Interni / Approfondimento
Rwm in Sardegna, riconvertire si può: dalle armi a progetti sostenibili
Dalle organizzazioni della società civile arrivano proposte per la riconversione della fabbrica che produce bombe a Domusnovas. L’obiettivo è creare economie locali alternative, rispettose dell’ambiente e dei lavoratori e libere dalla guerra
Negli ultimi mesi si stanno concretizzando alcune proposte per la riconversione di Rwm, la fabbrica controllata dalla tedesca Rheinmetall Defence, che produce materiale bellico a Domusnovas, nel Sud-Est della Sardegna. Una riconversione capace di creare nuove opportunità anche per il territorio in cui sorge, partendo dalla valorizzazione delle risorse già presenti e caratterizzata dal netto rifiuto della guerra. Da quando è stato provato che dal 2015 le bombe di Domusnovas sono state utilizzate nel conflitto in Yemen, le organizzazioni della società civile si sono mobilitate per chiedere lo stop alla produzione e la riconversione della fabbrica, voci rimaste perlopiù inascoltate.
Ora però, non c’è solo la questione etica. Alcuni recenti sviluppi, come la revoca da parte del governo italiano delle autorizzazioni all’esportazione ai Paesi in conflitto, l’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici Rwm e dei funzionari dell’Unità per le autorizzazioni di materiale di armamento (Uama) da parte del Giudice per le indagini preliminari di Roma, sembrano indicare la riconversione come l’unica via percorribile, non solo per i pacifisti. Una di queste proposte è Peace Conversion Sardinia (PeCoSa), presentata lo scorso febbraio e promossa dalla chiesa evangelica del Baden, dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, tramite la Commissione globalizzazione e ambiente e dal Comitato per la riconversione Rwm (che conta oltre 20 organizzazioni), con il supporto scientifico dell’Università di Cagliari. Un progetto di riconversione a lungo termine che si pone come obiettivo finale quello di creare nel Sulcis-Iglesiente, la zona dove sorge Rwm, una rete di imprese etiche che possano garantire un futuro diverso dalla produzione di bombe, rispettoso dei lavoratori e dell’ambiente. “Il primo passo -hanno spiegato i promotori- è proporre una nuova economia civile, sostenibile e warfree, libera dalla guerra, che possa dare lavoro degno nel nostro territorio, offrendo spunti di riflessione e strumenti di promozione alle imprese già esistenti, e sostenendo la creazione di nuove realtà imprenditoriali”.
“Il primo passo è proporre una nuova economia civile, sostenibile e warfree che possa dare lavoro degno nel nostro territorio” – Peace Conversion Sardinia
PeCoSa è ancora agli esordi, ma c’è stato già un lungo lavoro di ricerca, cui è poi seguita la formulazione del progetto vero e proprio. Un team di promotori negli scorsi mesi ha individuato un gruppo di imprese che già operano seguendo criteri etici e sostenibili. “Abbiamo già circa 20 adesioni, di cui 15 nel Sulcis -ha spiegato Stefano Scarpa, uno dei ricercatori che ha seguito questa fase- tra queste ci sono aziende che si occupano di turismo sostenibile, come bed and breakfast e agriturismi, di agricoltura biologica e di allevamento, ma anche panifici e aziende di costruzione ecocompatibile”. La forma giuridica della rete non è ancora stata formalizzata, ma chi ha deciso di aderire -non appena terminata la fase burocratica- sarà chiamato a sottoscrivere un accordo di rete e ad impegnarsi a rispettare una carta dei valori, dove al primo punto c’è il ripudio della guerra. Ripudio che diventa così un marchio etico ambientale “Warfree-Liberu dae sa gherra”, da apporre a tutti i prodotti e i servizi, una sorta di adesione pubblica a principi che rende riconoscibili le imprese che vi aderiscono, ma costituisce anche un esempio per quelle che vorranno costituirsi in futuro. Un’alternativa praticabile che secondo Arnaldo Scarpa del Comitato per la riconversione “potrebbe ricreare quei 250 posti di lavoro precario persi a Rwm, precariato che l’azienda non ha mai voluto stabilizzare perché legato direttamente alle commesse ora oggetto della revoca governativa, ma gli obiettivi sono anche più ambiziosi”. Secondo Maria Letizia Pruna, ricercatrice di Sociologia dei processi economici e del lavoro della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliari, la qualità del lavoro è fondamentale per creare il consenso nella comunità, “dimostrare che si possono fare utili anche in maniera rispettosa delle persone, del lavoro e dell’ambiente, in maniera etica, è un punto chiave perché la comunità accetti alternative diverse da quelle proposte dalle aziende che producono materiale bellico”.
Per fare fronte alla scarsa formazione e alle difficoltà burocratiche, anche l’Università di Cagliari offre il suo contributo, collaborando alla creazione di uno sportello di sostegno, capace di offrire formazione, consulenza ma anche supporto alla commercializzazione dei prodotti che avverrà anche online, per chi vorrà acquistare i prodotti e i servizi “Warfree” anche fuori dalla Sardegna. Non una riconversione diretta della fabbrica dunque ma “nel lungo periodo -spiegano Arnaldo Scarpa a Cinzia Guaita del Comitato per la riconversione- sarà un’opportunità per tutto il territorio, anche per i lavoratori di Rwm”.
