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Diritti / Reportage

Ritorno nel cratere del terremoto del Centro Italia, dove la ricostruzione è ancora lontana

terremoto centro italia
Una vista di Pretare, frazione del comune di Arquata del Tronto - © Giulia Scandolara

A quattro anni dal sisma che ha colpito l’Appenino Centrale, la ripartenza è ferma. Reportage da Arquata, Amatrice, Ussita e Accumoli: i luoghi delle macerie che ancora tremano, dove i cittadini si organizzano per costruire alternative

“Per noi quattro anni di lockdown… 24.08.2016-24.08.2020”: è scritto su un lenzuolo che si affaccia sulla Vecchia Salaria, all’altezza di Grisciano, frazione del Comune di Accumoli in provincia di Rieti. Quello che si legge è uno dei tanti striscioni che si rintracciano nel cratere, di fianco alle macerie o sulle case danneggiate dal terremoto del 2016. Il cratere è un perimetro di dolore grande quattro regioni (Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo) nel quale si affossa la vita di 138 Comuni. Sta passando ora il quarto anno dalle scosse che hanno distrutto, ucciso, lasciato le persone senza casa e futuro. Lo scenario del post-sisma è oggi una complessa stratificazione di problemi irrisolti e incertezze. I cittadini vivono e sopravvivono sentendosi abbandonati. “Siamo più invisibili del Coronavirus”, ha affermato a marzo una terremotata di Pretare, il “paese delle fate” in provincia di Ascoli Piceno.

Dopo le scosse del 24 agosto, poi del 26 e del 30 ottobre 2016, qui si sogna una normalità che ancora latita. Non è incerta solo la ricostruzione ma anche l’esistenza quotidiana dei terremotati. “Non ne posso più di sentirmi chiamare così”, afferma stanco Leonardo, di Tolentino, in provincia di Macerata. I cittadini la attendono, la normalità, in moduli di poliuretano espanso, le SAE, costruite attorno ai borghi sconquassati, oppure lontano da casa, fuori cratere. Pare il terremoto sia avvenuto ieri. “La ricostruzione non parte e la gente è stanca delle promesse dei governi. Poi ogni giorno ce n’è una, una rogna, una nuova ordinanza”, dice Amilcare che vive e lavora a Norcia (PG). Quando sostiene che “la ricostruzione non parte” intende dire molte cose. Ma chi non conosce il lessico del terremoto non può capire la rabbia, la stanchezza, perché vengono espresse attraverso acronimi incomprensibili oltre i confini terremotati. Come quel CAS, il Contributo di autonoma sistemazione, percepito dalle famiglie a cui il terremoto ha distrutto casa. Lo prende anche qualche furbetto, però, da troppo tempo. È per questo che la Protezione civile vuole iniziare a toglierlo ad alcuni cittadini, attraverso l’Ordinanza 670 di aprile, generando però una disparità di trattamento degli abitanti. La Protezione Civile contraddice anche se stessa e la precedente Ordinanza 614. Per questo motivo a inizio agosto il Comitato “La terra trema noi no” ha fatto ricorso al Tar del Lazio, che ha deciso di rimandare gli approfondimenti utili al prossimo gennaio. Marco Massei, uno degli avvocati che segue il ricorso, afferma che sembra di lottare sempre contro i mulini a vento”. Non c’è un attimo di tregua, nel cratere. Oltre le sfide del Covid-19, ecco l’ennesima sfida. Così è da anni.

“Ricostruzione” significa anche smaltimento delle macerie, burocrazia infinita, tutela contro il rischio sismico. È ardua la presentazione del proprio progetto agli uffici preposti per rifare casa. Anche la Corte dei Conti indaga sulla lentezza della ricostruzione. Restano bloccati i progetti ma anche la vita delle persone. Intanto la terra continua a tremare e di prevenzione se ne fa poca. Il 17 agosto una scossa di magnitudo 2.9 sorprende gli abitanti di Amatrice (RI), ma anche quelli di Battaglia di Campli (TE). “Io la scossa, stanotte, l’ho sentita. All’inizio non capivo se fosse un sogno”, afferma una ragazza di Amatrice. Non sarà mai una terra senza scosse, l’Appennino, ma l’Italia è poi sismica da capo a tacco. Nessuno osa pensare a cosa potrebbe accadere se arrivasse ora una scossa forte, per giunta con le incognite del Coronavirus ancora tutte in corso. L’incertezza si rintraccia nella pericolosità del suolo ma anche, appunto, in una mancata preparazione al rischio sismico. “Anni di terremoti e ancora il governo si comporta come uno sprovveduto in materia di tutela degli edifici, delle persone”, afferma un cittadino di Arquata del Tronto (AP). E via, con la stratificazione di voci che si infittiscono attorno al cratere.

