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Diritti / Opinioni

Rosa Luxemburg e la “grandiosa guerra” tra oppressi e oppressori

Non esiste giustizia sociale senza quella ambientale: l’intellettuale uccisa nel 1919 lo aveva intuito. La rubrica di Tomaso Montanari

Tratto da Altreconomia 223 — Febbraio 2020
Rosa Luxemburg

La febbre del Pianeta si alza ora dopo ora, e mai come in questo nostro tempo è evidente che la fraternità tra esseri umani non ha un futuro se non si apre a una fraternità più grande: quella con tutta la Terra. Il grido dei poveri di tutto il mondo è indistinguibile dal grido degli animali, delle piante, di ogni essere vivente e del corpo stesso del Pianeta. Lo sappiamo scientificamente e storicamente e lo avvertiamo ogni giorno sulla nostra pelle: non può esserci giustizia sociale senza giustizia ambientale. Sono un’unica cosa.

In qualche modo i cuori più ardenti e le menti più lucide del pensiero rivoluzionario del Novecento lo avevano intuito. Accade, per esempio, in un brano memorabile del carteggio di Rosa Luxemburg. È il dicembre del 1917 e Rosa è in carcere; sarà uccisa due anni dopo da squadracce fasciste agli ordini di un governo socialdemocratico. Scrivendo i suoi auguri di Natale alla sua amica Sonja Liebknecht, apre uno squarcio impressionante sulla propria interiorità: “Ahimè, Sonicka, qui ho provato un dolore molto intenso. […] Qualche tempo fa è arrivato un carro tirato da bufali anziché da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. […] Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo investì chiedendogli se non avesse un po’ di compassione per gli animali. ‘Neanche per noi uomini c’è compassione’ rispose quello con un sorriso maligno e batté ancora più forte… Gli animali infine si mossero e superarono l’ostacolo, ma uno di loro sanguinava… Sonicka, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta… gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime -erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza. […] Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia. Intanto i carcerati correvano operosi qua e là intorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano dentro l’edificio; il soldato invece ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni, se ne andò in giro per il cortile ad ampie falcate, sorrise e fischiettò tra sé una canzonaccia. E tutta questa grandiosa guerra mi passò davanti agli occhi”.

La fraternità che avvince Rosa prigioniera al bufalo in cattività è la fraternità degli sfruttati di ogni specie: ed è una fraternità capace di dividere il mondo tra oppressori e oppressi, indicando qual è la “grandiosa guerra” che siamo chiamati a combattere davvero. Una guerra incruenta ma il cui esito deciderà la vita o la morte non solo degli oppressi ma anche degli oppressori, che corrono ciecamente verso l’abisso.

Tomaso Montanari è professore ordinario presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra

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