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Nuovo governo, solite vecchie armi. Facciamo i conti, a partire dagli F-35

Nonostante la pandemia, le spese militari e gli investimenti a beneficio della Difesa non accennano a calare. Eppure la vicenda dei cacciabombardieri più costosi della storia ha dimostrato la distanza tra previsioni e realtà

Tratto da Altreconomia 235 — Marzo 2021
Un caccia F-35 rulla per il decollo © flickr.com/photos/ministerodifesa

La crisi politica che ha portato al governo di Mario Draghi è stata vissuta da tutti con il pensiero ai 209 miliardi di euro del programma Next Generation Eu e a come verranno investiti per il rilancio post Covid-19. Il settore degli armamenti (definito “apicale” dal governo Conte durante l’infuriare della pandemia) si è invece costruito da tempo un futuro roseo. Non a caso la Difesa è stato uno dei pochi dicasteri con una riconferma.

Tra le decisioni più importanti in tema di acquisizioni di armamenti prese dal ministro Lorenzo Guerini nel suo primo mandato (Conte II) c’è la conferma di fine 2019 della partecipazione italiana alla fase pluriennale del Programma Joint Strike Fighter. Quello cioè dei cacciabombardieri con capacità nucleare F-35: il programma di armamento più famoso in Italia, e quello nel complesso più costoso della storia.
Una vicenda tutt’altro che conclusa.

Facciamo un passo indietro. Nel 2002 viene sottoscritta la fase preliminare di sviluppo (costo un miliardo di dollari), nel 2007 il memorandum of understanding delle fasi di produzione e industrializzazione PSFD (ulteriori 900 milioni di dollari). Viene ipotizzata una flotta italiana di 131 velivoli quasi equamente suddivisi tra la versione base e quella a decollo corto e atterraggio verticale, ottenendo luce verde dagli Stati Uniti per una linea di assemblaggio (denominata FACO) nell’aeroporto militare di Cameri (Novara). Nell’aprile 2009 le commissioni Difesa di Camera e Senato approvano (dopo un dibattito complessivo di poche ore) lo schema finale del programma trasmesso dal governo appena quindici giorni prima. Stima di costo totale: 13,5 miliardi di euro. Caso più unico che raro, complice anche la crisi economica, la campagna pacifista che contesta l’acquisto riceve visibilità e crea una pressione che porta nel marzo 2012 alla decisione del ministro “tecnico” Di Paola di ridurre il numero di aerei da 131 a 90. Risultato straordinario e inaspettato, cui ha contribuito la notizia esclusiva di Altreconomia che dà conto, proprio a partire dai documenti ufficiali firmati nel 2007, dell’assenza di quelle penali evocate ogni volta come scusa per rigettare qualsiasi ipotesi di rimodulazione.

Lorenzo Guerini è stato rinominato ministro della Difesa: a fine 2019 aveva confermato la partecipazione italiana al costoso programma dei cacciabombardieri F-35

L’attenzione dell’opinione pubblica smuove così anche il Parlamento: vengono richiesti al governo aggiornamenti annuali e si sospende il programma che poi nel 2014 viene riattivato con il vincolo di un dimezzamento del budget finanziario originariamente previsto. Richiesta in realtà disattesa, con acquisizioni proseguite in maniera ineluttabile e l’impegno ormai confermato per l’acquisto di 55 velivoli (28 derivanti dalle prime fasi annuali e 27 dalla fase 2A).

Oggi dunque per il programma JSF possiamo valutare in maniera attendibile la differenza tra previsioni e realtà, esercizio piuttosto raro per le acquisizioni di armamenti (tempi dilatati e troppi interessi in gioco). La disparità è fin da subito evidente per il numero di velivoli consegnati: a novembre 2020 è stato “recapitato” il sedicesimo caccia italiano (13 in versione A, tre in versione B) a fronte di un profilo di acquisizione dopo la riduzione decisa da Di Paola che ne prevedeva 24. Numeri che non tornano nemmeno considerando le decisioni di “rallentamento” prese dalla Difesa nel 2016 e che avrebbero dovuto comunque garantire almeno 18 velivoli. Ma d’altronde è il Programma JSF nel suo complesso a continuare ad accumulare problematiche tecniche e ritardi di produzione, tanto che lo stesso Pentagono si è trovato costretto a fine 2020 a mettere in “pausa indefinita” la produzione dei caccia ormai giunta, seppure con un ritardo di quasi cinque anni, alla sua fase consolidata.

