Diritti / Attualità
Olio di palma e lavoro forzato: la denuncia di Amnesty
Il rapporto “The great palm oil scandal” è frutto di un’inchiesta condotta in Indonesia, intervistando 120 lavoratori all’interno delle piantagioni e delle raffinerie di Wilmar: il gruppo di Singapore controlla il 43% del mercato globale e rifornisce marchi come Colgate-Palmolive, Kellogg’s, Nestlé e Unilever. Sotto accusa la certificazione di “sostenibilità” RSPO, usata anche da Nutella®
Un’unica azienda, Wilmar, controlla il 43% del mercato globale dell’olio di palma. Ha sede a Singapore, ma lavora principalmente in Indonesia, il Paese che da solo ne produce 35 milioni di tonnellate, il 45% dell’offerta globale. È per questo che Amnesty International ha scelto il Paese del Sud-est asiatico, e alcuni stabilimenti di proprietà del gruppo Wilmar -un fatturato nel 2015 di 38,7 miliardi di dollari- per indagare le condizioni di lavoro all’interno di una filiera che dal 2004 si fregia di un marchio di sostenibilità, quello rilasciato dalla Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO). I ricercatori -coordinati da Meghna Abraham di Amnesty International- hanno intervistato 120 lavoratori, impiegati nelle piantagioni di palma di proprietà di due sussidiarie della Wilmar e per conto di tre fornitori di quest’ultima nelle regioni indonesiane di Kalimantan e Sumatra.
Le testimonianze raccolte permettono di denunciare discriminazioni di genere: alcune donne sarebbero costrette a lavorare per molte ore dietro la minaccia che altrimenti la loro paga verrebbe ridotta, con un compenso inferiore a quella minima (in alcuni casi, solo 2,50 dollari al giorno), e sarebbero prive di assicurazione sanitaria e di trattamento pensionistico; all’interno delle piantagioni ci sarebbe anche sfruttamento del lavoro minorile: bambini anche di otto anni impiegati in attività pericolose, fisicamente logoranti e talvolta costretti ad abbandonare la scuola per aiutare i genitori nelle piantagioni. Alcuni lavoratori intervistati sarebbero invece gravemente intossicati da paraquat, un agente chimico altamente tossico ancora usato nelle piantagioni nonostante sia stato messo al bando nell’Unione europea e anche dalla stessa Wilmar; i lavoratori sarebbero poi privi di adeguati strumenti protettivi della loro salute, nonostante i rischi di danni respiratori a causa dell’elevato livello di inquinamento causato dagli incendi delle foreste tra agosto e ottobre 2015. Amnesty nel rapporto parla anche di lavoro forzato, che sarebbe necessario per raggiungere obiettivi di produzione definiti “ridicolmente elevati”. A volte i dipendenti sarebbero costretti ad utilizzare attrezzature a mano per tagliare frutti da alberi alti 20 metri.
Amnesty International, che il 30 novembre ha diffuso il rapporto “Il grande scandalo dell’olio di palma”, annuncia che avvierà una campagna, che non coinvolgerà soltanto Wilmar ma anche quelle grandi aziende che -secondo la ricostruzione dell’organizzazione- si approvvigionano di olio di palma raffinato presso gli stabilimenti indonesiani oggetto dell’inchiesta. I nomi? AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg’s, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever. Alcuni sono sconosciuti al consumatore italiano, altri invece rimandano direttamente a marchi che molti di noi acquistano ogni giorno, come il gelato Magnum, il dentifricio Colgate, i cosmetici Dove, la zuppa Knorr, la barretta di cioccolato KitKat, lo shampoo Pantene, il detersivo Ariel e gli spaghetti Pot Noodle. “C’è qualcosa che non va se nove marchi, che nel 2015 hanno complessivamente fatturato 325 miliardi di dollari, non sono in grado di fare qualcosa contro l’atroce sfruttamento dei lavoratori dell’olio di palma che guadagnano una miseria” ha commentato Abraham di Amnesty International.
Il rapporto –a questo link è possibile scaricare la versione inglese, “The great palm oil scandal”, e il lettore può accedere anche alla raccolta delle comunicazioni tra Amnesty e i marchi coinvolti- chiama in causa direttamente il meccanismo di auto-certificazione dell’olio di palma sostenibile, RSPO, la stessa che il gruppo Ferrero oppone a coloro che criticano la scelta di non voler eliminare l’olio di palma dalla ricetta della Nutella®.
Otto dei nove marchi che si approvvigionano da Wilmar fanno infatti parte del Tavolo sull’olio di palma sostenibile (RSPO), e -spiega Amnesty- “sui loro siti o sulle tabelle nutrizionali dichiarano di usare ‘olio di palma sostenibile’. Le nove aziende -continua l’organizzazione- non hanno smentito l’esistenza di violazioni ma non hanno fornito alcun esempio di azioni intraprese su come vengono trattati i lavoratori nelle attività della Wilmar”. ”I consumatori vorrebbero sapere quali prodotti sono legati alle violazioni dei diritti umani ma le aziende mantengono una grande segretezza” ha commentato Seema Joshi, direttrice del programma Imprese e diritti umani di Amnesty International. “Le aziende devono essere più trasparenti su cosa contengono i loro prodotti. Devono dichiarare da dove vengono le materie prime contenute nei prodotti che si trovano sugli scaffali dei supermercati. Se non lo faranno, beneficeranno e in qualche modo contribuiranno alle violazioni dei lavoratori. Attualmente, stanno mostrando una completa mancanza di rispetto nei confronti di quei consumatori che, quando si recano alla cassa, pensano di aver fatto una scelta etica”.
