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Interni / Reportage

Ripartire da un piatto di pasta fresca per “liberarsi” dalle dipendenze

“Fatti della stessa pasta” è il nome del laboratorio gestito dalal cooperativa sociale “Il progetto” fondata nel 1989 a Castellanza, in provincia di Varese

La cooperativa sociale “Il progetto” attiva da oltre 35 anni a Castellanza, Varese, ha dato vita a un pastificio per favorire l’inserimento lavorativo delle persone accolte nella sua comunità. Un’occasione di rilancio e scambio con il territorio

Tratto da Altreconomia 255 — Gennaio 2023

Il martedì mattina nel laboratorio di “Fatti della stessa pasta” c’è da rimboccarsi le maniche: dopo due giorni di chiusura si lavora a pieno ritmo per impastare, stendere la sfoglia, preparare tagliatelle, spaghetti e fusilli, cucinare il ripieno dei ravioli e prepararsi per l’arrivo dei primi clienti. Nel negozio adiacente al laboratorio, infatti, non solo è possibile acquistare pasta fresca di tanti formati diversi e prodotta con farine biologiche, ma ci si può anche fermare per mangiare un buon piatto durante la pausa pranzo.

Siamo a Castellanza, in provincia di Varese, in uno spazio preso in affitto dalla cooperativa sociale “Il progetto” che da 35 anni gestisce una comunità terapeutica riabilitativa residenziale per persone con problemi di dipendenza da sostanze. Attualmente nel negozio, inaugurato il 20 ottobre 2022, lavorano Anna una cuoca appassionata, Monica assunta con un contratto part-time e Francesco, da sei di mesi ospite della comunità, assunto con una borsa lavoro: prepara gli impasti, tiene puliti i locali e serve ai tavoli mettendo a frutto l’esperienza maturata in gioventù, quando faceva lo stagionale negli alberghi sul Lago di Garda. “Mi piace molto cucinare, lo faccio anche in comunità: preparo spesso pranzi e cene per gli altri -racconta ad Altreconomia-. Sarebbe bello se questo potesse diventare il mio mestiere: ho lavorato a lungo nelle fiere, allestendo gli stand, ma era molto pesante. Oggi non riuscirei più a farlo”. Francesco, 48 anni, ha alle spalle una storia complicata: l’abuso di farmaci dopanti e di oppiacei ha profondamente segnato il suo fisico e il pastificio rappresenta per lui una concreta possibilità per costruirsi un futuro diverso.

Dopo una fase di rodaggio, l’obiettivo è quello di assumere due o tre persone a tempo indeterminato, spiega Antonella Quaglia, psicoterapeuta e co-fondatrice de “Il progetto”. Da quando è andata in pensione, a giugno 2022, dedica anima e corpo a questa nuova iniziativa in veste di volontaria. “Abbiamo scelto di avviare un pastificio perché, con i giusti macchinari e una buona supervisione, le attività sono relativamente semplici da apprendere e al tempo stesso garantisce a chi lavora l’acquisizione di una professionalità spendibile -racconta-. Il laboratorio vuole essere uno spazio in cui le persone possano sperimentarsi in un ambiente protetto, ma con regole precise”.

“Fatti della stessa pasta” è il nome del laboratorio gestito dalla cooperativa sociale “Il progetto” fondata nel 1989 a Castellanza (VA) © Archivio Fatti della stessa pasta

Per chi ha alle spalle problemi di dipendenza da sostanze, infatti, l’ingresso (o il ritorno) nel mondo del lavoro può essere complicato e non solo per lo stigma sociale che accompagna questa condizione. “Chi, negli anni ‘buoni’, ha acquisito una professionalità ha meno difficoltà nel trovare un nuovo impiego -sottolinea Quaglia-. Ma per chi non ha competenze o ha una condizione di salute compromessa la situazione è più difficile: o non trova, oppure deve fare i conti con contratti precari, che spesso non vengono rinnovati, rendendo anche più difficile la ricerca di una casa. E questo può alimentare una sensazione di continuo fallimento”. In quest’ottica, “Fatti della stessa pasta” offre un percorso che integra l’accompagnamento garantito da “Il progetto”. La cooperativa è nata nel 1987 per iniziativa di un gruppo di giovani che facevano riferimento alla comunità cattolica di Castellanza, tra cui proprio Antonella Quaglia, che hanno acquistato e ristrutturato con le proprie mani una casa di corte abbandonata in centro al paese, per trasformarla in un luogo di condivisione e accoglienza per persone con varie fragilità. Negli anni successivi alle porte della cooperativa ha iniziato a bussare un numero sempre maggiore di giovani con problemi di dipendenza da eroina, spesso anche sieropositivi: “Siamo diventati una casa specializzata nell’accoglienza di questi ragazzi. Stavano con noi per circa tre mesi: li accompagnavamo durante le prime fasi, in cui prendevano consapevolezza del problema, sostenendoli nell’accesso ai servizi del territorio”, ricorda Quaglia.

A 35 anni di distanza sono cambiate molte cose: la sede (dal 2005 la cooperativa si è spostata in una struttura più grande alla periferia di Castellanza, con una ventina di posti) e la tipologia di attività (da semplice casa di accoglienza a comunità terapeutica riabilitativa residenziale maschile) ma non lo spirito che anima “Il progetto”. “Il nostro lavoro è aiutare le persone che arrivano qui a mettere i piedi a terra e riconoscere che qualcosa non è andato bene. Noi partiamo dal presupposto che se non ascoltiamo, in condizione di parità, le storie degli uomini che accogliamo non è realmente possibile generare un cambiamento. È questa la linea educativa e terapeutica che portiamo avanti”, continua Quaglia. L’età media delle persone che vivono e animano i locali della struttura si attesta tra i 35 e i 40 anni. Sebbene l’eroina sia ancora presente, la dipendenza predominante oggi è quella da cocaina.

Molti degli ospiti hanno alle spalle diverse esperienze (concluse o meno) di accoglienza all’interno di altre comunità: “Lavoriamo molto sull’autonomia. A differenza di altre strutture che richiedono lunghi periodi di isolamento, noi diamo agli utenti la possibilità di iniziare a relazionarsi con il territorio già dopo il primo mese”, riprende Quaglia. L’obiettivo di Francesco è quello di ricostruirsi una nuova vita, conoscendo la città, incontrando nuove persone. “Non ho più amici: o sono morti o sono delinquenti con cui è meglio non avere nulla a che fare -racconta-. Per questo ho tagliato i ponti con tutti e mi sono allontanato il più possibile dalla mia provincia d’origine. Dovevo cambiare ambiente e vita”. Per lui, che ha già avuto esperienze in altre comunità, fidarsi non è semplice: “Qui però ho trovato persone disposte ad aiutarmi, la comunità mi ha offerto una rete a cui appoggiarmi per andare avanti. Un passo alla volta”. Partendo da un piatto di pasta fresca.

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