20 sono le organizzazioni che aderiscono al Comitato per la riconversione Rwm
Anche loro hanno capito che il futuro della fabbrica è seriamente a rischio e attraverso un comunicato della Rsu hanno proposto al nuovo governo l’inserimento della Rwm nella programmazione dell’ammodernamento del sistema di Difesa nazionale. Per Francesco Vignarca della Rete italiana Pace e Disarmo, questa non è una vera soluzione perché “anche se per un diverso committente, continuerebbe comunque a produrre armi, e una volta prodotte poi si devono anche usare. L’unica riconversione possibile è quella civile”.
Un’altra opzione alle armi la propongono Pastorale del Lavoro, Sardegna Pulita, Donne Ambiente Sardegna, Women’s International League for Peace and Freedom, che a dicembre 2020 hanno depositato una proposta al ministero per lo Sviluppo economico. L’idea è quella di realizzare a Domusnovas un centro caseario regionale. Il caseificio, secondo i proponenti, oltre a liberare i lavoratori dalla produzione di bombe, consentirebbe la valorizzazione del latte ovino sardo. Il progetto è stato scritto in collaborazione con la facoltà di Agraria dell’Università di Sassari, e nello specifico prevede l’acquisizione della fabbrica da parte della Regione Sardegna, attraverso le risorse del Next Generation Eu. Secondo i promotori sarebbe anche una soluzione per dare il giusto valore al latte, oggi sottopagato, perché legato quasi esclusivamente alla filiera del pecorino romano. “Il nuovo caseificio -spiega Angelo Cremone di Sardegna Pulita- produrrebbe altre varietà di formaggio. Domusnovas è il secondo centro in Sardegna per numero di caprini e ovini, si tratta di un progetto fattibile che restituirebbe dignità ai lavoratori, ormai per Rwm non c’è più futuro”.
Un’opzione per la riconversione è la realizzazione di un caseificio. Il progetto è stato scritto da organizzazioni della società civile insieme all’Università di Sassari
In effetti l’azienda vive un periodo complicato. Lo scorso 29 gennaio, come detto il governo Conte ha reso nota la revoca delle autorizzazioni alle esportazioni di missili e bombe d’aereo in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La revoca è stata uno degli ultimi provvedimenti del governo dimissionario, che già le aveva sospese a luglio 2019. Il provvedimento -ha spiegato Giorgio Beretta della Rete italiana Pace e Disarmo- riguarda sei diverse autorizzazioni tra le quali la licenza verso l’Arabia Saudita decisa dal governo Renzi nel 2016, relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK.
Da marzo 2015, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti guidano una coalizione a sostegno delle forze governative del presidente yemenita, Rabbo Mansour Hadi, contro gli Houthi, i ribelli sciiti sostenuti dall’Iran e da Hezbollah. La guerra civile in Yemen è stata definita dalle Nazioni Unite come la peggiore crisi umanitaria del mondo; si contano quasi 20mila vittime civili, 4,3 milioni di sfollati e si stima che l’80% della popolazione necessiti di assistenza umanitaria. Molti degli ordigni (o parti di essi) utilizzati contro i civili sono prodotti proprio a Domusnovas
Secondo quanto dichiarato dallo stesso amministratore delegato Rwm Fabio Sgarzi, all’indomani della revoca, “circa l’87% dell’attuale portafoglio di ordini di Rwm Italia -che prevedono attività produttive da proseguirsi nell’insediamento di Domusnovas- è non producibile poiché sono relativi ai contratti sospesi con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti”. Grazie a queste commesse il fatturato di Rwm dal 2016 al 2019 è stato in costante crescita, anche se le autorizzazioni sarebbero state concesse in violazione della legge 185/90 che all’articolo sei vieta espressamente la vendita di materiale bellico ai Paesi in conflitto o che violano i diritti umani. Ad accelerare i tempi per una riconversione di Rwm, contribuisce anche la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, che lo scorso 22 febbraio ha accolto il ricorso della Rete italiana Pace e Disarmo, del Centro europeo per i diritti costituzionali e umani di Berlino e dalla Ong yemenita Mwatana for Human Rights, contro l’archiviazione dell’indagine volta ad accertare le responsabilità dei dirigenti di Rwm Italia e della Uama. Quello che viene contestato è il loro ruolo in un attacco aereo della coalizione militare guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi nel Nord-Ovest dello Yemen, che ha provocato la morte di una famiglia di sei persone nell’ottobre 2016.
Il Gip ha ordinato un’indagine sulla responsabilità dei produttori di armi e dei funzionari della Uama, iscrivendoli nel registro degli indagati per i reati di abuso d’ufficio e omicidio colposo. La revoca delle autorizzazioni e l’indagine hanno allarmato vertici Rwm e lavoratori, il futuro dell’azienda a Domusnovas non è più garantito, e un’alternativa alla produzione di bombe deve essere trovata, e presto.
© riproduzione riservata