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La resilienza nelle terre mutate. Chi resta e chi arriva dopo il terremoto

Stefano Riccioni riporta a valle i suoi cavalli da Frontignano di Ussita (1.400 m slm). Dietro di lui quel che rimane dell’Hotel Domus Laetitiae. A distanza di tre anni dal sisma simbolo di una ricostruzione mai iniziata - © Claudio Colotti

Stefano, allevatore trentenne, e la moglie Michela non hanno lasciato Frontignano. Linda con la madre e la nonna ha mantenuto aperto il ristorante di Ussita. E Chiara, arrivata da Bologna per abitare a Pioraco e aiutare

Tratto da Altreconomia 221 — Dicembre 2019

Arrivare a Sorbo, nel cuore maceratese del Parco nazionale dei Monti Sibillini, regala emozioni contrastanti. Da un lato la bellezza incontaminata della natura, coi suoi caldi colori autunnali; dall’altro la desolazione e un profondo senso di impotenza nel vedere le conseguenze delle scosse che nel 2016 hanno devastato il Centro Italia. Stefano Riccioni, un allevatore trentenne, queste montagne non le ha mai abbandonate, nemmeno quando il sisma ha distrutto la casa, il maneggio e le stalle della sua famiglia. La sua è una storia di coraggio, resistenza e amore per il territorio, ma anche di solidarietà. Grazie all’aiuto di un’azienda piemontese, che ha donato una stalla e un’abitazione prefabbricate, Stefano ha potuto ricominciare a lavorare, restando nel suo territorio e occupandosi dei suoi animali. Cavalli, pecore e mucche pascolano liberamente. Ci sono anche animali da cortile.

La zona un tempo era frequentata da turisti e da amanti degli sport invernali; oggi qui non si vede più nessuno. La seggiovia Selvapiana abbandonata, gli alberghi inagibili, i piccoli borghi svuotati dei loro abitanti; il terremoto ha ferito e modificato profondamente questi luoghi. Foglie di edera rossa e piante selvatiche si arrampicano sulle macerie delle case devastate dal sisma, come a coprire quelle rovine. Tra agosto e ottobre di tre anni fa nelle Marche, come in tutto il centro Italia, la terra ha tremato ripetutamente, provocando crolli e lesioni in diverse città e frazioni. Case, palazzi storici, chiese, scuole e negozi sono stati distrutti o danneggiati in modo irreversibile. Le piazze, un tempo cuori pulsanti di queste piccole, ma vivaci realtà montane, sono state coperte dalle macerie e transennate. Intere comunità hanno perso le proprie abitazioni e i centri storici dei loro paesi sono diventati inagibili. Per le popolazioni di questi estesi territori feriti dal sisma ricominciare a vivere nei luoghi delle proprie radici è una sfida quotidiana. Gli ostacoli sono molti, anche sotto il profilo burocratico. Stefano vorrebbe aprire un caseificio, ma al momento non può farlo per via delle restrizioni imposte dal “Decreto sisma”.Ogni giorno si alza all’alba insieme al padre e alla moglie Michela e inizia la sua giornata di lavoro.

“Se tutti vanno via, il territorio è destinato a morire. Dopo tre anni, invece di ricostruire, si recinta tutto, ma noi vogliamo restare perché queste montagne sono la nostra casa” (Stefano Riccioni)

I cavalli sembrano voler rimarcare il territorio, segnare con i loro zoccoli un cammino di riconciliazione tra uomo e natura. Arrivano a Frontignano (una frazione di Ussita) e passano ai piedi di una statua mariana che dall’alto del bosco veglia sulle macerie della Domus Laetitiae. Il sisma si è preso letteralmente il cuore di questo complesso, facendone crollare la parte centrale. Oggi, digitando su Google il nome di questa struttura ricettiva religiosa si vede scritto “Chiuso definitivamente” ma questo concetto, per Stefano, non deve esistere. Quando parla delle sue montagne i suoi occhi brillano. Stefano e la moglie sperano, infatti, di poter veder crescere qui i due figli, augurandosi che torni anche la gente del posto. Ora intorno hanno solo le mucche bianche e centinaia di pecore con i loro cuccioli. Molte persone si sono spostate perché hanno perso la casa o per risparmiare ai figli il disagio di doversi alzare troppo presto la mattina per andare in una scuola a diversi chilometri da casa, visto che quella del paese è lesionata. Dopo l’evacuazione iniziale alcune famiglie hanno deciso di tornare, ma le case ancora agibili si contano sulle dita di una mano e l’unica alternativa sono le Sae (soluzioni abitative d’emergenza). Sono soprattutto i più anziani quelli che soffrono la lontananza dalle proprie dimore, mentre i più giovani, per motivi di lavoro e per la comodità dei bambini, spesso hanno deciso di restare nella zona costiera verso la quale sono stati inizialmente sfollati. “Se tutti vanno via, il territorio è destinato a morire. Dopo tre anni, invece di ricostruire, si recinta tutto, ma noi vogliamo restare perché queste montagne sono la nostra casa” afferma Stefano guardando il Monte Cucco.