Ma è il capitolo dei costi quello cruciale per evidenziare i problemi del JSF. Ancora oggi la Difesa dichiara che il totale per la prima fase si attesta a poco più di sette miliardi di euro (acquisizione dei primi 28 velivoli, con motori, spese iniziali per retrofit, supporto logistico fino al 2022, realizzazione dello stabilimento di Cameri, predisposizione dei siti nazionali di Amendola, Ghedi e Nave Cavour). Secondo le stime dell’Osservatorio Mil€x (milex.org) al momento ne risultano già spesi circa 6,4 miliardi di cui 5,2 per le fasi di sviluppo e acquisto diretto degli aerei e il resto per le basi che ospiteranno i caccia e la FACO di Cameri (sito produttivo pienamente a disposizione di Leonardo, ex Finmeccanica, ma realizzato con 937 milioni di euro di soldi pubblici). Parametrando questi costi sui velivoli rimanenti, senza considerare rincari ulteriori, si ottiene una cifra complessiva di solo acquisto di 16,3 miliardi che porta ad un totale di 18,2 miliardi con tutti gli oneri accessori.

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini © flickr.com/photos/ministerodifesa

Una proiezione ben lontana dai 13,5 miliardi approvati dalle commissioni parlamentari (anche superiore alla precedente stima di 15 miliardi delle campagne pacifiste) e che disattende in modo esplicito alla richiesta di “dimezzamento del budget” votata dal Parlamento nel 2014. Di fatto il risultato è stato solo uno slittamento di pagamenti per qualche anno.

Al contrario per la valutazione dei ritorni industriali (anch’essa richiesta dal voto parlamentare) la Difesa sembra considerare il totale dei contratti sottoscritti pur se non ancora concretizzati. Solo così si possono spiegare i quattro miliardi dichiarati nonostante la stessa Leonardo certifichi che la FACO di Cameri, principale introito legato al programma per le aziende italiane, fatturi meno di 450 milioni di euro all’anno. Lo stesso avviene per i ritorni occupazionali: dai favoleggiati 10mila posti di lavoro dell’inizio del progetto si è scesi ai 6.500 comunque garantiti nel momento del “taglio” del 2012 ma che poi nelle pieghe delle valutazioni dei centri studi parlamentari e della Corte dei conti si riducevano a 3.600 (di cui 2.100 considerati “effettivi”). La realtà ancora una volta è differente: per il 2019 Leonardo ha dichiarato circa 950 occupati a Cameri con un totale che potrebbe alzarsi di qualche centinaio di unità considerando altre imprese. Sicuramente meno della metà di quanto promesso.

11 miliardi di euro, i fondi erogati tra 2020 e 2025 per nuovi aerei militari, tra i quali i caccia F-35

Pur nella sua peculiarità, il caso degli F-35 è una storia utile perché ripropone dinamiche proprie di tutte le acquisizioni di sistemi militari. Ne deriva la necessità di aumentare l’attenzione sulle risorse miliardarie presenti nel “piatto” degli investimenti militari. La legge di Bilancio approvata a fine 2020 prevede infatti circa 6,8 miliardi a disposizione per l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma: un record derivante non solo dalla quota messa disposizione dal bilancio proprio della Difesa ma anche dai fondi del ministero per lo Sviluppo economico (Mise, guidato ora dal leghista Giancarlo Giorgetti) ormai da diversi anni erogati a sostegno di programmi di natura militare. Tale impegno è destinato a crescere ulteriormente nei prossimi anni soprattutto grazie alla enorme iniezione di risorse derivante dai Fondi di investimento pluriennali istituiti dal governo a partire dal 2016.