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Riceviamo e pubblichiamo:
“La RSPO-Roundtable on Sustainable Palm Oil [Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile] riconosce l’esistenza di gravi problemi legati alla tutela dei lavoratori e dei diritti umani nel settore dell’agricoltura intensiva a livello mondiale. La produzione di olio di palma non fa eccezione in questo senso. Questi problemi si manifestano maggiormente in contesti caratterizzati da povertà, scarsa legalità e presenza di vuoti legislativi, come sottolinea Amnesty, che rendono ancora più ardua la sfida di fare dell’agricoltura, e segnatamente della produzione dell’olio di palma, un’attività davvero sostenibile.
Il rapporto denuncia una serie di violazioni dei diritti umani e delle condizioni di lavoro che colpisce i lavoratori coinvolti nella produzione di olio di palma di due controllate della società Wilmar, PT Perkebunan Milano e PT Daya Labuhan Indah, e di tre fornitori della stessa società, Sarana Prima Multi Niaga (SPMN), PT Abdi Budi Mulia (ABM) e PT Hamparan Masawit Bangun Persada (PT Hamparan). Il rapporto denuncia pratiche lavorative che non solo violano i requisiti previsti dalla RSPO ma che sono illegali. La pubblicazione del rapporto incoraggerà i membri associati alla RSPO a concentrare i propri sforzi per eliminare le pratiche non conformi ai requisiti stabiliti dalla RSPO.
Prima della pubblicazione del rapporto di Amnesty International, tanto Wilmar come il processo di controllo della RSPO avevano già adottato importanti misure che hanno già portato all’identificazione di diverse problematiche tra quelle denunciate da Amnesty International.
Wilmar ha già denunciato pubblicamente e volontariamente sul proprio sito web le violazioni che interessano le società PT Perkebunan Milano e PT Daya Labuhan Indah attraverso la procedura di richiamo prevista da Wilmar (come segnalato nella recente dichiarazione rilasciata da Wilmar) e in conformità con quanto richiesto dal Criterio 6.3 dei Principi e Criteri della RSPO.
PT Perkebunan Milano (PT Milano), PT Daya Labuhan Indah e Sarana Prima Multi Niaga (SPMN) sono certificate RSPO e come tali sono sottoposte regolarmente ad audit da parte degli organi di certificazione competenti. PT Abdi Budi Mulia (ABM) e PT Hamparan Masawit Bangun Persada (PT Hamparan) non sono membri di RSPO e pertanto esulano dall’ambito di applicazione dei meccanismi di sorveglianza della RSPO.
Lo scorso ottobre PT Perkebunan Milano e l’organo di certificazione competente sono stati oggetto di una valutazione di conformità a cura dell’ASI (Accreditation Services International [Servizi di accreditamento internazionali]). In occasione di tale valutazione sono state rilevate numerose violazioni di conformità in materia di salute e sicurezza, condizioni di lavoro, salari e pagamenti, denunciate dal rapporto di Amnesty International e non solo. Il rapporto dell’audit è consultabile sul sito Web dell’ASI. In questo momento la società sta lavorando per risolvere questi problemi.
L’ultima verifica di sorveglianza di PT Daya Labuhan Indah è stata effettuata lo scorso mese di agosto. In occasione della verifica, l’organo di certificazione (PT. Mutuagung Lestari) ha evidenziato una serie di violazioni dei Principi e Criteri della RSPO. Le violazioni rilevate dall’organo di certificazione riguardano, tra le altre, carenze in merito ai requisiti di conformità e legali, requisiti in materia di salute, sicurezza e all’applicazione dei pesticidi.
Infine, la società PT Sarana Prima Multi Niaga ha di recente ottenuto la certificazione da parte di Control Union (Malaysia) Sdn. Bhd. Il rapporto di audit (che può essere consultato qui) elenca una serie di violazioni di minore entità, tra le quali alcune sono riconducibili alle violazioni denunciate da Amnesty International nel suo rapporto. ASI si coordinerà con l’organo di certificazione per garantire la piena conformità del soggetto certificato.
Parallelamente, la RSPO è consapevole dell’esigenza di migliorare continuamente sia i propri Principi e Criteri sia i requisiti di accreditamento. Con l’adozione dei nuovi requisiti di accreditamento nel 2017, sarà ampliato l’ambito di verifica degli organi di certificazione, sarà migliorata la competenza dei responsabili delle attività di auditing e, in generale, sarà rafforzata la sorveglianza sia da parte degli organi di certificazione che dell’ASI.
Per consolidare ulteriormente il sistema di controllo interno e assicurare la credibilità richiesta dai suoi associati, la RSPO auspica l’avvio di un dialogo costruttivo con tutti i soggetti interessati nel quadro della RSPO Assurance Task Force, che mira a migliorare l’efficacia delle verifiche di conformità adottate dalla RSPO”.