Crisi climatica / Opinioni
Obbligo di assicurazione per i danni da eventi naturali: opportunità o “tassa occulta”?
In Italia le conseguenze delle catastrofi sono sempre state gestite attraverso interventi pubblici della Protezione civile e poi con il finanziamento della ricostruzione post evento, a debito. L’acuirsi della crisi climatica, però, ha reso gli eventi dannosi sempre più frequenti, violenti e variabili. Come orientarsi nel dibattito sul programma assicurativo obbligatorio riemerso dopo i fatti della Romagna? L’analisi di Pietro Negri
I drammatici eventi che in queste settimane hanno colpito l’Emilia-Romagna hanno animato il dibattito pubblico sull’attuazione del programma assicurativo obbligatorio contro gli eventi derivanti da catastrofi naturali (CatNat) introdotto dalla legge di Bilancio per il 2024 (213/2023).
Entro il 31 dicembre 2024 tutte le imprese operanti in Italia, con la sola esclusione delle imprese agricole per le quali opera un fondo ad hoc (AgriCat), dovranno stipulare una polizza assicurativa obbligatoria per i danni occorsi a terreni e fabbricati, impianti e macchinari, attrezzature industriali e commerciali (si veda all’art. 2424 del Codice civile) derivanti da catastrofi naturali identificate -almeno per il momento- in eventi sismici, alluvioni, frane, esondazioni e inondazioni, con esclusione della perdita di reddito (business interruption) derivante dall’evento.
Della violazione dell’obbligo si terrà conto nel caso di assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni di carattere finanziario a carico del bilancio dello Stato. Di contro, le imprese di assicurazione saranno tenute obbligatoriamente ad assicurare i rischi che gli verranno sottoposti, analogamente a quanto già oggi avviene per le polizze r. c. auto (Responsabilità civile autoveicoli), pena l’applicazione di pesanti sanzioni economiche.
La nuova disciplina è già estesa, inoltre, anche ai percettori del “Superbonus” riconosciuto fino al 31 dicembre 2025, e per immobili siti nei Comuni terremotati, che dovranno “stipulare, entro un anno di tempo dalla fine dei lavori, una polizza a copertura dei danni causati CatNat” (ai sensi della legge 17/2024).
Si tratta di una novità assoluta per il nostro Paese nel quale le conseguenze dei disastri naturali sono storicamente sempre state gestite attraverso gli interventi pubblici della Protezione civile e poi con il finanziamento della ricostruzione post evento. L’acuirsi della crisi climatica, tuttavia, ha reso gli eventi dannosi sempre più frequenti e violenti con, in aggiunta, l’estrema variabilità geografica del loro manifestarsi. Il territorio italiano, infatti, è esposto per più del 70% a rischio sismico ed idrogeologico con costi crescenti a carico dell’erario, con una media di quattro miliardi di euro ogni anno.
Nel 2023, secondo Legambiente, si sono verificati in Italia 378 eventi meteorologici estremi (più 22% rispetto al 2022). Solo nel Nord i danni potenziali a fabbricati, terreni e attrezzature industriali e commerciali superano i 1.100 miliardi di euro. Nonostante tali evidenze, tuttavia, meno del 5% delle piccole e microimprese italiane dispone di coperture assicurative adeguate. Secondo l’Ispra, inoltre, oltre 1,3 milioni di abitanti e quasi 548mila famiglie vivono in zone a rischio frane; sette milioni di abitanti vivono in aree soggette ad alluvione; gli edifici nelle zone più esposte al rischio idrogeologico sono oltre due milioni; il 94% dei Comuni italiani è a rischio dissesto idrogeologico.
L’obiettivo della nuova normativa, pertanto, oltre ad alleggerire il carico sul debito pubblico, è quello di rimediare alla carente cultura assicurativa volontaria favorendo l’intervento privato delle assicurazioni, almeno fino a un certo limite economico, per rispondere al “bisogno di protezione” della collettività. Peraltro, tanto l’Autorità bancaria europea (Eba) quanto l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (Eiopa), che vigilano a livello europeo sui settori bancario e assicurativo, hanno di recente messo in luce come il rischio climatico stia diventando un fattore determinante nelle politiche di credito e di sottoscrizione dei rischi di banche e compagnie di assicurazione, in grado di compromettere la loro stessa solvibilità finanziaria.
Analoghe iniziative esistono già in altri Paesi: in Francia il sistema di copertura misto pubblico/privato c’è dal 1982 e fornisce copertura a individui, aziende ed enti locali. La garanzia CatNat è automaticamente inclusa in tutti contratti danni (anche quelli r. c. auto) stipulati volontariamente, con un rischio ripartito su 45 milioni di sottoscrittori e, quindi, con un livello di mutualizzazione molto elevato. La polizza si attiva se un decreto governativo riconosce la calamità naturale, se è stabilito “un nesso diretto tra danno ed evento in un tempo stabilito” e se l’assicurato presenta denuncia di sinistro entro 30 giorni. Il costo della copertura annuale è mediamente di 25 euro l’anno, ma dovrebbe aumentare a 40 euro l’anno. Nel Regno Unito esiste PoolRE, un consorzio di assicuratori e riassicuratori che opera per ripartire tra gli operatori, fino a un certo livello economico, il rischio assunto volontariamente sul mercato.
