Diritti / Attualità
“Robin Food”, la cooperativa di rider di Firenze contro lo sfruttamento
Sette giovani fiorentini hanno dato vita un’alternativa etica, locale ed ecologica al food delivery delle multinazionali. E soprattutto che fornisce un contratto di lavoro stabile e dignitoso ai ciclofattorini. Li abbiamo incontrati
Grazie al crowdfunding su Eppela, in poche settimane sette ragazzi fiorentini hanno raccolto quasi seimila euro. Risorse con cui hanno finanziato l’acquisto delle prime quattro e-bike, fondamentali per dare il primo colpo di pedale e mettere in pista il loro progetto: una cooperativa “ciclologistica” locale, etica, democratica ed ecologica. E soprattutto che fornisca un contratto di lavoro stabile e dignitoso ai rider: un modello lontano dallo sfruttamento dei lavoratori che caratterizza le aziende globali di consegne a domicilio. Questo il progetto di “Robin Food coop“, l’alternativa etica al food delivery, immaginata da Duccio, Nadim, Simone, Alessandro, Luca, Salvatore e Mahmad. Età: dai 26 ai 40 anni. C’è chi ha studiato legge, chi fisica, chi è laureato in gestione sostenibile del turismo, chi è programmatore. Tutti hanno esperienza come rider per le grandi aziende del food delivery.
Oltre al lavoro come ciclo-fattorino, da oltre un anno Luca si dedica alla cura di un orto sinergico con un gruppo di amici. Un anno difficile, ma fecondo, di semi, piante e di idee che sono germogliate durante i mesi del lockdown e della pandemia, quando il lavoro dei fattorini del cibo si è moltiplicato a dismisura. Le aziende delle app Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eats hanno visto crescere esponenzialmente il loro fatturato, con ristoratori e fornitori costretti ad utilizzarli per le restrizioni imposte durante la crisi Covid-19. Nel settore del food delivery lavorano circa 500 addetti e almeno 30mila rider, con 750 milioni di fatturato aggiuntivo per il settore della ristorazione italiana nel 2020, come rilevato dal Politecnico di Milano. Un anno fa Assodelivery, associazione che rappresenta l’industria italiana del food delivery, ha siglato un accordo con un solo sindacato minore (UGL) sollevando la protesta degli altri sindacati.
“Ho cominciato questo lavoro per pagarmi gli studi -racconta Luca, interrompendo il lavoro nell’orto-. Studiavo fisica all’università ma ho interrotto perché ho visto che la prospettiva era una carriera alla scrivania: non proprio il futuro che avrei voluto. Così, da un piccolo lavoro da gig economy, ho pensato che si potesse trasformare in un lavoro vero. Come tanti studenti, ho lavorato per molte di queste aziende, anche contemporaneamente. C’è una situazione assurda: questo mercato sta crescendo e facendo grandi profitti, mentre chi ci lavora facendo le consegne guadagna sempre meno e ha sempre meno diritti. L’anno scorso abbiamo iniziato il nostro progetto, incontrandoci e conoscendoci sulla strada e discutendone insieme. Così si è formata la squadra”.
Siete tutti uomini, come mai nessuna donna?
L Ci sono alcune donne, anche se in generale non sono molte a fare questo lavoro: forse una su dieci. C’è Bruna, brasiliana, che si dovrebbe unire a noi tra breve e altre due amiche che ci stanno aiutando con la comunicazione e i social media.
Sta cambiando qualcosa nel settore, con le proteste e la visibilità pubblica sui giornali che hanno avuto le vertenze dei rider?
L Qualcosa è cambiato, ma in alcuni casi in peggio. I politici non hanno fatto abbastanza per regolamentare il settore: è stato il sistema giudiziario a riconoscerci come lavoratori e non come contraenti indipendenti. Solo Just Eat ha trattato con i sindacati e assunto i suoi rider, da alcune settimane, con una paga oraria fissa, assicurazione, ferie pagate. Ma la battaglia è tutt’altro che vinta.
Come mai avete deciso di costituire una cooperativa?
L Siamo coscienti che una piccola impresa come la nostra non possa competere con delle multinazionali, ma vogliamo veramente fare la differenza e per questo, grazie ad un fondo mutualistico di Legacoop e alla CGIL, abbiamo seguito un corso di formazione di impresa cooperativa e trovato un luogo dove incontrarci. Abbiamo anche guardato ad altri progetti di delivery etici, come SO-DE di Milano, Consegne etiche di Bologna e Food for me di Verona. E poi ci siamo uniti a Coopcycle, una federazione di iniziative simili alla nostra che conta circa 70 cooperative, di cui 40 in Francia e altre in Spagna, Germania. Coopcycle condivide la piattaforma software e fornisce consulenza legale e finanziaria, oltre ad aiutare a sviluppare il modello d’impresa.
E a Firenze come vi state muovendo?
L Ci stiamo concentrando adesso nel creare una rete di partner tra ristoranti, catering e altri fornitori per le consegne di cibo, ma in futuro pensiamo anche di operare nella logistica per altri settori. Abbiamo fatto una accordo con OPLI’, un progetto di ordini e consegne da produttori locali e in futuro potremmo cooperare anche con i gruppi d’acquisto solidale o altre forme di economia solidale. Vogliamo creare una rete di collaborazioni con aziende locali per creare una economia circolare che nasce e resta nel territorio. Spero che la nostra cooperativa -umana, locale e sostenibile- possa crescere e dare lavoro dignitoso a più persone, rompendo l’oligopolio delle grandi imprese e ispirandone altre.
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