L’obiettivo di questi strumenti era quello di garantire da un lato lo sviluppo infrastrutturale del Paese per alcuni settori specifici e dall’altro rilanciare gli investimenti delle amministrazioni centrali dello Stato garantendo una pianificazione su più anni (senza incorrere nell’incertezza di decisioni prese su base annuale). Complessivamente si tratta di quattro linee di finanziamento estese fino al 2034 per un totale di quasi 144 miliardi di euro. Una recente analisi condotta da Mil€x ha dimostrato che oltre un quarto dell’ammontare complessivo, pari a circa 36,7 miliardi di euro, verrà destinato alla Difesa o ad acquisizioni militari tramite i già citati fondi dello Sviluppo economico. Si può stimare che almeno il 65% di questi fondi (corrispondenti a quasi 24 miliardi) serviranno per comprare nuovi sistemi d’armamento, con una cifra in crescita che si sommerà ogni anno ai capitoli di base già previsti (negli ultimi anni mai inferiori ai cinque miliardi di euro) facendo crescere in modo vertiginoso la spesa per il procurement militare. Sono dati che riguardano la collettività. Significativo a proposito è il confronto con i fondi assegnati al ministero della Salute dalle stesse linee di finanziamento: 2,14 miliardi di euro complessivi (l’1,5% del totale), 17 volte meno di quanto allocato come spesa militare.

La portaerei Cavour. Le previsioni per il 2021, da confermare definitivamente, mostrano una lunga lista di costosi programmi militari. Tra questi, 166 milioni di euro per la Nave anfibia LHD Trieste © flickr.com/photos/ministerodifesa

Il risultato diretto di questo robusto “rilancio” è una lunga serie di programmi di acquisizione attualmente attivi, con impegni finanziari pluriennali consistenti. Secondo i dati del Documento programmatico pluriennale della Difesa diffuso ad ottobre dello scorso anno, tra 2020 e 2025 (il Libro bianco varato nel 2015 prevede infatti un periodo sessennale di programmazione) vengono erogati fondi per nuovi aerei (tra cui F-35, Eurofighter e Gulfstream) per oltre 11 miliardi di euro. La quota destinata a navi militari (tra cui la nuova portaerei Trieste e i pattugliatori polivalenti d’altura) e sottomarini è di 4,1 miliardi, mentre per gli elicotteri si spenderanno complessivamente due miliardi di euro destinando invece a blindati e veicoli militari circa 1,5 miliardi. Centinaia di milioni serviranno invece ad acquistare munizionamento di varia natura e sistemi di combattimento.

2,14 miliardi di euro, le risorse assegnate al ministero della Salute tratte dai Fondi di investimento pluriennali al 2034. Diciassette volte meno rispetto a quanto previsto per la Difesa e le acquisizioni militari

Anche limitandosi alle previsioni per il 2021, da confermare definitivamente, la lista di costosi programmi militari è lunga: 166 milioni di euro per la già citata Nave anfibia LHD Trieste, 238 milioni per Elicotteri NH-90, 99 milioni per veicoli blindati medi 8×8 “Freccia”, 43 milioni per munizionamento FSAF-B1NT. Continuerà anche il Programma delle fregate europee multi missione (prossimo alla conclusione prima della “rivendita” all’Egitto di due navi già pronte per la Marina militare, che ora ne vuole due nuove fiammanti) per complessivi 283 milioni di euro sull’anno. Infine 96 milioni di euro per i sottomarini U-212 NFS, 436 milioni per i pattugliatori polivalenti d’altura e 89 milioni per elicotteri HH-101 CSAR. Da non dimenticare la “coda” di ben 635 milioni per i caccia Eurofighter, che sono già stati tutti consegnati, con un programma che continua soprattutto per preparare la partecipazione al progetto “di sesta generazione” Tempest con il Regno Unito (avendo come risultato l’impegno contemporaneo su ben quattro diversi aerei militari, se si considera che prosegue pure l’ammodernamento strutturale e tecnologico dei Tornado per 100 milioni di euro sul 2021). Infine i 950 milioni complessivi per i “soliti” caccia F-35.

A questa situazione si è giunti per le continue richieste degli stati maggiori: solo nell’attuale XVIII legislatura sono stati presentati al Parlamento (e praticamente ormai tutti approvati) 22 differenti programmi di acquisizione d’armamento per un costo complessivo di 10,5 miliardi di euro. E il ministero di via XX Settembre ha già nel cassetto decine di altri progetti di investimento per complessivi 41 miliardi di euro. Se il trend di allocazione dei fondi continuerà con la tendenza più recente è possibile che siano finanziati in tempi non troppo lunghi.

Con un pericoloso rischio all’orizzonte: la storia dei caccia F-35 dimostra infatti che le previsioni iniziali dei programmi d’armamento tendono a essere ottimistiche ed inaccurate “per difetto”. La ripresa non passa da qui.

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