Come spesso accade, però, il diavolo è nei dettagli. La norma introdotta in Italia, per poter essere operativa, necessita di un decreto interministeriale attuativo con i contenuti sostanziali delle coperture, che dovrebbe essere pubblicato il prima possibile per permettere alle imprese e agli assicuratori di assolvere l’obbligo previsto.
Lo schema di decreto in circolazione, ad esempio, prevede che non siano in garanzia tra gli altri, “i danni conseguenza diretta o indiretta dell’azione dell’uomo”. Ciò potrebbe indurre dubbi sull’effettiva copertura di danni registrati a seguito di catastrofi naturali in qualche modo causate o concausate, ad esempio, da errori progettuali correlati alla cementificazione del territorio, all’attività o all’inerzia delle autorità amministrative preposte alla conservazione e alla messa in sicurezza idrogeologica, soprattutto in caso di eventi che si ripetono nel tempo, come ci ricordano i fatti recenti. Sono esclusi dalla copertura assicurativa, inoltre, gli immobili non conformi alla normativa urbanistica ed edilizia e/o a norme di legge o ad altre disposizioni tecniche (inclusi obblighi di manutenzione o il cui utilizzo sia stato sospeso o vietato dalle autorità).
Oppure, tra le tante complesse difficoltà operative e tecniche, vi sono poi quelle connesse alla sostenibilità, per le imprese assicurative, del citato “obbligo a contrarre”: le imprese dovranno tenere conto della propria capacità assuntiva nei limiti delle disponibilità patrimoniali attuali e prospettiche a copertura del Solvency capital requirement (Scr), previsto dalle normative di settore. Questo implica che nel documento approvato annualmente dal Consiglio di amministrazione sulla politica di gestione dei rischi (il cosiddetto Risk appetite framework, Raf), dovranno essere introdotte “misure soglia” degli indicatori di solvibilità che permettano all’impresa -in caso di superamento del (proprio) limite di tolleranza- di esercitare una way-out all’obbligo a contrarre, cessando l’assunzione di ulteriori rischi.
Di conseguenza, il premio della polizza è determinato in misura proporzionale al rischio, tenendo conto dell’ubicazione sul territorio e della vulnerabilità dei beni assicurati, delle serie storiche, delle mappe di rischiosità e della letteratura scientifica adottando, ove possibile, modelli predittivi che tengano conto dell’evoluzione nel tempo delle probabilità di accadimento degli eventi e della vulnerabilità.
L’ambito di riferimento potrà favorire in modo specifico l’innovazione dei prodotti (anche attraverso l’uso di polizze “parametriche” che, per attivarsi, si basano su indicatori collegati al verificarsi di un evento, piuttosto che sulla quantificazione specifica del danno subito dall’assicurato), l’uso dell’intelligenza artificiale e dei modelli matematici predittivi. Nell’ambito delle coperture assicurative CatNat, ad esempio, la National science foundation statunitense ha deliberato un finanziamento di 11 miliardi di dollari per sostenere un programma di studio e analisi sulla grandine (rischio, per il momento, escluso dall’obbligo). Uno dei punti da chiarire è come il cambiamento climatico influenzerà la frequenza di queste precipitazioni e la grandezza dei chicchi: studiando temperatura, umidità e vento, i servizi meteo potrebbero essere in grado di diramare avvisi circostanziali con inviti, per esempio, a rimanere al chiuso. Si pensa che il riscaldamento globale possa favorire la formazione di chicchi più grossi con gravi conseguenze, ad esempio, sulla protezione degli impianti fotovoltaici.
Tassa occulta in arrivo? “Stato etico” che influisce sui propri cittadini? L’evolversi della situazione non ci permette più di esitare: è ora di assumere iniziative rapide e concrete. Rispetto alle numerose esternazioni degli ultimi giorni, pertanto, si tratta di prendere atto -tutti insieme e con più consapevolezza- dei cambiamenti in atto, cercando di favorire comportamenti virtuosi, anche attraverso agevolazioni fiscali e misure premiali per coloro che, nei rispettivi territori, assumano iniziative volte a ridurre le conseguenze derivanti da catastrofi naturali e a favorire l’adattamento alle nuove condizioni. E poi, di ingerenze “etiche” sulle nostre vite ne subiamo già tante e, tutto sommato, meglio spendere soldi su una polizza che copre la nostra attività o la casa, che pagare un contributo alla televisione pubblica che soddisfa, per lo più, solo esigenze private.
Pietro Negri si occupa da tempo di assicurazione e sostenibilità. Consulente del Forum per la finanza sostenibile e dell’Ispra, è avvocato e segretario generale di Aiba, l’Associazione italiana dei broker di assicurazione e riassicurazione. È stato membro della segreteria tecnica del Comitato per la corporate governance di Borsa Italiana e ha coordinato il gruppo di lavoro assicurativo nell’ambito del National dialogue for sustainable finance promosso dall’Unep-Fi e dal ministero per l’Ambiente.
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