Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Altre Economie / Intervista

Pubblica e socialmente integrata. Gkn e una nuova idea di fabbrica

© Andrea Arisi

Il Collettivo dello stabilimento di Campi Bisenzio (FI) ha presentato una proposta di rilancio industriale in un’ottica di sostenibilità ambientale e che mantenga i legami solidali costruiti con il territorio. Intervista a Dario Salvetti

Tratto da Altreconomia 257 — Marzo 2023

Che storia, quella degli operai della (ex) Gkn. Hanno coniato parole d’ordine e slogan ripresi in tutta Italia: da “Insorgiamo” a “Convergenza”, a “Per questo, per altro, per tutto”. Hanno ispirato documentari e opere teatrali. Stupì, qualche tempo fa, un video che riprendeva un’aula piena di studenti nell’Università La Sapienza occupata che cantavano l’inno del Collettivo di fabbrica: “E non c’è resa, non c’è rassegnazione, ma solo tanta rabbia che cresce dentro me”. Sono passati quasi venti mesi dallo scioccante licenziamento collettivo, via email certificata, di 422 operai da parte del proprietario di Gkn, il fondo d’investimento Melrose: da allora il grande stabilimento di Campi Bisenzio (FI) non produce più semiassi. Produce però idee, progetti, mobilitazioni di respiro nazionale, coinvolgimenti fortissimi prima impensabili: è una lotta operaia del XXI secolo piena di sorprese. E potrebbe stupire ancora, per esempio con l’avvio di nuove produzioni autogestite e davvero ecologiche, coerenti con i bisogni del nostro tempo; ma potrebbe anche risolversi in un fallimento, per esempio se la maggioranza degli operai, da novembre senza salario, alla fine cedesse. Dario Salvetti, 44 anni, è uno dei membri del Collettivo di fabbrica Gkn.

Dario, parlate spesso della vostra necessità d’essere classe dirigente. Che cosa intendi?
DS L’idea d’essere classe dirigente dal basso, in continua formazione, viene da lontano. Quando hanno chiuso la Gkn stavamo contestando il fatto che le nuove linee automatiche producevano quasi l’8% di scarti. Una volta rilevammo, in un’analisi lunga 24 ore, che c’erano 150 minuti di inefficienze ogni otto ore su una cella di montaggio. Questo avveniva perché il capitale scaricava le inefficienze sullo sfruttamento, quindi non aveva bisogno di formare una classe dirigente in grado di affrontarle. Lo stesso tipo di incompetenza lo abbiamo rilevato ai tavoli istituzionali. Abbiamo trovato solo chiacchiere e chiacchiere. Perciò la nostra non è una lotta contro un singolo imprenditore, ma contro una società che non sa prendersi cura di una propria risorsa. Quindi sì, ci troviamo a essere classe dirigente, nel senso che la nostra lotta è fatta di proposte continue dal basso. Sappiamo bene che dentro un’officina metalmeccanica non ci sono tutte le competenze necessarie, ma sulla nostra strada abbiamo trovato un’intellettualità e molti precari della conoscenza che si sentono poco e male utilizzati e che si sono messi in gioco sui nostri progetti industriali, proponendo soluzioni concrete.

Puntate a “recuperare” la fabbrica. È davvero possibile?
DS Noi fin dall’inizio rivendichiamo l’intervento pubblico, l’arrivo di un nuovo imprenditore, ma ci guardiamo attorno e vediamo che nessuno si muove o si muoverà, per mille ragioni. Quindi ci siamo attrezzati per fare da soli, con una nuova idea, che abbiamo chiamato fabbrica pubblica e socialmente integrata. Pubblica perché la richiesta di fondi pubblici non è mossa da noi ma è venuta dal capitale privato: l’attuale proprietario ha dichiarato di pensare a un investimento da 50 milioni di euro, chiedendone però quasi 35 alle istituzioni. Abbiamo aggiunto che la fabbrica dev’essere socialmente integrata, perché sappiamo di essere ancora in piedi a lottare grazie ai legami stretti e forti con il territorio. Perciò è nata la Società operaia di mutuo soccorso “Insorgiamo”, aperta anche a cittadini solidali. Torna il discorso della classe dirigente dal basso.

Il 20 dicembre 2022 abbiamo presentato ai tavoli istituzionali una mappa di opportunità industriali che è la più seria e definita emersa in tutta questa vicenda. Le colonne portanti sono due possibili nuove produzioni: una di cargo bike e un’altra di pannelli fotovoltaici di nuova generazione, senza estrattivismo di terre rare; l’ispirazione viene dal collegamento fra giustizia climatica e giustizia sociale che abbiamo acquisito con la lotta. È la nostra proposta ed è praticabile, servono sostegno pubblico per i necessari mutui industriali e la disponibilità dello stabilimento: toccherebbe poi a noi mettere in campo altri interventi come un azionariato popolare, un controllo aperto e democratico delle produzioni.

