
Cucchiarini, educatore ambientale, è gestore di strutture ricettive nelle Marche e in Casentino con la cooperativa La Macina Ambiente (lamacina.it). I suoi soci sono volontari di associazioni ambientaliste. Alcuni hanno investito formalmente, altri prestato capitale, scegliendo di non figurare nella compagine sociale. Insieme hanno discusso per mesi, per immaginare come trasformare quella superficie forestale in un laboratorio: si tratta di un’area di 33 ettari e mezzo, sulla quale non insistono beni immobili né ruderi; è un corpo unico, una sorta di rettangolo con i lati smussati, che comprende il versante di una valle, il fondovalle, un altipiano e una parte del versante opposto, con confini ben individuabili, tra i 500 e i 650 metri di altezza sul livello del mare.
Il passaggio di proprietà è avvenuto due mesi fa. Il costo totale dell’operazione (comprese le spese notarili e quelle per la costituzione della società) è stato di 55mila euro. “Subito abbiamo coinvolto il dipartimento di Scienze agrarie e forestali (Dafne) dell’Università della Tuscia di Viterbo, che porta avanti studi all’avanguardia sulle foreste vetuste, sul tema del restauro forestale e sull’importanza dello stoccaggio del carbonio -spiega Aldo Cucchiarini-. Abbiamo invitato il professor Bartolomeo Schirone (è il presidente del corso di laurea in Scienze della montagna, presso la sede di Rieti dell’Università, ndr) per un sopralluogo, e con lui abbiamo girato il bosco in lungo e in largo. In alcuni punti potremmo fare dei diradamenti e lavorare a una riconversione ad alto fusto. Vogliamo riportare il bosco ad uno stato di naturalità, ci sono cinque ettari che possiamo rimboschire, e poi potremmo sperimentare i modelli migliori di gestione, usando il taglio ceduo e scegliendo poi tra i polloni che nascono dalle ceppaie i fusti più affidabili, più robusti”.
55mila euro, il costo totale dell’operazione promossa da Aldo Cucchiarini e altre dodici persone con il sostegno di altri finanziatori non entrati in società
Sulle mappe, l’area è denominata Macchia della Serra. Il nome scelto dagli amici che l’hanno acquistata è invece “Bosco per sempre Regina”. “Per la gente di città ‘Bosco per sempre’ indica la volontà di salvarlo dal taglio, mentre Regina è il nome della moglie, deceduta, di uno tra quelli che ha finanziato l’operazione, che gliel’ha dedicato” spiega Aldo. La foresta è destinata a diventare un sito di ricerca, come avviene per le foreste demaniali: “Con un forestale esperto individueremo i fusti migliori” continua Cucchiarini. Un obiettivo è lasciare a terra i ceppi abbattuti, perché la necromassa è fondamentale per generare nuovo suolo, per attivare l’ecosistema e valorizzare la biodiversità. Altre aree saranno lasciate al libero invecchiamento, “se necessario in aperto contrasto col nuovo Testo unico forestale (il decreto legislativo 34/2018, ndr) che prevede anche l’abbattimento coatto”.
Ridurre l’intervento dell’uomo riduce il problema dell’erosione dei suoli, che in Appennino è aggravato dalla costruzione delle vie di penetrazione usate per tagliare i boschi. “Secondo una scuola di pensiero forestale, in Italia ci sarebbe una carenza di queste vie, ma la mia esperienza in Appennino dice che non è così -sottolinea Cucchiarini-. Le strade possono provocare anche l’attivazione di frane quiescenti: a fronte di un piccolo guadagno di chi effettua il taglio, perché il valore della legna da ardere è minimo, si rischia di creare costi che poi vengono socializzati”.
A questo lavoro si affiancherà l’attività educativa: l’area è già fruibile, grazie a sentieri segnati. In sinergia con il Comune di Apecchio verrà realizzato un sentiero ad anello, che parte e arriva in paese. “Ho già iniziato a portarci delle scuole. Attraverso pannelli racconteremo l’area e i suoi ecosistemi: ci sono un torrente, una piccola ma bella cascata, un paio di stagni” racconta Aldo, che nel bosco ha già accompagno scolaresche. Il sentiero è facile. Un camminatore può percorrerlo da solo in due ore e mezza. “Buona parte del percorso è in piano, l’unica difficoltà sono i guadi sul torrente, sette o otto, ma sono divertenti e attrezzati. Ci sono sassi stabili, ancorati al fondale”. Visitando il Bosco per sempre Regina, e conoscendo il modello scelto per la sua gestione, ogni fruitore potrà capire che i tagli frequenti rendono i boschi sorgenti di carbonio, attori (inconsapevoli) del cambiamento climatico: “Mantenere dei boschi a taglio continuo solo per ricavarne legna da ardere non conviene, porta a una degradazione del suolo e a un aumento delle emissioni”.
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