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Armi in Ucraina e ponte aereo militare: le Ong chiedono trasparenza al governo

Un C130J italiano © Anna Cavigioli - Unsplash

Si intensificano i voli sulla base di Rzeszow, in Polonia, con le forniture dirette in Ucraina. Rete italiana pace e disarmo, Opal e The Weapon Watch ne chiedono conto all’esecutivo e propongono il divieto all’export di “armi comuni” in Russia. Il caso di Beretta e Fiocchi

Quali tipologie di materiali militari stiamo inviando in Polonia e verso quali utilizzatori finali? Ne chiedono conto al governo la Rete italiana pace e disarmo, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) e The Weapon Watch, alla luce “dell’impiego di personale militare italiano nel trasporto di materiali militari per il conflitto in corso in Ucraina, tra Paesi non appartenenti alle alleanze militari che impegnano il nostro Paese”.

“Fonti di stampa hanno dato notizia che due C-130J ‘Hercules’ dell’Aeronautica militare italiana sono partiti nei giorni scorsi dall’aeroporto di Pisa diretti allo scalo polacco di Rzeszow/Jasionka, a un centinaio di chilometri dalla frontiera ucraina. La rete degli spotter ha segnalato inoltre altri voli militari partiti dall’Italia. Secondo una nostra ricostruzione -scrivono le organizzazioni- quello in corso sembra configurarsi come un vero e proprio ‘ponte aereo’ militare internazionale verso la base di Rzeszow, nella Polonia orientale, dove già dai primi di febbraio opera un comando logistico degli Stati Uniti. Su Rzeszow stanno convergendo aerei provenienti anche da altri Paesi, in particolare dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dal Belgio, dalla Spagna, dal Canada”.

Per quanto riguarda l’Italia si tratta di un “rapido incremento dei voli giornalieri dell’Aeronautica militare a destinazione Rzeszow”, che avrebbe riguardato anche l’impiego di velivoli normalmente di stanza a Pratica di Mare e Grosseto.

“La risoluzione del conflitto è possibile solo con la ‘neutralità attiva’ -ricordano la Rete, Opal e The Weapon Watch-, attivando tutti gli strumenti diplomazia ufficiale e popolare, con la pressione internazionale, il disarmo, il sostegno alle forme di trasformazione nonviolenta dei conflitti, il superamento delle attuali alleanze militari, l’opposizione alla militarizzazione e soprattutto proteggendo le persone che sono le principali vittime di ogni guerra”.

Le organizzazioni, ribadendo la “più ferma condanna per l’aggressione militare russa” ed esprimendo “massima solidarietà alle popolazioni coinvolte nel conflitto”, non chiedono trasparenza e chiarezza solo sul “ponte aereo” militare ma invitano deputati e senatori a esercitare anche il “diritto-dovere di controllo, attraverso apposite interpellanze, per essere informati dal governo sulle attività militari che il nostro Paese sta compiendo e che possono configurare una partecipazione al conflitto in corso in Ucraina”.

E chiedono, inoltre, di “includere tra le sanzioni verso la Federazione Russa tutte le armi e munizioni anche quelle classificate di ‘tipo comune’, non soggette all’embargo di materiali militari dell’Unione europea in vigore dal primo agosto del 2014 e di farsi promotore di questa iniziativa a livello comunitario affinché sia al più presto adottata da tutti i Paesi dell’Unione”.

Armi e munizioni di tipo comune continuano, infatti, ad essere inviati in Russia, spiegano le organizzazioni: “queste tipologie di armi e munizioni non riguardano solo quelle per l’attività sportiva o venatoria, ma comprendono armi semiautomatiche e relativo munizionamento utilizzato da corpi para-militari, da compagnie di sicurezza privata e mercenarie”.

Qualche numero. Dati Istat sul commercio estero alla mano, dalla provincia di Brescia, nella quale spicca l’azienda d’armi Beretta, sarebbero state esportate verso la Russia “Armi e munizioni” per 5.203.519 euro nel 2019, 7.710.856 euro nel 2020 e 9.837.425 euro già nei primi nove mesi del 2021 (ultimo dato disponibile). Beretta conta anche una succursale in Russia, ovvero la Russian Eagle LLC con sede a Mosca. Alle nostre richieste di chiarimenti sulle esportazioni, sulla destinazione finale, sui committenti e sull’operatività della società di Mosca, Beretta non ha dato riscontri.

Da Lecco invece -sempre fonte Istat- la Fiocchi munizioni avrebbe esportato verso la Russia “Armi e munizioni” per 558.882 euro nel 2019, 545.072 euro nel 2020 e già 554.467 euro nei primi nove mesi del 2021. Altreconomia ha chiesto all’azienda informazioni sulla tipologia di forniture, per quale destinazione di utilizzo dichiarata e per quale committente, la garanzia che tali forniture non siano impiegate anche in ambito militare e spiegazioni circa la forte crescita del 2021.

Il presidente di Fiocchi munizioni Spa, Stefano Fiocchi, ci ha fatto sapere che si tratta “di vari tipi di munizioni da caccia e tiro destinate a distributori commerciali regolarmente autorizzati”. Aggiungendo che “attualmente le esportazioni verso l’Ucraina e la Russia sono bloccate”.


Il 7 marzo Fabbrica d’Armi P. Beretta Spa ci ha fatto sapere che “Fabbrica d’Armi ‘Pietro Beretta’ vende in Russia armi civili per caccia e tiro sportivo (sussiste, a tal proposito, un rapporto di anni con le loro Federazioni sportive) esclusivamente attraverso consociata Russian Eagle con un fatturato che si attesta a poco più di 1 milione di euro all’anno. Quanto al materiale di armamento, si ricorda che esiste un embargo da parte della Ue già prima che scoppiasse il conflitto in Ucraina: pertanto, nessuna esportazione di tale materiale è stata effettuata. Infine, dopo l’esplosione del conflitto in Ucraina, anche la vendita dei prodotti civili per uso caccia e sport è stata sospesa”. Aggiungendo che i dati relativi all’export della provincia di Brescia “non sono ascrivibili a Fabbrica d’Armi e consociate”.

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