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La passione di due giovani per il territorio montano in Val Trompia resiste ai danni di un incendio
Stefania Reali e Simone Frassini si sono laureati presso il polo d’eccellenza dell’Università degli Studi di Milano e hanno deciso di dar vita a un’azienda agricola a Ludizzo di Bovegno, in provincia di Brescia. A metà gennaio, però, un incendio ha quasi distrutto il loro progetto, “Cosa tiene accese le stelle”. Non vogliono smettere di vivere il loro sogno e chiedono un sostegno per provare a ripartire
C’è un movimento inverso nella storia e nel sogno di Stefania Reali e Simone Frassini. Se le migrazioni dalle zone rurali alle città, dalle campagne ai centri abitati caratterizzano i nostri giorni, la rotta scelta nel 2012 dai due giovani è controcorrente. Aprire un’azienda agricola in alta montagna. Quello che era solo un sogno oggi è diventato realtà, ma un incendio rischia di interrompere questa storia sul più bello. Lo scorso 14 gennaio, le fiamme hanno distrutto casa e laboratorio e oggi l’azienda deve trovare, di nuovo, le forze per ripartire.
Stefania e Simone si conoscono all’università scoprendo che entrambi, fin da piccoli, sognavano di avviare un’attività in montagna. “All’università -spiega Stefania- ci dicevano tutti che era impossibile, che già era difficile aprire un’azienda agricola, figurarsi in alta montagna”. Un monito che i due non hanno seguito. Concludono entrambi il percorso triennale in “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano” all’Università della Montagna (nel polo d’eccellenza dell’Università degli Studi di Milano dislocato a Edolo) e cominciano la ricerca di un luogo adatto per l’azienda. Una cascina abbandonata in alta Val Trompia, precisamente a Ludizzo di Bovegno in provincia di Brescia è l’occasione perfetta. “L’abbiamo acquistata grazie all’aiuto delle nostre famiglie e abbiamo trovato entrambi un lavoro per poter aprire il mutuo per la ristrutturazione -continua Stefania-. Ci siamo concentrati prima sull’esterno, perché erano i processi che richiedevano il tempo più lungo. Abbiamo terrazzato il terreno, avviando le prime colture e comprato le prime cassette di api. Successivamente l’investimento si è concentrato sulla ristrutturazione dell’interno: abbiamo adeguato la casa, il laboratorio per la trasformazione dei prodotti e il magazzino”. Tutto questo, senza sfruttare i finanziamenti previsti per favorire la ripresa di attività nelle zone marginali. “Per come sono strutturati sono adatti a realtà grandi e già avviate -sottolinea Stefania-. Per persone che partono da zero, senza garanzie, non sono di grande aiuto perché rischi di non riuscire a rispettare i paletti che ti impongono”.
Dall’estate 2015, Stefania e Simone si trasferiscono stabilmente in Val Trompia. Il sogno prende forma perché in quei mesi cominciano a maturare le prime entrate dalla vendita dei prodotti freschi e, soprattutto, dalla vendita dei prodotti trasformati in laboratorio. “Fin dall’inizio abbiamo cercato di diversificare il più possibile la produzione per farci più appetibili sul mercato. Abbiamo puntato sui piccoli frutti (lamponi, more, ribes, uva spina, mirtilli e fragole); sulle piante ad alto fusto (mele, pere, ciliegie, cachi e giuggiole) di varietà antiche che hanno un processo produttivo più lento, ma con peculiarità maggiori rispetto agli standard commerciali; sulla coltivazione di ortaggi e colture come patate, zucche, fagiolini più adatte alla stagione breve della montagna e ampliato il numero di cassette di api”. L’azienda cresce abbastanza per permettere a Stefania di abbandonare il suo lavoro. Nel settembre 2018 viene acquistata una serra per colture che richiedono più tempo per maturare, come pomodori, zucchini e cetrioli, mentre nell’ultimo anno le novità sono la coltivazione di erbe aromatiche, principalmente ortiche essiccate e di fiori edibili.
Poi il buio. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio il fuoco mangia oltre tre quarti della struttura. Stefania, Simone e Matilde (2 anni) ne escono fortunatamente indenni, ma i danni sono gravi. Il terreno esterno si è salvato, ma la principale fonte di reddito derivava dalla vendita dei prodotti trasformati, non da quelli freschi e oggi il laboratorio non c’è più. “Tornati dall’ospedale, il giorno successivo -continua Stefania- ci siamo resi conti dell’entità dell’incendio. In quel momento ci è mancato tutto: i punti di riferimento, la quotidianità. Tutto ciò per cui avevamo investito risorse, idee e cuore non c’era più. L’immagine della cascina bruciata però, si affianca a quella di tante persone che fin da quella mattina hanno dimostrato una forte vicinanza. La forza per ripartire c’è, abbiamo investito troppo su questo progetto e rinunciarci sarebbe un affronto non accettabile verso noi stessi. Soprattutto, vogliamo ridare il prima possibile un senso di normalità a Matilde”.
“Cosa tiene accese le stelle” è il nome scelto per l’azienda agricola. Si ispira alle storie raccolte nell’omonimo libro del giornalista Mario Calabresi, regalato dai genitori di Stefania quando i due erano ancora all’università e la cascina era solo un progetto lontano. Storie di persone che sono state capaci di inseguire la rotta sognata. “Possiamo dire che è il nostro mantra -racconta Stefania-. Ci aveva colpito per il messaggio che trasmetteva: nonostante le difficoltà, inseguire il tuo sogno tenendo la testa alta e senza ascoltare i ‘se’ e i ‘ma’. È un augurio che oggi non cambia. Non abbiamo mai vacillato su questo: la nostra storia può continuare ad essere una di quelle contenute nel libro”. Oggi più che mai, Stefania e Simone chiedono aiuto per poter far sì che queste stelle non si spengano. “Non solo per noi, per il nostro progetto -conclude Stefania-. È importante supportare qualsiasi attività in zone marginali per evitare che le terre montane divengano terra di nessuno. Si rischia di perdere l’ecosistema della montagna, una diversità che serve tutelare e mantenere. Un’azienda che riparte è un messaggio di speranza per tutti coloro che credono e vivono in queste zone”.
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