Linda Cappa ha appena finito di cenare dopo una giornata passata sui banchi dell’Università. I mezzi pubblici impiegano quasi tre ore per riportarla a casa da Macerata. Un ultimo sguardo alla sua serie preferita prima di prepararsi ad accogliere i clienti del ristorante – © Claudio Colotti

Anche Linda Cappa guarda con i suoi occhi profondi la stessa cima mentre fa yoga e danza in mezzo ai boschi. La sua figura è leggiadra, ma il coraggio e la tenacia che ha mostrato questa giovane sono notevoli. La ventiduenne, originaria di Ussita, altro centro in provincia di Macerata gravemente ferito dal sisma, ha deciso di non abbandonare i luoghi della sua vita e di rendersi utile agli altri già dai primi momenti di massima emergenza. Il ristorante della sua famiglia, dalla solida struttura in legno, ha resistito quando tutto, intorno, crollava o si spaccava. Sin dalla terribile notte del 26 ottobre 2016, Linda, insieme alla nonna e alla madre, ha sempre tenuto aperto il locale, offrendo un grande servizio alla collettività.

Da loro hanno trovato un pasto caldo le famiglie sfollate del territorio, prima di essere evacuate, ma anche i soccorritori, le forze dell’ordine, i volontari e gli operai che in questi tre anni sono passati e hanno operato nella zona. Nonostante la giovane età ha trovato la forza di sfidare la paura per le continue scosse e il dolore di vedere la sua Ussita piegarsi per le ferite del sisma e spopolarsi. Linda ha resistito col lavoro instancabile, con lo studio, arrivando a dormire per un anno in una roulotte davanti alla sua scuola, ma anche con la danza e lo yoga, che pratica tra le mura del suo ristorante, oltre che all’aria aperta. Come i passi dei cavalli di Stefano, anche i movimenti dei piedi nudi di Linda sull’erba davanti alle macerie sembrano descrivere un nuovo orizzonte in cui uomo e natura si ritrovano e si riscoprono.

Chiara Caporicci, a sinistra, all’interno di CASA, la sede dell’associazione che, dopo aver lasciato Bologna, ha fondato tre anni fa insieme ad altri giovani per promuovere un nuovo modo di abitare la montagna – © Claudio Colotti

Un orizzonte che da Bologna ha portato sulle montagne del maceratese Chiara Caporicci, che ha deciso di lasciare la carriera in ambito musicale e la vita della vivace città emiliana per andare ad abitare a Pioraco subito dopo il sisma. Un percorso al contrario il suo, mosso dal desiderio di aiutare la gente del posto e contrastare l’abbandono di questi paesini sparsi tra i Sibillini. Insieme ad altri volontari Chiara inizialmente si è attivata per la distribuzione di beni di prima necessità, dedicandosi poi al sostegno degli allevatori, procurando mangimi e fieni. In seguito hanno deciso di passare dall’assistenzialismo a un appoggio concreto, creando gruppi d’acquisto per i prodotti locali da vendere in diverse zone d’Italia.

Insieme ad altri amici Chiara, il sorriso dolce e la voce vivace, ha fatto un ulteriore passo in avanti, sistemando una rimessa e trasformandola in uno spazio condiviso, diventato la sede dell’associazione C.A.S.A. (Cosa Accade Se Abitiamo, portodimontagna.it). La finalità era creare un luogo di incontro, un punto di appoggio, di scambio culturale, di partecipazione dal basso, per discutere del futuro e del presente di Ussita, facendo incontrare persone di diverse generazioni. L’associazione ha cominciato a richiamare a Ussita scrittori, sociologi, studenti e ricercatori che si sono dedicati allo studio della reale situazione delle zone terremotate, soggiornando in questa sede. C.A.S.A. è entrata a far parte di “Terre in moto”, una rete di associazioni dell’alto maceratese che mirano a tenere alta l’attenzione su temi di interesse sociale. Di fronte alla mancanza di progetti di ricostruzione, alla percezione diffusa di instabilità, il fermento di questa rete di cittadinanza rappresenta una speranza per i territori. Tra i progetti a cui Chiara e i suoi colleghi tengono maggiormente e a cui hanno aderito c’è il “Cammino delle terre mutate” (camminoterremutate.org), un itinerario di 250 chilometri tra Fabriano (AN) a l’Aquila, nel cuore dell’Appennino ferito dal sisma. Una sorta di pellegrinaggio laico, per ricongiungersi con la montagna e scrivere una nuova pagina di storia.

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