Nel 2020 di cose ne sono successe, qui. Il 27 febbraio Giovanni Legnini è diventato il quarto Commissario alla ricostruzione. Quale arduo compito. “Questo Legnini qualcosa sta facendo, rispetto agli altri commissari. Speriamo sia quello giusto”, pensa Rita che a Castelsantangelo sul Nera (MC) lavora nel suo piccolo bar, delocalizzato in un container. Molti cittadini sono incantati dal Commissario, un consenso a tratti aprioristico che parla della fame di speranza. In effetti però un cambiamento sembra esserci. Legnini cerca e mantiene un dialogo con i comitati locali, coinvolge le associazioni. Parla di semplificazione delle pratiche per ricostruire e si preoccupa di conoscere il territorio. Ancora, inizia a lavorare per un testo unico sulla ricostruzione. Sono anni che i terremoti italiani “lo richiedono”. In questi giorni intanto il Commissario si è unito agli animatori de “Il Cammino nelle terre mutate“. Forse parteciperà alla veglia o alla messa che si terranno ad Amatrice il 24 agosto, al campo da calcio Paride Tilesi.

Ad ogni modo non è andato tutto liscio per Legnini, da quel 27 febbraio. Viene ostacolato presto dall’arrivo del Covid-19. Durante il lockdown il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha invitato gli italiani a stare a casa ed è scoppiata la frustrazione dei terremotati. Si deve fermare la ricostruzione e ci si chiede in quale casa dovrebbero restare, distanziati, se non ne hanno una da anni. Poi almeno dopo il terremoto potevamo abbracciarci. Siamo stati vicini e questo ci ha dato forza. Il Covid invece è stato il colpo di grazia. Tutti chiusi nelle Sae”, racconta una signora di Amatrice. Come ci si distanzia in una SAE di 60 metri quadrati? Le zone rosse dei comuni terremotati si sovrappongono a quelle del Coronavirus. Si parla di doppia emergenza e sembra che il peggio non lasci tregua. Eppure piano piano si esce anche dalla “Fase 1” del Covid-19 con non poche difficoltà. Le sfide, per abitanti e commissario, però non finiscono. A maggio il nome del commissario è comparso nelle intercettazioni di Luca Palamara, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura, indagato per corruzione. La notizia ha destato allarmi ma a giugno scompare presto ogni dibattito. “I cittadini hanno bisogno di speranze, sono stanchi delle cattive notizie”. Chi parla è una ragazza di Ussita (MC), che le “notizie brutte” non le vuole più sentire.

A luglio il pacchetto sisma, con semplificazioni e richieste a sostegno dell’economia dell’Appennino terremotato, viene bocciato al Decreto Rilancio. Per i cittadini è un saliscendi di emozioni. Se è vero che la ricostruzione è pressoché immota da anni, gli stati d’animo sono invece in costante fermento negativo. La fiducia degli abitanti trema e i tecnici minacciano di non fare la ricostruzione del cratere. Si dicono pronti a rinunciare agli incarichi. Passa, fortunatamente, sotto ferragosto, un secondo decreto per le terre del sisma. Mira alla stabilizzazione della ricostruzione. Eppure, infine, nonostante tutto questo movimento, ci si chiede se sarà vero che la ricostruzione partirà davvero. “Parte, sì, e dove va?”, scherza un terremotato di Norcia. Ancora manca una messa in sicurezza delle persone e non tutti gli ingegneri del cratere non sono convinti che si possa finalmente parlare di semplificazione, con l’Ordinanza 100 di Legnini. Anche il “sismabonus” infine desta qualche perplessità per via dell’eliminazione della premialità.

Ma il cratere non si ferma, a prescindere dai commissari, dalle ordinanze e dalle assurdità che in questi anni si sono susseguite senza sosta. È di pochi giorni fa la notizia. Ludvina Cinti, una delle voci del comitato “La terra trema noi no”, si è candidata nelle Marche per le prossime elezioni regionali. Ancora si lotta per un futuro, ma resta memorabile una frase che si legge verso Campotosto, su un container abbandonato. Risale forse al 2017 e si riferisce alla burocrazia, alla politica italiana: “Hai fatto più danni tu del terremoto”.

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