Diritti / Attualità
Stranieri e prestazioni sociali: il “modello Lodi” entra nel reddito di cittadinanza. Nonostante la bocciatura dei Tribunali
A fine marzo il Tribunale di Milano ha accertato il “carattere discriminatorio” dell’iniziativa del Comune di Vigevano (PV) che dal 2015 richiedeva ai cittadini extra UE documenti aggiuntivi al modello ISEE per accedere ai servizi sociali. Nonostante un altro “caso Lodi” sanzionato dai giudici, quella previsione è stata “promossa” a legge dello Stato per le modalità di accesso al nuovo “reddito di cittadinanza”, con lo scopo dichiarato di ridurre a livelli minimi il “peso” degli stranieri
I Comuni che richiedono ai cittadini stranieri documenti aggiuntivi rispetto al modello ISEE per poter accedere alle prestazioni e ai servizi sociali in Italia mettono in pratica una “condotta discriminatoria”. Lo ha ribadito il Tribunale di Milano (Sezione lavoro e assistenza), accertando lo scorso 27 marzo il “carattere discriminatorio” dell’iniziativa del Comune di Vigevano (PV) e accogliendo le richieste avanzate dalle associazioni ASGI, NAGA e ANOLF-CISL, assistite dagli avvocati Alberto Guariso, Giulia Vicini e Silvia Balestro e dalle associazioni che sul territorio si sono battute per anni contro il provvedimento comunale. Quella “previsione”, però, già bocciata due volte dai giudici (Vigevano e pochi mesi prima Lodi), è stata “promossa” a legge dello Stato per le modalità di accesso al nuovo “reddito di cittadinanza”.
L’ente locale lombardo aveva previsto che un cittadino extra comunitario non potesse accedere alle prestazioni sociali agevolate mediante la presentazione del modello ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) ma dovesse integrarlo con “certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, legalizzati dalle autorità consolari italiane e corredati di traduzione in lingua italiana, di cui l’autorità consolare italiana attesta la conformità all’originale, fatte salve le diverse disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali in vigore in Italia”.
Il regolamento comunale, in vigore dal 2015, veniva inoltre applicato in maniera “estensiva” da parte dell’ente non soltanto rispetto a quelle prestazioni “proprie” dell’amministrazione ma anche per quelle regolate da legge dello Stato (bonus per famiglie numerose e assegno di maternità) ma per le quali è previsto un preventivo esame dei requisiti da parte del Comune. “Il Tribunale ha confermato che le amministrazioni comunali non possono richiedere agli stranieri documenti aggiuntivi rispetto all’ISEE -spiega l’avvocato Alberto Guariso-. L’ISEE non è, infatti, un’autocertificazione, ma un’attestazione pubblica del livello di reddito e di patrimonio di ciascun nucleo familiare scelta dal legislatore come il criterio mediante il quale tutti, italiani e stranieri, accedono alle prestazioni sociali secondo i medesimi criteri”.
Il cuore della vicenda sta nell’illegittimità del “trattamento differenziato” tra cittadini dell’Unione europea e gli altri rispetto alla presentazione della Dichiarazione sostitutiva unica (DSU) e dell’ISEE. Una violazione palese del Regolamento in materia di modalità e campi di applicazione dell’ISEE (Dpcm 159/2013) che avrebbe comportato una “discriminazione diretta nell’accezione accolta dall’ordinamento nazionale e comunitario” che “impedisce di prendere in considerazione la nazionalità quale fattore dirimente”.
L’ordinanza del Tribunale è preziosa perché, oltre a ribadire il principio generale della “parità di trattamento” tra cittadino italiano e straniero nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, contribuisce a disinnescare false credenze ormai consolidate. Tutti i residenti, italiani e stranieri, infatti, devono allo stesso modo denunciare redditi e patrimoni all’estero e devono comunque inserirli nella citata DSU che avvia il procedimento. Anche alla voce “controlli” da parte dello Stato vige l’assoluta parità di trattamento per italiani o stranieri.
Sta di fatto che l’iniziativa ideologica del Comune di Vigevano ha avuto riflessi concreti sulla vita delle persone. “Purtroppo -hanno ricordato le associazioni ricorrenti-, nei ben tre anni di vigenza della delibera di Vigevano, molti cittadini stranieri non potevano procurarsi i documenti illegittimamente richiesti dal Comune, sono stati obbligati a pagare, per accedere a servizi comunali come mensa o trasporto scolastico, importi molto superiori a quello che avrebbero dovuto versare sulla base dell’ISEE presentato; a molti è stato detto che in assenza dei documenti non potevano neppure presentare la domanda per le prestazioni statali che passano attraverso il vaglio del Comune, come l’assegno di maternità di base, una prestazione prevista proprio per sostenere le famiglie più povere nel momento di una nascita”.
