Diritti / Attualità
Non si fermano i respingimenti illegali lungo le frontiere interne ed esterne dell’Europa
La cooperazione informale tra gli Stati continua a impedire a migliaia di donne, uomini e bambini di cercare protezione nell’Ue. Nel 2021 in tre mesi documentati 2.162 pushback. La denuncia della rete internazionale Prab: “Serve un monitoraggio indipendente”
La rete Protecting rights at borders (Prab) ha documentato 2.162 casi di respingimenti illegali a danno di migranti e richiedenti asilo in Europa tra gennaio e aprile 2021. È quanto emerge dal report “Responsabilità respinte” pubblicato dalle nove organizzazioni che compongono Prab e che tutelano i diritti umani in sei diversi Paesi (tra queste, Danish Refugee Council, ASGI, Diaconia Valdese, Hungarian Helsinki Committee, Humanitarian Center for Integration and Tolerance, Macedonian Young Lawyers Association, Greek Council for Refugees). Il “trattamento di benvenuto” è stato compiuto attraverso una cooperazione informale tra gli Stati e ha impedito a migliaia di persone di richiedere protezione in Europa.
Uomini, donne e bambini, provenienti principalmente da Siria, Afghanistan e Pakistan, a cui è stato impedito di richiedere protezione ai valichi di frontiera tra Italia, Grecia, Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord e Ungheria. Gli oltre 2mila casi registrati sono la “punta dell’iceberg”. Spesso i luoghi in cui avvengono i respingimenti sono altamente militarizzati e la presenza delle Ong è vietata, con importanti ricadute sulla possibilità di raccogliere testimonianze. Inoltre le persone coinvolte sono riluttanti a denunciare, sia perché hanno paura di ripercussioni sul loro status e sulle successive possibilità di muoversi, sia perché hanno scarsa fiducia nel fatto che una loro segnalazione possa portare a cambiamenti concreti. Il 31% degli intervistati dichiara ostacoli nel presentare domanda d’asilo, il 24% denuncia abusi psicologici e violenze e il 27% riporta estorsione e distruzione di beni personali. “Un quadro agghiacciante -osserva l’avvocata Caterina Bove, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che con la Diaconia Valdese (Dv) e la sezione italiana del Danish Refugee Council (Drc) ha preso parte all’iniziativa- che evidenzia ancora una volta le dimensioni e le atroci conseguenze dei respingimenti alle frontiere”.
L’Italia è coinvolta. Secondo gli autori del report, il “confine italo-sloveno è uno dei casi più eclatanti di respingimenti tra Stati membri dell’Unione europea”. Le procedure messe in atto dalla polizia italiana si basano su accordo firmato tra Italia e Slovenia nel 1996, che prevede la possibilità di riammettere cittadini di paesi terzi entrati irregolarmente sul territorio italiano. L’informalità accompagna di frequente i respingimenti: il report segnala che “alcuni degli intervistati hanno riferito di essere stati registrati dalla polizia italiana, altri hanno riferito invece di essere stati arrestati e rimandati in Slovenia senza alcun tipo di registrazione”. Come raccontato da Altreconomia, non è chiaro se le autorità tengano traccia dei rimpatri illegali e se, nel caso, esistano dei registri ufficiali. “Indipendentemente dalla mancanza di procedure formali applicate -si legge nel report- i respingimenti vengono coordinati tra la polizia di frontiera italiana e quella slovena, in quanto gli intervistati riferiscono di essere ‘consegnati’ nelle zone di confine, dove le forze di polizia slovene procedono a spingerli indietro verso la Croazia, dove vengono infine trasferiti in Bosnia ed Erzegovina, al di fuori dell’Unione”. Il Prab segnala nei primi mesi del 2021 cinque respingimenti “a catena” in cui le persone respinte dall’Italia verso la Slovenia sarebbero state successivamente deportate prima in Croazia e poi in Bosnia, a Bihac. Nel gennaio 2021, il tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità di questa procedura (il 3 maggio è stato accolto il ricorso del Viminale ma la prassi resta illegittima).
Il 13% degli oltre duemila pushback segnalati riguarda minori: il 4% non accompagnati, il 9% in viaggio con le proprie famiglie.
La condizione dei minori è grave soprattutto sul confine italo-francese. Tra gennaio e maggio 2021, la Diaconia Valdese segnala “almeno 300 minori stranieri falsamente identificati come adulti nonostante avessero documenti di identità validi”. Più in generale, il rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo a Ventimiglia e lungo il confine alpino resta critico: diverse testimonianze riportano “violenze da parte delle forze dell’ordine francesi” che, dopo aver intercettato le persone, le trattengono per una notte nelle stazioni di polizia di confine per poi trasferirle, il giorno successivo, in Italia. “Viene negata loro la possibilità di richiedere asilo -sottolinea il report- cibo e acqua sono insufficienti e non è garantita né la presenza di un mediatore, né l’assistenza sanitaria”.
Sul confine bosniaco-croato si registra il maggior numero di respingimenti: ben 1.216 in totale, di cui 171 a catena. Di questi, 170 provenienti dalla Slovenia e uno dall’Austria. Preoccupa particolarmente il confine ungherese-serbo, dove si registrano 285 pushbacks con tutte le persone intervistate che riportano l’impossibilità di richiedere asilo. Così come quello ungherese-romeno, con 331 espulsioni illegittime, il 46% dichiara di aver subito violenze.
Numeri elevatissimi, quelli registrati dal report, che evidenziano come lo strumento dei respingimenti da parte degli Stati membri e dai Paesi confinanti con l’Unione europea, così come gli accordi informali che li rendono possibili, possono essere considerati “uno strumento de facto per la gestione dei confini, nonostante siano illegali perché in contrasto con il diritto dell’Unione europea”. Gli autori del report si augurano l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio istituzionale indipendente che possa porre fine all’impunità e garantire l’accesso alla giustizia. “Non bisogna reiventare la ruota -si legge nel report-. Le autorità chiamate a monitorare esistono già ma devono essere messe nelle condizioni di eseguire efficacemente il loro mandato assicurandosi che le conclusioni a cui giungono siano attuate e rispettate”.
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