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Interni / Reportage

Mondeggi bene comune difende la sua identità in vista del Pnrr

Una vista del forno che fin dalle prime ore del mattino è già attivo. © Federica Rossi

Firenze investe 52 milioni di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza per la “fattoria senza padroni”, una pratica di occupazione che ha ridato vita a 170 ettari. Alcuni non si fidano del progetto. Altri sì, ma vogliono essere ascoltati

Tratto da Altreconomia 260 — Giugno 2023

“Lavanda, iperico ed erba cedrina”. Una tazza di tisana bollente passa tra le mani di cinque ragazzi. Con lentezza assaporano a turno il liquido fumante per riconoscere le erbe raccolte nell’orto e risalire alla ricetta. Il composto è stato preparato da Chiara, che per anni ha tenuto un laboratorio di erboristeria a Mondeggi, una tenuta a pochi chilometri da Bagno a Ripoli (FI), ed è tra coloro che se ne sono andate. Da quando la Città metropolitana di Firenze ha deciso di investire proprio qui 52 milioni di euro dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), le acque sono cambiate: c’è chi approda e chi molla gli ormeggi da Mondeggi bene comune.

“Volevamo creare una comunità, una cosa nuova con un accesso alla terra e alla produzione del cibo per tutti -la voce di Susanna si accavalla al rumore dei carotaggi degli operai poco distanti-. Secondo il Comune non potrei mantenere il camino perché emette CO2”. Vive da quattro anni a Rusciano, una delle case coloniche abitate (insieme alle cosiddette Cuculia e Ranieri) sparse nella collina di Mondeggi. Circa venti persone risiedono fisse nell’occupazione agricola, ma ne sono coinvolte cinquecento nel progetto, c’è chi dice mille. Non è facile fare stime per attività che da nove anni ridanno vita a 170 ettari di verde sugli spazi dell’azienda Mondeggi-Lampeggi. Dal 2012, quando nasce il comitato Terra bene comune contro la tentata vendita di terreno statale del decreto “Salva Italia”, Susanna e altri recuperano la collina attraverso l’agricoltura contadina. Oggi la Città metropolitana di Firenze ha acquistato il debito diventando proprietaria della tenuta, dal 2018 in liquidazione. Dal 2014 a Mondeggi c’è chi impasta farine di semi antichi per vendere poi il pane, chi registra i contributi di Radio Wombat, chi produce birra, vino o olio, chi fa serigrafia, chi immagina cos’altro si potrebbe fare.

Semi antichi e fondi nuovi. Nel luglio 2021 il sindaco di Firenze, Dario Nardella, annuncia che dei circa 750 miliardi di euro del Recovery Fund previsti dal piano europeo Next Generation Eu, di cui l’Italia è prima beneficiaria con 61,5 miliardi di euro, 47,9 milioni sono stati proposti per Mondeggi. La Città metropolitana di Firenze aggiunge 4,6 milioni di finanziamenti propri e Bruxelles approva così un piano di fattibilità per la “Fattoria senza padroni” per un totale di 52,5 milioni. Il progetto ricade all’interno della “Missione cinque” del Pnrr: coesione sociale. Dopo anni di tentata vendita dell’occupazione di Mondeggi a privati, si aspetta che il Comune apra un dialogo con gli occupanti per disegnare il futuro della tenuta: “Ci siamo costituiti formalmente come associazione di promozione sociale (Aps) per poter partecipare alla coprogettazione”, dice Susanna.

Paolo Cianchi, direttore dell’opera a Mondeggi, spiega ad Altreconomia che a ora il progetto “comprende sia una parte di restauro degli immobili sia una di rifunzionalizzazione agricola”. Dei circa 52 milioni stanziati, spiega, circa 34 sono destinati al restauro e solo poco più di 4,2 milioni alla riattivazione agricola. Roberto, portavoce del comitato di Mondeggi, chiarisce infatti che “l’Ue ha approvato un progetto tecnico-economico che immagina un polo di attrazione a livello sociale”; ma “questo posto si fonda sull’agricoltura”, aggiunge Susanna. Gli occupanti sono in attesa di presentare le loro idee, entro luglio, a un tavolo di coprogettazione. Cianchi, tuttavia, informa già che “la villa ospiterà un centro congressi, un ristorante, una foresteria, spazi per uffici, un centro di formazione. Mentre i casali diventeranno degli spazi di cohousing e per le associazioni”. Entro luglio il bando d’appalto sceglierà le cinque aziende che metteranno in opera il progetto esecutivo da settembre fino al 2026.

Seduta tra i filari nell’orto, Isa, ventiseienne che vive qui da quattro anni, indica le colline che si dispiegano di fronte a Casa Cuculia. Mondeggi affaccia su alcune delle più grandi aziende italiane di vino e olio: Antinori, Ruffino, Frescobaldi. Mirano ad avvicinarsi alla sostenibilità, ma “seguono metodi di agricoltura tradizionale” commenta Isa. Significa, come si legge nel primo dei nove pilastri “Total productive maintenance” di Ruffino: “Massimizzare l’efficienza produttiva” di un terreno. Questo avviene grazie all’ausilio di pesticidi e fitofarmaci, previsti dal metodo dell’agricoltura integrata, riconosciuta per esempio a Frescobaldi con il marchio Agriqualità. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) informa che del 94% delle emissioni nazionali di ammoniaca prodotte dal settore agricolo, il 14,6% è dato da fertilizzanti sintetici. Inoltre, un report del 2021 dell’Inail sulle malattie occupazionali in agricoltura riconosce nei prodotti fitosanitari un’associazione diretta con lo sviluppo del morbo di Parkinson. “Qui è diverso, seguiamo un approccio agroecologico -spiega Isa-. Significa conciliare l’attività agricola dell’uomo con l’ecosistema”.

