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La protezione umanitaria non si cancella: da Brescia un altro colpo al “decreto Salvini”
Il 4 luglio il Tar lombardo ha riconosciuto il diritto all’accoglienza nell’ex SPRAR a un titolare di permesso per motivi umanitari che aveva presentato la domanda di asilo prima dell’entrata in vigore del provvedimento governativo, il 5 ottobre 2018. Era stato allontanato dal centro dalla prefettura, come capitato ad altre decine di migliaia di persone. Ha fatto ricorso e ha vinto: la norma è inapplicabile
L’ultimo colpo al “decreto Salvini” e al tentativo di cancellare la protezione umanitaria è arrivato il 4 luglio dal Tribunale amministrativo regionale di Brescia.
Con una sentenza motivata, il Tar lombardo (presidente ed estensore Bertagnolli) ha infatti riconosciuto il pieno diritto all’accoglienza nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati in capo agli enti locali (SPRAR, trasformato e denominato SIPROIMI) a un titolare di permesso per motivi umanitari che aveva presentato la domanda di asilo prima dell’entrata in vigore del provvedimento governativo (DL 113/2018), il 5 ottobre 2018. E che invece era stato allontanato dal centro dalla prefettura, come capitato ad altre decine di migliaia di persone.
La decisione giunge a poche settimane da un’ordinanza “chiave” dell’11 giugno 2019 a cura del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (estensore Verlengia, presidente Panzironi) che aveva riconosciuto la “resistenza” del sistema di accoglienza e tutelato il diritto di una giovane donna nigeriana espulsa d’inverno dalla Prefettura di Lecco. “Quella del Tar Lazio era un’ordinanza cautelare e, quindi, poco motivata -fa notare Livio Neri, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e avvocato sia della giovane accolta a Lecco, sia del titolare di Brescia-. In questo caso, invece, con la sentenza è stata esplicitamente condivisa la nostra impostazione in diritto”.
I fatti. Il 25 marzo 2019 il prefetto di Brescia emette un provvedimento di cessazione delle misure di accoglienza “straordinaria” nei confronti di una persona “ospite” di un CAS. La notifica avviene il primo aprile, seguita a stretto giro dal provvedimento di rifiuto di inserimento nel SIPROIMI da parte del Servizio centrale.
Quello che dinanzi al Tar è diventato poi il “ricorrente”, è titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari con scadenza “19 luglio 2020”. Giunto in Italia nel novembre 2016, a Palermo, ha infatti presentato regolare domanda di asilo nell’aprile di due anni fa. Non solo. Ha seguito un “percorso di integrazione” (dalla sentenza) e a novembre del 2018 è stato anche assunto a tempo determinato part-time da un’azienda del territorio. Il contratto era stato rinnovato dopo i primi tre mesi fino al 31 luglio 2019 (anche se, ricordano i giudici del Tar, “Non risultava in condizioni di provvedere integralmente al proprio sostentamento”). Tutto questo, però, è messo in discussione dal provvedimento del prefetto e dal diniego del Servizio centrale.
L’8 aprile 2019, una settimana dopo l’atto di cessazione, la persona si vede negare l’autorizzazione all’inserimento nel progetto Sprar di Breno (BS) perché “in applicazione a quanto disposto dal decreto legge 113/2018 in vigore dal 5 ottobre 2018, non possono essere inseriti nella rete SPRAR/SIPROIMI richiedenti asilo e titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari, anche se vulnerabili”.
L’allontanamento degli “umanitari” dai centri da parte delle prefetture è una prassi che dall’entrata in vigore del “decreto Salvini” si è fatta sempre più consolidata, arrivando a toccare, come detto, (almeno) altri 40mila casi analoghi. L'”escluso”, però, non ci sta e fa ricorso, sostenendo un principio che, come una punta, sgonfia le ruote al Viminale: quando ha ottenuto il rilascio del suo permesso di soggiorno per motivi umanitari, gli era pacificamente garantito l’accesso allo SPRAR. A lui (“umanitario”) tanto quanto ai richiedenti asilo. Solo per “ritardi dovuti all’amministrazione” è rimasto in un CAS, in attesa del trasferimento. Quindi la norma “sopravvenuta” non avrebbe certo potuto precludergli quella possibilità, come sancito peraltro a febbraio dalla corte di Cassazione (con sentenza 4890/2019). Il “decreto Salvini” è sul punto inapplicabile e qualsiasi “applicazione retroattiva della normativa” è da ritenersi “illegittima”.
Il ministero dell’Interno si oppone ma perde. E come nel caso di Lecco, la protezione umanitaria resiste al “decreto Salvini”.
Questo non significa che il bilancio sia positivo. Basta osservare le decisioni adottate dalle commissioni territoriali per il diritto di asilo tra gennaio e giugno 2019. I “motivi umanitari” sono ancora inchiodati al 2% (672 su 42.916, dinieghi al 75%), nonostante il punto posto sul tema “irretroattività” dalla Cassazione a febbraio, per la quale l’abrogazione del permesso per motivi umanitari voluto dal “decreto Salvini” rilevava solamente per coloro che avevano fatto domanda dopo il 5 ottobre 2018. Dai dati presentati a inizio giugno in Parlamento dalla Commissione nazionale asilo, invece, i “motivi umanitari” sono accompagnati da un asterisco e dall’aggiunta “decise prima del 5 ottobre 2018”. Come dire: di lì in avanti, la protezione umanitaria non esiste più. Dalla Cassazione al Tar di Brescia, al contrario, si afferma (e tutela) tutta un’altra realtà.
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