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Diritti / Opinioni

La nuova nave dei dannati e quello smarrito senso di umanità

© Sebastian Grochowicz

La nave della Ong Sea Watch è ancora in mare in attesa di un porto dopo 13 giorni dal soccorso con il suo carico di persone salvate dal naufragio. “Quanto sta avvenendo nel Mediterraneo, come i continui episodi di violenza, intolleranza e odio che si verificano ovunque dice che un drammatico mutamento nel nostro ordinamento sociale potrebbe non essere lontano”. Il commento di Gianfranco Schiavone

Se anche solo qualche anno fa qualcuno avesse immaginato che una nave che effettua un soccorso umanitario nel Mediterraneo sarebbe rimasta a vagare nel mare perché nessun Paese, dico nessuno, dell’Europa democratica, decideva di farsi carico del suo soccorso e dello sbarco in un porto sicuro, avremmo tutti pensato a una scenario di fantapolitica. Avremmo in particolare detto che questo scenario è incompatibile con la vita democratica e che nessuna forza politica in Italia e in Europa avrebbe condiviso una simile aberrazione. Purtroppo non è così: oggi, 3 gennaio 2018 la nave della Ong Sea Watch è ancora in mare in attesa di un porto dopo 13 giorni dal soccorso con il suo carico di persone salvate dal naufragio.

Non voglio qui scrivere delle gravi violazioni di legge (in particolare del diritto internazionale sul soccorso in mare) che questa incredibile situazione evidenzia. E neppure delle evidenti e profonde lacune giuridiche che le norme in materia pur presentano, e che rendono difficile e incerta la loro applicazione.

Intendo invece riflettere con tutti voi constatando che non siamo più di fronte a un fatto come un altro, anche se grave, bensì a un fatto in qualche misura estremo che ci permette di guardare allo stato del nostro presente con dolorosa chiarezza. Ciò di cui sto scrivendo non riguarda le norme e le politiche sulla migrazione bensì ha a che fare con qualcosa di più importante e centrale nella nostra vita ovvero con un senso di umanità che appare del tutto smarrito.

Nel suo messaggio di fine anno il presidente della Repubblica ha fatto un preoccupato riferimento alla diffusa mancanza del senso di appartenenza ad una comunità. È sicuramente così ma temo che lo scenario sia ancor più grave: non c’è più comunità perché sono accantonati e ripudiati i doveri inderogabili di solidarietà che sono a fondamento delle comunità democratiche e, di conseguenza, sono calpestati, e prima ancora ridicolizzati, i diritti fondamentali della persona, specie se essa si trova in una condizione di particolare debolezza.

Il disprezzo per i diritti fondamentali della persona è prima di tutto un comportamento attivo, rivendicato con ostentazione: oggi chi coltiva il rancore e incita a rifiutare i soccorsi ululando sui social acquista consenso, non lo perde. Assistiamo così da tempo a un crescente e sempre più rapida legittimazione della violenza che pochi avvertivano fino a poco tempo fa ma che oggi è drammaticamente sotto gli occhi di tutti.

In questa società senza legami tra nessuno sembra alzarsi solo il grido del “prima noi”. Un “noi” indistinto e violento che non ha nessun contenuto e che cambia continuamente mentre si cerca inutilmente di definirlo. L’alleanza attorno al presunto “noi” è solo uno strumentale e provvisorio aggregarsi del branco, formatosi al bisogno per agire contro qualcuno ma destinato a sciogliersi subito dopo per lasciare il posto alla solitudine del singolo che ritorna nel nulla.

Un amico mi faceva acutamente notare che il nostro turbolento Paese è sempre stato attraversato negli ultimi vent’anni da fenomeni di mala gestione della cosa pubblica e sempre ha prodotto personaggi politici torbidi e spesso picareschi e ridicoli nelle loro manifestazioni pubbliche e nella loro inconsistenza culturale. È vero, ma è a mio avviso nuovo, nel senso di non finora raggiunto, il livello di gravità della situazione in cui ci troviamo perché, come nella fisica i cambiamenti quantitativi producono a un certo punto un cambio di stato delle cose, così anche nella vita sociale i cambiamenti non si situano su una scala infinita nella quale semplicemente ogni gradino è più basso di quello precedente, ma a un certo punto si produce un mutamento netto del patto sociale. Quanto sta avvenendo con le navi abbandonate nel Mediterraneo, come i continui episodi di violenza, intolleranza e odio che si verificano ovunque dice che un drammatico mutamento nel nostro ordinamento sociale potrebbe non essere lontano.

Dobbiamo quindi fare massima attenzione a quanto sta avvenendo attorno a noi ed essere consapevoli che sulla cosiddetta gestione delle migrazioni si misura la tenuta della democrazia nel nostro Paese come altrove. Parimenti è in pericolo la tenuta dell’Europa intesa non già come pesante e deficitario conglomerato istituzionale da riformare in profondità, bensì come percorso di evoluzione storica di un continente che ha tentato di emergere da un passato recentissimo di guerre e distruzioni totali per diventare uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni

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