Come potrebbe essere questo stabilimento tra qualche tempo?
DS Se dovessi chiudere gli occhi e provare a sognare, spero un domani di vedere una fabbrica in funzione, basata su produzioni realmente ecologiche e all’avanguardia, con dopolavoro, una mensa popolare, un grande gruppo di acquisto solidale, doposcuola, una piccola biblioteca, un cineforum, corsi di formazione, uno sportello per la mutualità, gruppi di competenza che si prestano aiuto reciproco e tutto questo in integrazione col territorio. Una fabbrica dove si producono cargo bike e pannelli fotovoltaici di nuova generazione, il tutto collegato a comunità energetiche, a una mobilità urbana diversa. Quindi penso a una fabbrica che dà e restituisce benessere in termini di consapevolezza. Io me la immagino così.

“La nostra non è una lotta contro un singolo imprenditore, ma contro una società che non sa prendersi cura di una propria risorsa” – Dario Salvetti

Ha stupito il vostro legame coi movimenti contadini. Venti mesi fa lo avreste immaginato?
DS No, nessuno lo aveva immaginato. Ma viene tutto dalla pratica. Quando il 9 luglio 2021 ci hanno chiuso qua è arrivato il mondo: centri sociali, associazioni, misericordie, parrocchie. I circoli Arci, ma anche Mondeggi bene comune (la “fattoria senza padroni”) e il movimento Genuino clandestino hanno portato cibo per le cene e hanno aperto la strada a una riflessione più ampia. Questa: tutta la fatica che faccio per portare a casa, se va bene, 1.500 euro al mese, la faccio per mettere in tavola prodotti schifosi? Quando compri cibo risultato di processi di allevamento o agricoltura intensiva e lavorazioni industriali che non lo rendono né sano né nutriente, stai subendo anche un subdolo taglio del salario, per via delle spese mediche che dovrai sostenere sul lungo termine. Il collegamento con certe realtà nasce anche da queste considerazioni.

A metà febbraio la vicenda della Gkn ha avuto una svolta inaspettata: Francesco Borgomeo, imprenditore che aveva acquistato le quote della società dal fondo Melrose, ha infatti annunciato di voler liquidare la fabbrica © Andrea Arisi

Avete organizzato manifestazioni con i giovani di Fridays for future. È stato un incontro occasionale o è un’alleanza più profonda?
DS Tutte e due le cose. Già all’inizio della vertenza, credo che fosse settembre 2021, partecipammo al Climate camp a Milano. Il nostro obiettivo era mettere in sicurezza la nostra vertenza da un possibile ricatto ambiente-lavoro che ci avrebbe sconfitti, come già avvenuto in altre situazioni: da Taranto alla Sicilia. Siamo corsi lì per ribaltare una narrazione che voleva l’operaio ancorato alle vecchie produzioni inquinanti e un mondo capitalistico in forte transizione verso il green. Non è affatto così. Nei Fridays for future abbiamo incontrato un movimento che sta prendendo atto della grande illusione dei Protocolli di Kyoto e della retorica sulla transizione ecologica: le emissioni negli ultimi anni sono aumentate e siamo immersi nella poltiglia del greenwashing, nella quale tutto sembra “verde” e nulla invece cambia.

Dalla vostra esperienza potrebbe nascere un movimento politico?
DS Se qualcuno di noi, un domani, capitalizzasse quello che è stato fatto qua con contenitori politici o candidature, lo farebbe contro e fuori dall’ispirazione della nostra lotta. Su questo non ci può essere nessun equivoco: la vittoria di questa lotta è tornare in produzione. Noi siamo troppo deboli e troppo provvisori per poter essere il volàno di qualcosa molto più grande di noi. Quello che possiamo dire è che se non cambiano i rapporti di forza noi difficilmente resisteremo. Penso che un pezzo del movimento sindacale organizzato ci abbia visto come una minaccia.
Eppure se dentro lo spiraglio che noi avevamo aperto tante forze organizzate si fossero gettate in forma disinteressata, pensando che era anche per loro una vera occasione per aprire una nuova partita, forse oggi saremmo tutti più forti. Sarà stata magari anche colpa nostra, ma il fatto è che questo purtroppo ancora non è avvenuto. Altra cosa è dire che “Insorgiamo” è oggi un elemento di un immaginario collettivo diverso e che dentro a questo c’è una potente leva per il cambiamento dei rapporti di forza generali nella società.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati