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Occhio al turismo della Lega, il gorilla “invisibile” che ci potrebbe passare davanti

© Daniel Simmons

Il ministero della Transizione ecologica rischia di coprire un fatto preoccupante: lo spacchettamento del Turismo dalla Cultura. “I sedicenti esperti di business turistico potrebbero avere carta bianca e infischiarsene del paesaggio, della natura, dei patrimoni diffusi, della buona occupazione. La lentezza, invece, è una visione: le aree interne non ci caschino”. Il commento del prof. Paolo Pileri

Un noto test di attenzione consiste nel far contare a un osservatore i passaggi che si fanno dei giocatori di basket usando due palloni. Immaginate la scena. Parte il video, i ragazzi iniziano a correre in tondo e volano i due palloni di qua e di là velocemente. Incollati al video si conta senza perdere un colpo. Finita la scena si è pronti a dire: tredici. Ma la voce fuori campo ci spiazza con una domanda: hai visto se è passato un gorilla? Un gorilla? E che c’entra? Non bisognava contare i passaggi di basket? Allora si torna indietro con il video a rivedere la scena. Accidenti, è vero. Mentre i ragazzi si passavano la palla un gigantesco gorilla ha attraversato la scena. Non l’hai visto, tanto eri preso a contare. Incredibile, ma dannatamente vero. Si chiama attenzione selettiva: concentrati su una cosa ne perdiamo altre, perfino gigantesche.

Questo racconto mi fa venire in mente quel che potrebbe accadere con il ministero della Transizione ecologica. Siamo tutti là a vedere (giustamente) quanti passaggi farà, quante novità lancerà, se il suolo si salverà, ma intanto un gorillone potrebbe attraversare la scena senza che ce ne accorgiamo. Metti caso che questo gorillone sia il ministero del Turismo o il sottosegretariato all’Agricoltura e altri che hanno un curriculum poco convincente. Prendiamo il turismo. È un settore di grande importanza per il nostro Paese: vale il 13% del Prodotto interno lordo. Ma è anche un settore che non brilla per sostenibilità visto che nel passato ha spalmato cemento su monti e spiagge, inquinamento con i low cost, grandi navi nella laguna più delicata al mondo, si è rubato intere coste facendoci stabilimenti balneari sbarrando l’accesso al mare di tutti, ha insozzato piazze storiche ficcandoci qualsiasi cosa potesse attrarre e far spendere i turisti.

Visto che dobbiamo ripartire da capo, quel turismo lo vogliamo ancora e ovunque? Non deve forse anche lui transitare per le porte dell’ecologia e della sostenibilità? Credo proprio di sì. Il turismo è una risorsa preziosissima per l’Italia, ma anche un pericolo mortale. Come re Mida, quel che il turismo tocca lo trasforma in oro, ma quando va in overdose di profitto, e capita in un attimo, quell’oro diviene cacca e allora sono guai per tutti. E noi i guai non li vogliamo più. Alle prossime generazioni non possiamo consegnare cacca che massacra le città, trasforma i nostri borghi storici in mercatini h24 o ne fa “eventifici” o piastre per la movida ovunque capiti, solo perché la movida fa fare soldi a palate. Non vogliamo un turismo sporcaccione e in nero (leggendo la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2020, viene fuori che i settori che ruotano attorno al turismo alimentano il 20% dell’economia sommersa).

Se oggi decidiamo di far passare tutte le prossime politiche sotto lo scanner della transizione ecologica, il turismo deve farsi un sacco di domande prima di passare ed è tra i primi settori che deve darsi un rinnovamento. Anche perché il turismo vive di investimenti pubblici, quelli che si fanno per tenere luccicante la bellezza, belli i paesaggi, in ordine i centri storici. Il turismo dovrebbe essere il settore che più di tutti propone la transizione ecologica e un patto di fiscalità “zero nero”.

In tanti anni che frequento il turismo, lo studio e ci parlo, non posso che ricordare tantissime buone pratiche, tanti giovani che ci hanno messo il cuore e tutto se stessi: Nicola, Stefano, Enrique, Pier Paolo, Serena, Paolo e tanti che abbiamo conosciuto lungo la dorsale cicloturistica VENTO hanno da tempo scelto la sostenibilità con convinzione, e il lockdown li ha certamente danneggiati. Vanno premiati per primi. Vanno presi a esempio. Non vorrei che invece venissero trascurati e superati da destra da quelli che fino a ieri organizzavano tutt’altro, mettendoci sopra l’adesivo “turistico”, quelli che inneggiavano alle grandi navi a Venezia e ora ci vogliono insegnare la sostenibilità o il turismo lento.

