Diritti / Opinioni
Immigrazione: dopo i decreti sicurezza non si deve tornare indietro
Da 20 anni in Italia domina un approccio emergenziale che ha impedito interventi necessari. Un’agenda per il futuro. La rubrica di Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
Riprendo la riflessione avviata nel numero 227 di Altreconomia sulla necessità di un cambio di paradigma delle normative sull’immigrazione e l’asilo, evidenziando come siano le inique ed irrazionali leggi vigenti a produrre le distorsioni gravissime che hanno ricadute sulla vita di milioni di persone straniere.
Non sappiamo ancora se l’annunciata riforma dei due decreti sicurezza voluti dall’ideologia salviniana si materializzerà nel primo autunno. Per la prima volta, i segnali sono positivi e vedremo che cosa accadrà con la consapevolezza che, anche nella prospettiva migliore, si ritornerà alla situazione ex ante con tutte le sue problematicità. Quelle di un Paese nel quale da 20 anni domina incontrastato un approccio emergenziale dai seguenti tratti di fondo. In primo luogo c’è una sostanziale impossibilità di entrare regolarmente in Italia per concludere un contratto di lavoro, salvo passare dal logoro (e ora di fatto soppresso) meccanismo delle quote-flussi e c’è una parallela impossibilità di entrare per ricerca lavoro, in presenza di precisi requisiti.
Questo blocco ha prodotto sia il fenomeno strutturale degli ingressi irregolari sia ha alimentato la più grande fabbrica italiana, quella dello sfruttamento del lavoro nero. In secondo luogo, rimane, inalterata nel tempo, la difficoltà a dare una stabilità di soggiorno agli stranieri riconoscendo loro il diritto alla vita privata e familiare sancito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il diritto a costruirsi percorsi di vita che vanno tutelati e non ostacolati dai pubblici poteri.
Oggi lo straniero che non ha una stabilità lavorativa, ma vive di lavori a termine e con periodi di mancanza di lavoro, rischia di non conseguire mai la stabilità necessaria per ottenere il permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo per il quale sarebbero sufficienti cinque anni di presenza regolare, ma che potrebbe anche non arrivare mai per le ragioni sopraddette.
Chi rimane con il fragile permesso di soggiorno “per lavoro” lo può perdere facilmente, spezzando così il suo progetto di vita e finendo in una irregolarità senza ritorno in quanto la normativa è rigida e unidirezionale: si passa dalla regolarità alla clandestinità, e mai il contrario, ad eccezione dei momenti in cui si concede la regolarizzazione. Inoltre la norma sull’acquisizione della cittadinanza italiana continua a basarsi, in larga prevalenza, sulla nozione di trasmissione per discendenza (ius sanguinis) ignorando che in tutte le società avanzate la cittadinanza scaturisce dal riconoscimento di un avvenuto percorso di appartenenza alla comunità nazionale alla quale si chiede di aderire.
L’arrivo dei rifugiati continua poi ad essere vissuto con allarme ed estremo fastidio, nonostante non ci sia alcuna pressione eccessiva e la percentuale della presenza dei richiedenti asilo e dei rifugiati sul totale della popolazione residente sia pari a un misero 0,5%. Buona parte dei rifugiati abbandonano il nostro Paese percepito come ostile e cercano di rifarsi una vita altrove; il problema dunque non è la loro invasione, bensì semmai la loro fuga.
In questo quadro migratorio così fragile le conseguenze della crisi socio-economica legata alla pandemia da Covid-19 possono essere durissime, gettando nell’irregolarità un numero enorme di persone, amplificando a dismisura il lavoro nero e il grave sfruttamento lavorativo, nonché accelerando la fuga dei rifugiati dalla penisola.
La spinta, già forte, a relegare ai margini della nostra società gli stranieri -sfruttati, insultati ed ignorati dalle politiche pubbliche- potrebbe assumere dimensioni tali da gettare le basi per l’inizio di conflitti sociali su base etnica-nazionale, ancora sotto traccia, ma di cui si vedono i primi segnali.
Queste sono le vere sfide che abbiamo di fronte, ben oltre la riforma dei decreti sicurezza.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni nonché vice-presidente dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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