Economia / Opinioni
Restituire progressività al sistema fiscale. Il primo passo per una riforma
All’interno delle Commissioni parlamentari sono state formulate varie proposte, peraltro tra loro assai disomogenee e non è chiaro come il governo Draghi possa tradurle in un testo organico entro metà luglio. Ma alcuni elementi che dovrebbero essere presenti in questa riforma sono chiari. L’analisi di Alessandro Volpi
In questi giorni si discute molto di riforma di fisco, non perché si tratta di un tema nuovo (tutt’altro). Ma perché, nell’ambito dello stringente calendario previsto dal “Recovery Plan”, entro metà luglio dovrebbe essere varata una misura di natura generale su tale questione. Le forze politiche, soprattutto nell’ambito delle Commissioni parlamentari, hanno formulato varie proposte, peraltro tra loro assai disomogenee, che non è ben chiaro come il governo Draghi possa tradurre in un testo organico. Alcuni degli elementi che dovrebbero essere presenti in una riforma necessariamente complessiva sono però abbastanza chiari.
In primo luogo occorre restituire progressività al sistema fiscale italiano. In questo senso sono indispensabili due punti nodali. Il primo è costituito da un aumento del numero di aliquote Irpef (fino ad massimo di sette) in modo da evitare scaglioni che mettano insieme redditi troppo diversi. A fronte di ciò può essere molto utile, invece, ridurre sensibilmente, se non cancellare la serie infinita di deduzioni e detrazioni utilizzate fino aa oggi proprio per garantire la progressività. La presenza di un’infinita sequenza di tax expenditures costituisce infatti un errore perché il mare magnum di deduzioni e detrazioni ad personam o per interi gruppi sociali impedisce in concreto di avere un quadro reale e veritiero della progressività che andrebbe costruito con un sistema più semplice, composto da un numero maggiore di aliquote, limitando all’essenziale, appunto, le deduzioni e le detrazioni e definendo una soglia di esenzione. Ne deriverebbe un beneficio sia in termini di equità sia di leggibilità del sistema fiscale.
Sarebbe poi convincente superare l’Irap, trasformandola in un’addizionale Ires, dando luogo ad un’unica imposta, con aliquota più alta dell’attuale, che potrebbe essere ridotta in relazione all’aumento dell’occupazione a tempo indeterminato. Sempre in materia di fisco d’impresa potrebbero essere opportuni sia il sostegno agli investimenti materiali con un impiego del super ammortamento, subordinato ad una crescita del fatturato per evitare gli acquisti puramente immobiliari, sia quello agli investimenti immateriali con la scelta dell’iperammortamento unito però ad una norma che stabilizzi l’investimento strutturale in R&D delle aziende sul modello di quanto accade in altri paesi.
Altrettanto importante sarebbe poi fare in modo che gli stessi redditi, a prescindere dalla loro origine, siano sottoposti alla medesima aliquota, superando rapidamente il sistema di privilegi determinato dal proliferare delle cedolari secche. In materia di imposizione finanziaria è assolutamente indispensabile procedere ad un rialzo della aliquota e soprattutto stabilire, in maniera chiara, un legame tra l’aliquota stessa e la durata dell’ “investimento” finanziario: più breve è la durata, maggiore dovrebbe essere l’imposizione. Un trattamento fiscale di chiaro favore, ancora più marcato, dovrebbe essere riservato ai titoli di Stato in modo da attrarre il risparmio diffuso. In tale ottica, forse, andrebbe ripensata anche l’imposta sostitutiva del 20% che oggi grava sui fondi pensione.
Per quanto riguarda le partite Iva e gli autonomi si potrebbe procedere, abolendo la ritenuta d’acconto, a spalmare le due “rate” di giugno e novembre nel corso dei dodici mesi sulla base della competenza dell’anno precedente. In tema di imposta di successione sarebbe ipotizzabile, a fronte dell’attuale “paradiso fiscale”, una franchigia fino a 1,5 milione di euro, un’aliquota dell’8% tra 1,5 e tre milioni, del 10% fra 3 e 5 milioni e del 20% sopra i 5 milioni di euro.
Più complessa è la valutazione in merito all’ipotesi di un’imposta patrimoniale che richiederebbe alcuni presupposti importanti come una puntuale rivalutazione delle rendite catastali e l’approntamento di strumenti necessari a ridurre l’elusione. In questo senso, qualsiasi riforma fiscale dovrebbe abbandonare l’idea dei condoni e delle voluntary disclosures che sono l’incentivo maggiore per la fuga dei capitali.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.
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