Diritti / Opinioni
Pandemia della fame: il summit sui Sistemi alimentari non affronta le cause reali
Le organizzazioni della società civile pretendono (e propongono) un cambiamento. Vanno ascoltate. La rubrica di Nicoletta Dentico
Quando il segretario generale delle Nazioni Unite annunciò il proposito di organizzare un summit di alto livello dell’Onu sui sistemi alimentari, la notizia fu accolta con sorpresa, ma anche con molto interesse. Era il 16 ottobre 2019, giornata mondiale dell’alimentazione. Covid-19 non lo conosceva ancora nessuno, ma l’emergenza della fame nel mondo -in costante aumento dal 2014- era un fenomeno che già metteva a dura prova l’obiettivo “fame zero” della Agenda per lo sviluppo sostenibile. L’arrivo del nuovo Coronavirus ha solo accelerato la crisi, tanto che l’impennata della fame planetaria può essere a ragione definita la seconda pandemia del Covid-19. L’ultimo rapporto Sofi 2021 sullo stato della sicurezza alimentare e nutrizione (disponibile su fao.org) lo rileva senza sconti: quasi una persona su tre non ha avuto accesso a un’alimentazione adeguata nel 2020 con un incremento di 320 milioni di persone affamate in un solo anno, da 2,05 a 2,37 miliardi.
I sistemi alimentari della globalizzazione, dominati dalle grandi multinazionali e dalle corporation del cibo, non hanno assolutamente garantito la sicurezza alimentare nel mondo, e anzi definiscono gli estremi di un fallimento sistemico. Non più tardi del 2019 la commissione Lancet sul doppio carico della malnutrizione descriveva l’attuale stato del cibo e dei sistemi agricoli una “triplice crisi”, nella quale sottoalimentazione, obesità e cambiamenti climatici fanno strame della salute umana e planetaria. I sistemi agricoli industriali sono uno degli agenti più impattanti sugli ecosistemi.
Veniamo da decenni di “rivoluzione verde”, a base di fertilizzanti e di nuove verità ibride in grado di incrementare considerevolmente la produzione, ma questo modello tecnologico, oltre a non salvare il mondo dalla fame, ha brutalmente interrotto l’interazione evolutiva tra attività umana e natura. La “rivoluzione verde” ha aperto un mercato immenso alle operazioni delle grandi imprese, trasformando il cibo in un prodotto di consumo che è soggetto alle logiche di mercato e spesso a feroci speculazioni finanziarie. La strategia della “rivoluzione verde” è stata un disastro tanto ecologico quanto economico. E oggi, a causa di questa specie di colonizzazione agricola su scala globale, un numero crescente di persone non ha più accesso a una dieta autodeterminata.
Si registra ovunque un impoverimento delle risorse naturali (le varietà ibride consumano più acqua), una distruzione dei suoli a causa dell’uso crescente di fertilizzanti chimici e pesticidi, una perdita considerevole di biodiversità, un incremento di patologie alimentari legato a doppio filo alle politiche commerciali delle aziende. I Paesi ricchi, dal canto loro, hanno inaugurato lo spreco del cibo come prassi, a causa di una iper-produzione scellerata e insostenibile. Disfunzioni strutturali esplose durante la pandemia.
320 milioni. L’incremento del numero di persone che non ha avuto accesso a un’alimentazione adeguata nel 2020. Quasi una persona su tre nel mondo, per un totale di 2,37 miliardi.
Ma il vertice dell’Onu sui sistemi alimentari previsto a New York a settembre non attacca nessuna di queste questioni. L’evento si è tirato addosso da mesi un’ondata di critiche da parte di tutte le comunità riunite nel Comitato sulla sicurezza alimentare, il più inclusivo organo sulla politica del cibo creato in seno alla Fao nel 2009. Il vertice deve vedersela oggi con oltre un migliaio di organizzazioni dei produttori di piccola scala, della società civile, dei movimenti di agricoltori, allevatori e pescatori, delle comunità dei popoli indigeni che continueranno a manifestare il loro totale e competente dissenso, come hanno già fatto a Roma alla fine di luglio. È la prima volta che avviene una rottura del genere. La cosa è da prendere in serissima considerazione.
Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici Senza Frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development
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