Crisi climatica / Attualità
Obiettivi di decarbonizzazione insufficienti: le Ong fanno causa alla Commissione europea
Il target comunitario di ridurre del 55% le emissioni climalteranti entro il 2030 non sarebbe in linea con l’Accordo di Parigi sul clima e con le evidenze scientifiche, denuncia una coalizione di organizzazioni riunite nella Rete per l’azione climatica e nella Rete globale per l’azione legale. Violate la Carta dei diritti fondamentali e il Trattato sul funzionamento dell’Ue. Il caso va alla Corte di giustizia
Una coalizione internazionale di organizzazioni non governative e non profit riunite nella Rete per l’azione climatica (Climate action network, Can) e nella Rete globale per l’azione legale (Global legal action network, Glan) ha deciso di portare la Commissione europea in tribunale per l’inadeguatezza delle sue politiche climatiche. Un’inadempienza che le Ong considerano illegale.
“Da varie analisi sappiamo che gli attuali target dell’Unione europea per il 2030 non sono in linea con l’approccio equo e condiviso richiesto per rimanere all’interno di un aumento della temperatura di 1,5 gradi centigradi (come stabilito dagli Accordi internazionali di Parigi nel 2015, ndr) –spiega Sven Harmeling, responsabile clima di Can Europa-. Non chiediamo ai giudici di legiferare al posto delle istituzioni europee, ma semplicemente di valutare se l’attuale legislazione rispetti o meno i requisiti legali.”
Attualmente l’Ue ha deciso di arrivare nel 2030 a tagliare le proprie emissioni climalteranti del 55% rispetto ai livelli del 1990. Ma, secondo gli attivisti, questa meta sarebbe ancora insufficiente in quanto non basata su una corretta stima scientifica, che permetterebbe invece di aumentare la riduzione delle emissioni di almeno dieci punti percentuali.
Al contrario, persistere con obiettivi meno ambiziosi rappresenterebbe -secondo loro- una violazione sia della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue sia del Trattato sul funzionamento dell’Ue. Inoltre, il target attuale sarebbe in contraddizione con l’accordo di Parigi del 2015, in cui gli Stati firmatari si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra per contenere l’aumento della temperatura globale almeno entro i due gradi centigradi rispetto ai livelli dell’epoca preindustriale. L’accordo prevede anche l’impegno a cercare di mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5 gradi, ovvero della soglia entro la quale si potrebbero evitare cambiamenti di lunga durata o irreversibili come la perdita di alcuni ecosistemi.
A finire sotto accusa è nello specifico la definizione delle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri. Alla Commissione europea spetta infatti il compito di assegnare annualmente le emissioni massime consentite tra il 2021 e il 2030, in linea con gli obiettivi generali di riduzione europei. “Il traguardo del 55% al 2030 e le assegnazioni annuali di emissioni sono collegati direttamente, e noi abbiamo prove che dimostrano come un limite del 55% sia inadeguato”, spiega Gerry Liston, avvocato di Glan. Liston sostiene infatti che questo obiettivo non sia stato stabilito sulla base degli studi scientifici disponibili. “Lo stesso Consiglio scientifico su cui si appoggia la Commissione ha sottolineato come sia possibile per l’Unione europea andare ben oltre gli obiettivi che si è data per il 2030”.
Can e Glan stimano che, se tutti i Paesi adottassero la stessa riduzione proposta dall’Ue, la temperatura globale crescerebbe nel lungo periodo di tre gradi, sfiorando i quattro. Già nel 2012, uno studio della Banca mondiale spiegava come un aumento della temperatura oltre i quattro gradi porterebbe a scenari devastanti come l’inondazione delle città costiere, rischi per la produzione di cibo e ondate di calore senza precedenti, con la perdita integrale dell’ecosistema della barriera corallina.
Le Ong fanno sapere che, in risposta alla loro richiesta, la Commissione ha dichiarato che “il target dell’Unione al 2030 è pienamente compatibile con l’obiettivo sulla temperatura a lungo termine stabilito dall’accordo di Parigi” e che nessuna norma le impone di adeguarsi ai traguardi scientifici richiesti dalle organizzazioni. Contattata da Reuters, la Commissione ha preferito non commentare sui procedimenti legali in corso.
La causa intentata da Can e Glan si inserisce nella nuova ondata di azioni legali intraprese per costringere i governi o le aziende ad affrontare con maggiore incisività le cause del riscaldamento globale. Un recente report del Programma ambiente delle Nazioni Unite ha infatti rilevato come i processi legati al cambiamento climatico siano più che raddoppiati a partire dal 2017.
A dare una ulteriore spinta alla richiesta di Can e Glan è anche la storica sentenza dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che lo scorso aprile ha condannato la Svizzera per la propria inazione sul clima. “L’essenza di quella decisione è che gli Stati devono adottare obiettivi di riduzione delle emissioni che siano basati sulla ricerca scientifica e che siano in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi,” afferma Liston.
I rappresentanti delle Ong hanno deciso di rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione europea dopo che la loro richiesta di revisione degli obiettivi era stata rifiutata formalmente dalla Commissione, reputandola al di là delle loro competenze legali. Secondo la convenzione di Aarhus, le Ong non possono infatti fare ricorso direttamente alla Corte di giustizia europea, ma possono mettere in discussioni gli atti amministrativi che infrangono le norme ambientali. Qualora i giudici dovessero decidere a loro favore, questo potrebbe costituire un precedente di peso per ogni futura azione legale di organizzazioni della società civile.
L’esposto è stato presentato alla Corte a febbraio 2024. Entro settembre la Commissione dovrà rispondere per iscritto, mentre la decisione è attesa per la prima metà del 2026. Ma Can e Glan sembrano determinati ad andare fino in fondo. “Penso sia fondamentale affermare un precedente di cui la futura legislazione climatica debba tenere conto”, spiega Harmeling.
A breve, infatti, in Europa dovrà iniziare il dibattito sulla riduzione delle emissioni al 2040. Prima delle elezioni, la Commissione guidata da Ursula von der Leyen aveva proposto un taglio del 90%. I governi hanno iniziato la discussione, al termine della quale spetterà alla rinnovata Commissione redigere una nuova proposta.
“Dobbiamo usare tutti i canali disponibili per spingere la Commissione europea a portare le sue ambizioni climatiche in linea con i suoi impegni per rimanere dentro gli 1,5 gradi -conclude Harmeling- così come deciso nell’Accordo di Parigi”.
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