Questo si riflette nella sostenibilità su tutta la filiera di produzione di Mondeggi: “Chiunque può lavorare qui e poi il risultato viene redistribuito in base a quanti filari o olivi hai”, spiega Susanna. Questa è la base del progetto Mondeggi terreni autogestiti (MoTA), che permette a Mino, “il nonno di Mondeggi”, di avere “un filare di vigna, una parcella d’orto, 60 alberi di olivo e tutti i suoi frutti. Ho 79 anni e otto anni fa sono tornato a scuola”, riferendosi all’attività “Scuola Contadina”, gratuita. La gestisce Cape, un agronomo che ha piantato qui i primi semi. “Oggi ci sono quattro persone del gruppo di affinità ‘vigna’, più una comunità territoriale che ha risposto all’appello mandato via mail per aiutare -spiega-. Questa è agroecologia: coltivare in modo sostenibile e insieme”. Queste attività distinguono Mondeggi come un “bene comune esteso”.

Per essere tale, spiega Rossana Caselli, giurista e responsabile della Toscana di Labsus, associazione che promuove il principio di sussidiarietà, “la cura è l’elemento principe. Serve anche l’apertura di quel bene a tutti per l’interesse generale e il riconoscimento di questo da parte della comunità che lo cura”. Se il Comune svilupperà il progetto senza tenere conto delle attività create negli ultimi nove anni, secondo Caselli, questi assi cederebbero e così il titolo di bene comune. C’è chi crede sia già una “sconfitta politica”. Fresh ha ventidue anni e con l’apertura dei cantieri se ne andrà. Vive qui per “ripensare a un movimento ecologista che parta da una dimensione spaziale. Qualcosa che si realizzi, non rimanga solo simbolico e periodico, ma costante, quotidiano e ricostruttivo”.

Mentre Valeria, abitante della vicina Grassina, raccoglie le biete, il sole cala colorando i laterizi in cotto dei casolari e cucendo delle ombre nere intorno alle foglie d’edera. “A me piacerebbe rimanesse quest’orto anche con il Pnrr, ma non perché non lo posso fare a Grassina, ma perché qui si fa tutti insieme. E non per l’olio in sé, non ne produciamo tanto. Lo fai per il territorio, perché rimanga autogestito”. Enrico Carpini, della lista civica “Territori e beni comuni” e consigliere metropolitano, sostiene che “questo coinvolgimento della cittadinanza a livello agricolo non può essere perso”.

Valeria, abitante della vicina Grassina, raccoglie le biete, mentre il sole cala colorando i laterizi in cotto dei casolari. “A me piacerebbe rimanesse quest’orto anche con il Pnrr, ma non perché non lo posso fare a Grassina, ma perché qui si fa tutti insieme”. © Federica Rossi

Il timore generale è che il Pnrr “snaturi” il carattere di Mondeggi, rendendo le attività, finora rette in un equilibrio tra autogestione e rete con il territorio, a pagamento, o dedicandole ai turisti: oltre 48mila in Toscana nel 2019 secondo l’Istat. “Un’autonomia territoriale è uno spazio sperimentativo, un laboratorio di alternative al sistema. Così si depoliticizzano. È peggio del greenwashing: è l’assorbimento delle pratiche sostenibili all’interno del sistema, ma togliendo la parte che le rende tali”, commenta Fresh. Cape invece è convinto che “lo spirito di Mondeggi non può cambiare con il Pnrr. Sono le persone che fanno i posti. La vittoria è trovare un modello senza sfruttamento. Ma il mondo lo cambi da dentro o da fuori? Nessuno ha la risposta ma per me è una vittoria”. “Mondeggi fino a oggi ha parlato con l’esterno”, specifica Cape.

Si riferisce anche a Genuino Clandestino, la rete di contadini e consumatori sostenibili con cui i prodotti di Mondeggi arrivano al mercato di piazza Tasso a Firenze, a 12 chilometri da qui. Secondo Isa, la vicinanza con la città è fondamentale: “Esiste ed è uno spazio di intervento. Le lotte in campagna e in città sono da unire”. Così, “quando il Comune ci ha detto che non poteva essere solo nostro lo spazio perché il Pnrr investe in ‘coesione sociale’ -aggiunge Roberto- la nostra contromossa è stata proporgli dieci associazioni che la vedono come noi, come PassePasse”. Secondo Pasquale Bonasora, presidente di Labsus, “per essere una coprogettazione tutti i soggetti devono avere lo stesso potere” e ripartire l’ex tenuta con diverse associazioni potrebbe mantenere l’orizzontalità. Cianchi spiega tuttavia che “l’iter di progettazione viene gestito dalla Città metropolitana e i professionisti incaricati per decidere le funzioni che verranno ospitate nei vari immobili”, lasciando il capitolo aperto.

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