La separazione del turismo dal ministero della Cultura non mi tranquillizza affatto e lo leggo come qualcosa che è agli antipodi della sostenibilità. Nè il curriculum del suo inquilino vanta attestati di sostenibilità riconosciuti da tutto il mondo. Interpretare il turismo come un fatto che risponde solo e prima a regole commerciali e all’imperativo del profitto è un rischio che non possiamo correre. In nome del denaro e della ripresa economica non dobbiamo giustificare qualsiasi turismo. Un settore già incline alla deregulation, non deve scivolare ancora più giù. Questo gorilla potrebbe attraversare la scena e far guai seri.

Il nostro paesaggio è allo stremo e ha subito mercificazioni e offese indescrivibili dal turismo. In nome del turismo abbiamo visto trattori che spavaldamente spostavano dune di sabbia dalla spiaggia di Senigallia per fare spazio a gare di motocross. Le grandi navi davanti a San Marco e al Giglio, appunto. Abbiamo visto aree protette imbrattate dallo sci nelle Alpi lombarde. In nome della attrattività turistica, si fa spazio a eventi improbabili e distruttivi in contesti fragili e delicati come le colline d’argilla dell’Oltrepo pavese dove si permette al prossimo campionato nazionale di enduro di scorrazzare spavaldamente per boschi e vigneti, lasciando cicatrici che non si rimargineranno più.

In nome del turismo l’ambiente non può essere calpestato, neppure di striscio. Se questo governo ci tiene davvero alla transizione ecologica, dovrà dimostrarlo con la prossima stagione turistica e decidendo quali turismi per il futuro. Ci vorrà chiarezza nel prossimo Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Nel precedente si parlava di turismo sostenibile, ma era troppo impreciso. Persino il turismo lento, di cui il Pnrr si vantava e di cui io stesso ho detto molte volte che potrebbe essere un’opportunità, potrebbe divenire una iattura se non si fissano subito alcuni limiti da non superare, se non ci si dà dei principi etici inderogabili, se non si mette la tutela prima del tornaconto. Basta poco e qualsiasi turismo diviene un mostro che spolpa tutto e sputa a terra i noccioli.

L’aggettivo lento non basta per trasformare in sostenibile ogni turismo, quel che chiediamo da tempo è cambiare paradigma, curvando le pretese economiche sulla forma della natura, rispettando le fragilità delle nostre aree interne, prestando l’orecchio alla cultura millenaria di un muretto a secco, respingendo i facili guadagni dei turismi usuranti e spavaldi. Il post pandemia potrebbe pure offrirci il peggio. La gente ha scoperto le aree interne italiane e questo è bello. Ma quei territori sono deboli e basta poco per degradarli per sempre. Se i cercatori d’oro del business si avventano sulle nostre aree interne, pregustando l’affare, finiranno per imbrattare di omologazione, plastica, globalizzazione e cemento l’ultima bellezza che ci rimane. Questo gorilla famelico non lo vogliamo.

Non ogni turismo va bene ovunque. Lo spacchettamento del turismo dal ministero della Cultura preoccupa enormemente ed è un compromesso politico che è solo ribassismo all’ennesima potenza. I sedicenti esperti di business turistico potrebbero avere carta bianca e infischiarsene degli interessi del paesaggio, della natura, dei patrimoni diffusi, della buona occupazione. A loro interessa vendere e fare margine. La lentezza è una visione, un progetto di territorio e di sviluppo che non ha nulla a che fare con le profittevoli smanie del turismo del soldo facile, dell’attrattività, della massa, del pacchetto all-inclusive. Le aree interne non ci caschino, non si facciano abbindolare da facili guadagni cedendo sovranità, bellezza e paesaggio in nome di pochi euro.

Il turismo sostenibile è già di per sé una chimera. Se qualcosa vogliamo fare, prima va elaborato un patto sociale ed etico preciso e inderogabile dove inclusione, rispetto della dimensione locale, del paesaggio e della natura vengono tutelati a tutti i costi e prima di ogni proposta di dannato pacchetto turistico. Ricordiamoci come una ossessione che dobbiamo fare solo cose per le prossime generazioni e non mettere in tasca soldi ora e subito per le vecchie. Quindi, non contiamo solo palle, ma stiamo attenti al famelico gorilla, pronti a fermarlo per tempo se comparisse sulla scena approfittando di un governo concentrato su altro. Con rispetto dei gorilla.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro per Altreconomia è “100 parole per salvare il suolo”

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