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L’orizzonte etico dei territori

© Federico Respini - Unsplash

Le comunità trasformative sono un’esperienza di liberazione. Con la loro progettualità partecipata liberano persone, gruppi sociali, relazioni. Difendono i beni comuni e mirano a migliorare la condizione di un territorio nel senso della democrazia e della solidarietà. Occorre svilupparle e renderle riconoscibili. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 233 — Gennaio 2021

La comunità locale trasformativa. È uno dei soggetti democratici più promettenti nello scenario storico presente. I soggetti monotematici hanno un potenziale di mutamento sociale piuttosto limitato. Nel sistema delle imprese c’è qualche spazio per iniziative alternative ma per ora senza che questo generi un nuovo modello di economia. Il sistema educativo è in crisi: spesso le famiglie sono in uno stato di disgregazione, mentre alla scuola e all’università manca un vero progetto antropologico ed ecologico all’altezza del loro compito educativo e scientifico. Il sistema politico è il più desolante perché è perso nella logica del potere.

A fronte di tutto questo sembrano più promettenti i soggetti collettivi che superano i limiti di un solo settore della vita sociale e sono capaci di far interagire diverse attività nella realizzazione di un progetto organico. Penso al soggetto costituito esemplarmente da una comunità territoriale che persegue un progetto orientato all’etica del bene comune e adotta il metodo della trasformazione. 

L’orizzonte etico, in tal caso, chiede di assicurare la giustizia verso la dignità di ogni persona, come pure verso gli equilibri e il valore della natura. Se una comunità locale assume davvero questo criterio etico, tutti i tipi di attività -aggregativo, economico, amministrativo, politico, educativo, culturale, informativo- sono consapevolmente indirizzati ad attuarlo. Va subito chiarito che c’è davvero comunità se ci sono apertura, ospitalità, accoglienza. Il settarismo localista e leghista è il contrario del principio comunitario.

Occorre che le amministrazioni locali s’impegnino a governare i problemi con una programmazione e un metodo congruenti con il fine della comunità. Le imprese radicate nel territorio dovranno organizzarsi ottenendo sì il profitto perché ci sia reddito grazie al lavoro che svolgono, ma soprattutto per dare il loro apporto al bene comune. Le scuole dovranno orientare i loro progetti educativi tenendo conto delle esigenze della qualità della convivenza e operando per formare persone libere, non strumenti docili per lo sfruttamento da parte del mercato globale. Le università vicine saranno coinvolte per arricchire il potenziale conoscitivo della comunità e per formare i giovani sia umanamente sia professionalmente. Nel contempo gruppi, associazioni, movimenti e reti che sono partecipi della vita di quel territorio avranno il compito di promuovere una cultura diffusa che alimenti lo spirito e il progetto democratico della comunità. In che senso e quando essa può essere detta “trasformativa”? Anzitutto quando il suo progetto di miglioramento della condizione di un territorio si propone di contribuire al mutamento di forma, cioè del principio fondante, della vita collettiva: dal potere alla dignità, dal capitale alla giustizia, dalla crescita capitalistica all’armonia in tutte le relazioni. Una prospettiva del genere unisce radicalità e gradualità, cercando di far valere in ogni ambito i criteri seguenti: solidarietà, salvaguardia ecologica, nonviolenza, cooperazione, sostenibilità, democrazia. Inoltre una comunità locale è trasformativa se genera liberazione. Liberazione di persone, gruppi sociali, relazioni, creature della natura. Le comunità effettivamente trasformative partono dai problemi dati, procedono con una progettualità partecipata, sviluppano le conoscenze più avanzate e introducono i semi dell’etica del bene comune nelle risposte che danno alle contraddizioni esistenti.

Non sto parlando solo di un’ipotesi. In alcune Regioni italiane ci sono già iniziative che vanno in questa direzione. Il punto è svilupparle e renderle riconoscibili, coordinate ed esemplari perché il loro metodo riguarda trasversalmente ogni altro soggetto democratico in quanto promuove un approccio integrato e trasformativo. Il solo che -dai singoli territori sino agli ambiti più vasti della società- possa riattivare l’azione storica per portarci fuori dall’incubo chiamato capitalismo

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Filosofia della salvezza. Percorsi di liberazione dal sistema di autodistruzione” (EUM, 2019)

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