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Regione Lombardia non rende pubblici i dati sull’epidemia: la trasparenza è un “intralcio”
Dai decessi nelle RSA ai contagi tra i medici di base, dai dispositivi di protezione ai flussi da e verso le residenze per anziani: le ATS e le ASST lombarde hanno negato il nostro accesso agli atti con provvedimenti “fotocopia”. Allo stato i dati non sarebbero aggregati. Agnoletto: “Il rifiuto è di estrema gravità”. Tognoni: “Questa mancanza è frutto della progressiva svendita della sanità al mercato”
Regione Lombardia si rifiuta di fornire dati certi sull’epidemia e con la scusa della “gestione dell’emergenza” sostiene di non averli ancora aggregati. È quanto emerge dai dinieghi “fotocopia” opposti alle istanze di accesso civico inoltrate da Altreconomia alle Agenzie di tutela della salute (ATS) e alle Aziende socio sanitarie territoriali (ASST) lombarde all’inizio del mese di aprile.
I dati richiesti riguardavano tra le altre cose i decessi (negli ospedali e nelle RSA), i contagi tra il personale sanitario inclusi i medici di base, i dispositivi di protezione distribuiti anche nelle RSA e i flussi (da/verso) registrati tra ospedali e residenze per anziani. Si tratta di tessere fondamentali per comprendere come è andata (e come potrebbe andare) sui singoli territori, informazioni decisive che la Regione dovrebbe avere in mano da tempo e in continuo aggiornamento. La “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie” a cura dell’Istituto superiore di sanità, infatti, è preziosa ma non esaustiva.
A nemmeno una settimana lavorativa dal protocollo delle istanze hanno già risposto alla richiesta ben sei ATS su otto -Bergamo, Brescia, Brianza, Insubria, Pavia e Val Padana- e un terzo delle 27 ASST interpellate -dagli Spedali Civili di Brescia a Vimercate-. Non erano tenute a farlo in un lasso di tempo così breve: il decreto legge “Cura Italia”, infatti, aveva previsto per le amministrazioni pubbliche la possibilità di sospendere i termini di tutti i procedimenti dal 23 febbraio al 15 aprile, compresi dunque anche quelli di “accesso”.
Perché allora tante Agenzie e Aziende socio-sanitarie hanno risposto così prontamente? Semplice: perché il messaggio, identico per tutte, parola per parola, è stato di chiusura e di diniego. Un niet “fotocopia” condiviso dall’assessorato competente, quello al Welfare guidato da Giulio Gallera.
“Tutto il personale, non solo sanitario ma anche tecnico e amministrativo è occupato nella gestione dell’epidemia che ha particolarmente colpito il territorio di afferenza della nostra ATS”, spiega ad esempio la nota firmata dal direttore generale di Bergamo, Massimo Giupponi. Il quale, con parole copincollate dagli altri suoi colleghi dirigenti di ATS (Mannino in Val Padana, Silva a Pavia, Gutierrez per Insubria, Sileo a Brescia e Casazza in Brianza), aggiunge che la nostra istanza, “richiedendo l’elaborazione di una mole considerevole di dati, allo stato non aggregati stante il quadro aziendale sopra descritto non può essere evasa”.
E per aziende e agenzie “già così provate dall’eccezionalità” una richiesta di dati -teoricamente già raccolti e aggregati- non sarebbe “pertanto compatibile con la necessità di assicurare il buon andamento” delle strutture. Di più: si tratterebbe di “nocumento sull’efficienza dell’Amministrazione” nonché “causa di intralcio”.
Chiarito che nessuno ha chiesto i dati ai medici o agli infermieri impegnati sul campo quanto semmai alle strutture amministrative, è accettabile che l'”emergenza” annichilisca la trasparenza, considerandola d'”intralcio”?
“Il rifiuto di fornire i dati richiesti è di estrema gravità per due motivi -spiega Vittorio Agnoletto, medico e conduttore della trasmissione ’37 e 2′ su Radio popolare-. Innanzitutto perché la trasparenza, la fluidità e la chiarezza nelle comunicazioni tra le istituzioni non solo dovrebbe essere la regola in qualunque sistema democratico, ma è fondamentale in una situazione di emergenza sanitaria, nella quale la popolazione viene precipitata in una condizione di incertezza sul proprio presente e futuro ed ha l’assoluta necessità di poter stabilire una relazione di fiducia con le autorità istituzionali che gli chiedono sacrifici in nome di un bene collettivo, la difesa della salute pubblica. Se crolla la fiducia verso chi detta le regole ogni richiesta appare come un’imposizione arbitraria difficile da sopportare. Questa riflessione riguarda ovviamente il rapporto tra i cittadini e tutte le istituzioni tra le quali ci sono anche le ASL/ATS/ASST.