La soddisfazione dei ricorrenti, però, non è durata nemmeno 24 ore. Il 28 marzo, infatti, poco dopo l’ordinanza del Tribunale di Milano sul “caso Vigevano”, il Senato ha approvato definitivamente la legge di conversione del decreto legge 4/19 che ha istituito il reddito di cittadinanza (RDC). Nel testo modificato è stata inserita una norma, soprannominata “emendamento Lodi” (il primo firmatario dell’emendamento è il leghista Luigi Augussori, già presidente del consiglio comunale di Lodi, indisponibile a un’intervista), che prevede proprio quell’obbligo per i cittadini di Paesi extra UE di produrre documentazione del Paese di origine tradotta e legalizzata dall’autorità consolare italiana in quel contesto, che attesti la composizione del nucleo familiare e la situazione reddituale e patrimoniale nel Paese di origine.
“Dopo l’introduzione del requisito dei 10 anni di residenza e della limitazione ai soli stranieri titolari di permesso di lungo periodo -aveva dichiarato a stretto giro l’ASGI, denunciando l’esclusione di cittadini stranieri con il permesso di soggiorno per protezione internazionale, apolidi, cittadini di Paesi non UE con permesso di soggiorno unico, cittadini di Paesi non UE titolari di Carta Blu- si tratta di un’ulteriore misura volta a ridurre a livelli minimi l’accesso degli stranieri al reddito di cittadinanza”. Una “punizione” ad hoc riservata a coloro che in realtà sono “particolarmente vulnerabili” in tema di povertà, come ha ricordato Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, audito dalle Commissioni riunite XI (Lavoro pubblico e privato) e XII (Affari sociali) della Camera dei Deputati il 5 marzo 2019. “Una persona straniera su 3 risulta povera (pari a 1 milione e 609mila individui) mentre è povero un italiano ogni 16 (6,2% dei cittadini italiani pari a 3 milioni e 449mila individui)”, le parole di Monducci.
La legge di conversione del RDC prevede che quell’obbligo di produzione di “apposita certificazione” non si applichi in alcuni casi. In primo luogo ai cittadini extra Ue aventi status di rifugiato politico (i documenti verrebbero richiesti invece ai titolari di protezione sussidiaria, che pure hanno i medesimi impedimenti a rivolgersi al paese di origine); in secondo luogo ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea nei quali sia “oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni”. “A tal fine -stabilisce la legge-, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con decreto del ministro del lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, è definito l’elenco dei Paesi nei quali non è possibile acquisire la documentazione necessaria”.
Per l’ASGI è l’anticamera di “incertezze e complicazioni burocratiche ingestibili”. “Si pensi ai molti Paesi nei quali procurarsi i documenti non è impossibile ma solo ‘estremamente difficile’ per l’inesistenza di un catasto nazionale -chiarisce Guariso-. Saranno inseriti nell’elenco? Si apre una fase di incertezza della quale resteranno vittime non solo gli stranieri, ma anche l’intera macchina organizzativa del Reddito di cittadinanza, già di per sé molto complessa”. Per comprendere che cosa potrà accadere con questa norma basta scorrere le risposte che i consolati di alcuni Paesi extra UE (Ecuador, Pakistan, Egitto, Turchia, Marocco) hanno fornito nel tempo al Comune di Lodi, prima della decisione del Tribunale, in merito alla possibilità di rilasciare documentazione attestante reddito e patrimonio nei Paesi d’origine. Dalle repliche raccolte dall’ASGI emerge una totale “indisponibilità ad attestare alcunché” con rinvio “alla competenza delle autorità del Paese di origine” (imposta per legge dalla nuova norma sul reddito di cittadinanza). Ben 18 consolati avrebbero “completamente ignorato persino la richiesta del Comune di Lodi di sapere quali sarebbero le certificazioni rilasciabili (quello dell’Eritrea non ha neppure ritirato la raccomandata)”.
“Il controllo della ricchezza, per italiani e stranieri, in un mondo globalizzato ove le persone si spostano è un problema serio e complesso -conclude Guariso-, ma non si risolve imponendo oneri irragionevoli alle persone bisognose”.
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