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Interni / Reportage

Il corteo pacifista è un’iniezione di pluralismo nella stanca democrazia italiana

Il racconto della grande manifestazione per la pace di sabato 5 marzo a Roma. Dove si è sentita un’altra voce, si sono avanzate altre ipotesi, come non è avvenuto nel dibattito politico e giornalistico, finora asfittico e tutto orientato a rispondere alla guerra con la guerra

“La guerra è fossile, la pace è rinnovabile”: quando Sara Pezza dei Fridays for future romani sintetizza così il suo intervento dal palco della manifestazione “Europe for peace” organizzata dalla Rete italiana pace e disarmo sabato 5 marzo, si capisce che il movimento pacifista sta ritrovando la sua lucidità. E Luciana Castellina, che potrebbe essere nonna di Sara, davanti a una piazza San Giovanni colma di pacata energia, dice di avere finalmente “ritrovato” il movimento, chiamato a raccolta dal “criminale e folle” attacco russo all’Ucraina, ma un po’ lo rimprovera, perché “il pacifismo lavora per impedire le guerre e perciò non può essere intermittente”. E aggiunge:”Noi rifiutiamo le armi e dobbiamo usare quindi più cervello”.

È questo un richiamo che plana su un Paese che sembra in verità poco propenso al confronto e all’analisi delle ipotesi in campo. Le forze politiche paiono già paghe delle decisioni prese -con l’invio delle armi a Kiev- e i grandi media vivono un clima di sovreccitazione che riporta alla memoria la poco gloriosa stagione dell’interventismo, quando si trattava di spingere l’Italia verso la Grande Guerra. Nell’assenza di reale discussione, il corteo contro la guerra di sabato 5 marzo, con decine di migliaia di persone (molti giovani) in strada, è stato un’iniezione di pluralismo nella stanca democrazia italiana. Si è sentita un’altra voce, si sono avanzate altre ipotesi, come non è avvenuto nel dibattito politico e giornalistico, finora asfittico e con punte di sdegnata intolleranza per l’ipotesi di non rispondere alla guerra con la guerra.

In un Paese che nemmeno ha chiarito a sé stesso se si trovi o no in condizione di cobelligeranza dopo la scelta di inviare armi in Ucraina, da piazza San Giovanni arriva una forte richiesta di politica, di non ipocrisia, di non ambiguità.
Nel suo ispirato intervento, il segretario della Cgil Maurizio Landini, dopo un innovativo saluto di “grazie a tutte” (declinato solo al femminile), ha detto che “la guerra non si ferma inviando armi ma inviando l’Onu, che per questo è nata, per impedire che la guerra torni a essere la regolatrice dei rapporti fra stati”.

Landini ha evocato Gino Strada, “che oggi -ha detto- è qui con noi”, e rilanciato la sua utopia, cioè il suo progetto: “Abrogare la guerra, come è stata abrogata la schiavitù”. Per il segretario della Cgil “l’intelligenza oggi deve servire a immaginare un nuovo modello di sviluppo, con l’uomo al centro e non il mercato, e una nuova stagione di disarmo”. Perciò, secondo Landini, “un sindacato non può che essere contro la guerra: non ci sono né armi intelligenti né guerre giuste, e il mondo deve cambiare. Non possiamo passare dalla pandemia alla guerra, da non aver vaccini per tutto il mondo all’esplosione della spesa militare”. La piazza ha molto applaudito, approvando probabilmente sia le parole sia i toni di Landini, apparso molto preoccupato per la crisi ma anche convinto che ci sia la forza -nella società, fra i cittadini- per “cambiare tutto” e costruire un’Europa “dell’accoglienza” e un percorso di dialogo e preminenza della diplomazia nella crisi Ucraina.

È stata una manifestazione che ha messo in campo il tema della complessità, ricordando le varie altre guerre in corso nel Pianeta, l’urgenza di riattivare i meccanismi di dialogo previsti dalle Nazioni Unite, il ruolo cruciale dei movimenti sociali di opposizione in Russia e delle reti di società civile a cavallo fra Russia e Ucraina.

Non ci sono soluzioni pret-à-porter in seno al pacifismo -ma l’invio di armi e il possibile allargamento del conflitto forse lo sono?- e quindi i 50mila o quanti erano di piazza San Giovanni offrono al Paese e al resto d’Europa l’apertura di un dibattito serio e aperto a tutte le prospettive, mettendo sul tavolo opzioni di breve, medio e lungo periodo: un ruolo per l’Onu; un’Europa non degli eserciti ma dell’accoglienza; la via del disarmo; la nonviolenza attiva nella lotta contro la sopraffazione.

Lorenzo Guadagnucci, giornalista del “Quotidiano Nazionale”, cura la rubrica “Distratti dalla libertà” su Altreconomia. Per la casa editrice ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”.

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