Il secondo motivo evidenziato da Agnoletto riguarda la “specifica importanza dei dati richiesti”: “Sono informazioni che dovrebbero essere già nella disponibilità dei dirigenti delle aziende sanitarie perché sono essenziali per poter pianificare gli interventi, e individuare le priorità. La risposta dei dirigenti aggiunge un ulteriore dubbio sull’effettiva preparazione e capacità del sistema sanitario (SSR) lombardo di affrontare l’attuale situazione. I segnali in questa direzione sono ormai numerosissimi dai più macroscopici ai più piccoli, tra questi cito il messaggio di un dirigente RSA che all’inizio di aprile all’alba mi ha chiesto se avessi qualche medico da indicargli per seguire la sua RSA perché i medici che collaboravano con la sua struttura erano in malattia e l’ATS non aveva ancor risposto alla sua richiesta urgente. Problemi drammatici di una quotidianità nella quale ognuno sembra abbandonato a se stesso da un SSR costruito per produrre profitti per i privati ma non per tutelare la salute di tutti i cittadini”.
Gianni Tognoni, già direttore scientifico del centro di ricerche farmacologiche e biomediche della Fondazione Mario Negri Sud e Segretario generale del Tribunale permanente dei popoli, pone un interrogativo di fronte alle mancate risposte delle ATS e delle ASST lombarde: “Come si può pensare di avere risposte mirate e trasparenti da un universo che è sinonimo e simbolo di un’area dove tutte le ambivalenze della società e della sanità si incrociano, e si coprono reciprocamente, per mascherare l’assenza di un progetto?”.
Tognoni si riferisce al “caso RSA”: “È ‘scoppiato’ nella ‘grande cronaca’ come fosse la scoperta di una realtà ignota ed inattesa. Mi hanno colpito due aspetti: il primo, più istituzionale, incredibile per la ‘normalità’ della ignoranza-arroganza dei suoi contenuti e dei suoi toni, è l’atto della Regione che ha previsto la utilizzazione di spazi disponibili in aree RSA come spazi COVID; il secondo aspetto è quello dello ‘squallore’ dei modi di gestione del personale e della ‘discarica’ delle casse da morto in uno degli istituti simbolo (per la storia, le dimensioni, l’immagine pubblica) di una città capace nella sua modernità di rispettare l’antica priorità della persona, soprattutto nella sua espressione di fragilità. La novità reale di questi dati di fatto è che possano essere sul serio visti, vissuti, discussi come nuovi, anche loro prodotto di una emergenza che non rispetta nessuno. Tanto più nella Lombardia che è carta da visita di efficienza, di futuro, di inclusione a livello europeo”.
Tutto questo sarebbe il “prodotto collaterale di quella progressiva svendita della sanità al mercato su cui tutti hanno manifestato un sospettoso e troppo facile accordo negli ultimi mesi come causa prima ed aggravante dell’emergenza COVID-19, nelle terapie intensive ed ancor più nella discontinuità ospedale-territori”.
Non sono scomparsi solo i dati. Ancor prima, spiega Tognoni, è toccato “alle persone, alle loro vite, al loro essere diverse, nei bisogni, nei diritti, nelle attese. La storia della vita e dell’ammalarsi delle persone (l’epidemiologia) è stata dichiarata ingombrante”. “L’universo delle RSA è il prodotto inevitabilmente di scarto del processo di ‘scomparsa attiva’. Quando la anzianità e la durata della vita (indicatori imprescindibili del nostro profilo internazionale di società ‘nonostante tutto’ felice) si trasformano in carichi assistenziali cui rispondere alla luce dei diritti costituzionali, la salute-mercato accetta gli anziani solo fino a quando coincidono con aree di mercato, tecnologia, farmaci, riconducibili a bilanci economicamente sostenibili. La loro vita successiva è un problema ‘privato’: dei singoli ,se e finché hanno risorse, nel rigoroso rispetto dei profili di diseguaglianza; del mercato con i suoi accordi/convenzioni/compravendite”.
C’è una domanda che per Tognoni resta sullo sfondo: “Ci sarà spazio per una democrazia delle persone non vendibili a prezzi di mercato? Sarebbe bello -o semplicemente obbligatorio per civiltà, prima che per decisione di un tribunale- se le persone che vivono nelle RSA tornassero ad essere indicatori e misura di un diritto che non può prevedere mai popolazioni destinate a essere ‘scarti’”.
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