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Quando la società civile costruisce la pace: una guida pratica al disarmo umanitario

© Rete italiana pace e disarmo

L’approccio umanitario alle questioni del disarmo è ancora poco dibattuto in Italia, nonostante abbia ispirato il raggiungimento di importanti traguardi. Il centro di ricerca dell’Associazione nazionale vittime civili di guerra stimola il dibattito con un volume ad hoc. Una lettura preziosa anche in vista della manifestazione del 5 novembre

Dalla convenzione che ha proibito l’uso, lo stoccaggio, la produzione e la vendita delle mine antipersona nel 1997 a quella più recente sulla messa al bando delle munizioni a grappolo fino al Trattato per la proibizione delle armi nucleari del 2017. “Se pensiamo a quanti percorsi che hanno portato all’abolizione di armi eccessivamente cruente sono partiti dalla società civile, capiamo perché le lacune della popolazione italiana su questi temi sono problematiche”. Federica Dall’Arche, esperta di disarmo nucleare, è l’autrice del volume “Non-proliferazione, controllo degli armamenti e disarmo umanitario: una breve guida pratica ed essenziale”, pubblicato dall’Osservatorio sulle vittime civili dei conflitti, il centro di ricerca istituito nel 2015 dall’Associazione nazionale vittime civili di guerra (Anvcg), e presentato a fine ottobre 2022 presso la sala conferenza dell’Associazione stampa estera italiana a Roma.

“Proprio oggi che sentiamo parlare di ‘bombe sporche’ e di esercitazioni nucleari è importante essere consapevoli quanto questi temi abbiano effetti diretti sulle nostre vite”, aggiunge Dall’Arche. Non è un caso che il volume, prima pubblicazione italiana sul tema del disarmo umanitario e scaricabile gratuitamente dal sito dell’Osservatorio, sia stato presentato nella Settimana mondiale del disarmo e in concomitanza con una serie di eventi e manifestazioni per la pace organizzati dalla società civile, come quella in programma sabato 5 novembre a Roma. La guida è stata pensata per essere il primo volume di una collana di pubblicazioni sul tema del disarmo umanitario, con l’intento di essere “un ulteriore strumento a disposizione del terzo settore e degli attori in ambito politico per rafforzare la capacità di imprimere un cambiamento sui processi internazionali”.

Il volume fornisce gli elementi essenziali per comprendere il contesto, le necessità e gli obiettivi alla base dei regimi del controllo degli armamenti, della non-proliferazione e del disarmo, ponendo al centro soprattutto il tema del disarmo umanitario. I primi due regimi pongono limiti al numero, alla tipologia e alle attività legate alle armi, con l’obiettivo della stabilità, della riduzione dei costi e della limitazione dei danni. La non-proliferazione punta a contenere e ridurre il numero di Paesi dotati di una specifica tipologia di armi (come quelle nucleari). Invece il disarmo ha come obiettivo la messa al bando di determinate categorie di armi eccessivamente cruente e dagli effetti indiscriminati e persistenti. In questo contesto, il disarmo umanitario è un approccio che punta a eliminare la presenza e l’uso di armi ponendo come prioritaria la protezione delle persone e dell’ambiente più che la stabilità degli Stati o il risparmio economico generato dalla dismissione degli armamenti.

Le armi oggetto di quest’ultimo regime sono quelle in grado di causare sofferenze ingiustificabili e di generare un impatto non solo sui target militari, ma anche sulla popolazione civile e sull’ambiente: le mine antipersona, gli aeromobili a pilotaggio remoto e le armi completamente autonome, le munizioni a grappolo, le armi incendiarie e quelle nucleari. L’obiettivo non è solo la prevenzione: il disarmo umanitario si concentra anche nel porre rimedio ai danni ambientali e agli effetti sulla popolazione, incentivando l’impegno statale verso l’assistenza alle vittime e la bonifica dei territori contaminati. “L’approccio umanitario è inclusivo perché punta a trovare soluzioni attraverso il rafforzamento della normativa internazionale coinvolgendo tutti i soggetti che hanno a che fare con il disarmo, comprese le vittime di guerra”, spiega Michele Corcio, vicepresidente nazionale vicario dell’Associazione nazionale delle vittime civili di guerra e coordinatore dell’Osservatorio. Aggiunge Sara Gorelli sempre dell’Anvcg: “Con questo approccio è la società civile altamente specializzata a dare il via a percorsi negoziali che prima erano solo ad appannaggio del mondo diplomatico, arrivando a soluzioni altrimenti insperate”.

Il volume “Non-proliferazione, controllo degli armamenti e disarmo umanitario: una bre-ve guida pratica ed essenziale”, pubblicato dall’Osservatorio sulle vittime civili dei conflitti, è stato presentato a il 26 ottobre presso la sala conferenza dell’Associazione stampa estera italiana a Roma © Ylenia Sina

L’esempio principale dei risultati raggiungibili con i processi del disarmo umanitario risale al 1997, anno di adozione del Trattato sulla messa al bando delle mine antipersona. Al momento del lancio, nel 1992 a New York, la campagna era stata considerata un “progetto utopico”, si legge nel volume, perché “all’epoca le mine antipersona erano uno strumento militare estremamente comune e nessuna arma convenzionale ampiamente utilizzata era mai stata proibita dai trattati internazionali fino ad allora”. Invece, “il Trattato fu lo strumento più velocemente ratificato nella storia del diritto internazionale”. Hanno seguito lo stesso percorso la Convenzione sulle munizioni a grappolo del 2008, il Trattato sul commercio delle armi del 2013 e il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari del 2017, che a differenza di quello sulla non proliferazione nucleare del 1970, nato per limitare i Paesi dotati di armi nucleari (oggi nove in totale), le mette fuori legge proibendone non solo il possesso ma anche lo stazionamento e il trasferimento. Il trattato è stato firmato da circa 90 Stati tra i quali, però, manca l’Italia perché in qualità di Paese Nato ospita armi nucleari pur non possedendole. Ed è proprio al contesto legislativo italiano che viene dedicato il quarto capitolo. “Le leggi del nostro Paese sono all’avanguardia”, spiega ancora Dall’Arche. L’Italia infatti ha ratificato tutti gli strumenti del diritto internazionale umanitario prodotti a partire dal secondo dopoguerra, tra le quali le convenzioni che proibiscono armi di distruzione di massa, come quelle biologiche e chimiche, ma anche convenzionali come le munizioni a grappolo e le mine antipersona. Anche su quest’ultimo tema, come ricorda Giuseppe Schiavello del Comitato scientifico dell’Osservatorio, “c’è stato un enorme lavoro della società civile”. Prima con la legge 95 del 2011, la quale ha introdotto sanzioni penali per le attività di sostegno finanziario verso, tra le altre cose, la produzione, l’acquisizione e il commercio di munizioni a grappolo. Poi con la legge 220 del 2021 che ha previsto misure specifiche per contrastare il finanziamento alle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo. “È la prima volta che una legge pone un divieto su strumenti finanziari -conclude Schiavello-. Alla base c’è un lungo percorso iniziato nel 2010 da tante associazioni a dimostrazione dei successi che può ottenere la società civile”.

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