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Mobilitazioni in tutta Italia contro il “Codice della strage”

© Markus Spiske, unsplash

Alla Camera è iniziato l’iter per l’approvazione del disegno di legge di riforma del codice della strada, proposto dal ministro Salvini e contestato dalle associazioni: promuove misure vetrina e non centra l’obiettivo di contrastare le principali cause dell’incidentalità. Un provvedimento che riporta l’Italia indietro di cinquant’anni

È in corso alla Camera l’iter per l’approvazione del disegno di legge 1435 presentato lo scorso giugno dal ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, per la riforma del codice della strada. Un provvedimento che avrà un impatto concreto sulla vita di tutti i cittadini ma che -avvertono diverse organizzazioni per la sicurezza stradale e la mobilità sostenibile- non sarà sufficiente per fermare la strage in corso sulle strade italiane.

“Il Codice promuove misure vetrina e non centra l’obiettivo di contrastare le principali cause dell’incidentalità: eccesso di velocità, guida distratta e mancata precedenza ai pedoni sugli attraversamenti”, segnalano Legambiente, Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), Salvaiciclisti, Kyoto Club, Clean cities campaign, ASviS, Amodo, fondazione Michele Scarponi, associazione Lorenzo Guarnieri, fondazione Marco Pietrobono, fondazione Luigi Guccione e Vivinstrada annunciando una mobilitazione nazionale che prenderà il via il 9 marzo e che prevede vari appuntamenti in diverse città italiane.

Il messaggio della campagna è duro e inequivocabile: “Stop al nuovo codice della strage”. “Che sulle strade italiane sia in atto una strage lo dimostrano i numeri: più di tremila morti in un anno e decine di migliaia di feriti -spiega ad Altreconomia Luca Polverini, consigliere nazionale Fiab-. Da decenni aspettiamo una riforma efficace del codice della strada e purtroppo quella attualmente in discussione alla Camera non andrà a migliorare la situazione. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre il numero di morti, ma non si fa niente per intervenire sulla velocità, mette l’accento sulla repressione senza però fornire strumenti adeguati”.

I numeri su incidentalità e mortalità sulle strade italiane sono inequivocabili. Nel 2022 -ultimo anno per cui sono disponibili dati Istat ufficiali– le persone morte a seguito di una collisione stradale sono state 3.159, in aumento del 9% rispetto all’anno precedente, mentre i feriti sono stati oltre 223mila. Le stime preliminari dell’Istituto di statistica per i primi sei mesi del 2023 fotografano una situazione non molto dissimile: oltre 106mila i feriti tra gennaio e giugno e 1.384 morti.

Questi dati sono ancora più allarmanti se si focalizza l’attenzione sulle strade urbane, dove si registra il 73% degli incidenti: se nei primi sei mesi del 2023 Istat ha registrato una leggera diminuzione dei morti in autostrada rispetto allo stesso periodo del 2022 (-9,7%) e sulle strade extra urbane (3,3%), il trend è invece rimasto sostanzialmente invariato (-0,1%) su quelle urbane. Dove le cause principali di incidentalità sono la velocità (nel 23% dei casi), la distrazione (20%), il mancato rispetto delle strisce pedonali (17%) e quello delle precedenze (14%). L’80% dei morti sulle strade urbane sono utenti vulnerabili mentre nel 94% dei casi gli incendi sono imputabili a conducenti di veicoli a motore.

Una situazione, quella italiana, che rappresenta un’anomalia in Europa. I dati della Commissione europea relativi al 2022 evidenziano come il numero di morti in strada in Italia sia pari a 56 per milione di abitanti a fronte dei 26 per milione in Gran Bretagna, dei 34 in Germania e dei 36 in Spagna.

“I numeri ci confermano che oggi il sistema non va bene, ma non si fa nulla per cambiare questa situazione, perché nel disegno di legge non c’è un solo strumento che ci aiuti a fermare questa strage quotidiana -spiega ad Altreconomia Matteo Dondé, urbanista ed esperto di moderazione del traffico-. In tutti i Paesi europei, per ogni nuovo provvedimento in materia di mobilità urbana le soluzioni vengono proposte e sperimentate, poi si studiano i risultati e sulla base di questi si interviene. Ma non ci sono dati a supporto delle nuove scelte contenute nel disegno di legge in discussione alla Camera”.

Sono parecchi i punti critici messi in evidenza da associazioni ed esperti, che hanno definito questo disegno di legge inefficace (perché non andrà a ridurre la velocità sulle strade e a contrastare i comportamenti pericolosi alla guida) e persino dannoso dal momento che renderà più difficile realizzare quegli interventi di moderazione del traffico che garantiscono maggiore sicurezza agli utenti deboli. Una legge repressiva ma che non previene i comportamenti a rischio, che inasprisce le sanzioni senza però fornire adeguati strumenti per gli accertamenti.

Il nuovo codice della strada, infatti, restringerà la possibilità di installare e usare gli autovelox e permetterà di violare più volte i limiti di velocità ricevendo però una sola multa anziché una sanzione per ogni singola violazione accertata come avviene invece oggi. Viene poi eliminata la possibilità di controllare e sanzionare le infrazioni in materia di sosta o le violazioni della segnaletica attraverso le telecamere. Sulla carta vengono inasprite le sanzioni per chi utilizza il cellulare al volante ma, di nuovo, senza alcuna reale possibilità di controllo dal momento che è stata rigettata la possibilità di accertare e sanzionare questo comportamento anche con strumenti digitali, come avviene in altri Paesi europei.

Viene anche limitata pesantemente l’autonomia delle amministrazioni locali con il blocco immediato della possibilità di realizzare nuove corsie ciclabili (bike lane), case avanzate (spazi riservati ai ciclisti in corrispondenza degli incroci che permettono di posizionarsi davanti alle automobili ferme ai semafori e di ripartire in condizioni di maggiore sicurezza), doppi sensi ciclabili e strade ciclabili fino all’emanazione di un futuro regolamento ad hoc del ministero.

Le corsie ciclabili, in particolare, potranno essere realizzate solo nei casi in cui non è possibile costruire piste ciclabili (peraltro più costose e la cui progettazione richiede tempi molto più lunghi). Ma non potrà essere l’amministratore locale a decidere in autonomia, sarà necessario il via libera del ministero: “È un codice della strada che ci riporta indietro di cinquant’anni -sottolinea Dondé-. In Italia ci sono quasi ottomila Comuni imporre l’obbligo di chiedere questo tipo di autorizzazione significa intasare il sistema con la burocrazia e, di fatto, rendere sempre più complicato lavorare – Di nuovo, non si guarda ai dati: le bike lane sono adottate in tantissimi Paesi europei con successo. In Italia invece si reagisce di pancia e senza uno studio dei dati”.

“Questi provvedimenti non solo vanno a limitare le autonomie delle amministrazioni locali, ma lo fanno sulla base di presupposti sbagliati -continua Polverini-. Gli autovelox non servono a ‘fare cassa’, ma a moderare la velocità lungo le strade pericolose e a salvare vite. Le zone a traffico limitato servono a garantire una mobilità più democratica nelle zone sensibili delle città. Questo codice, invece, strizza l’occhio all’automobile e alla velocità”.

L’Italia, dunque, va in direzione contraria rispetto a quanto sta facendo da anni la maggior parte dei Paesi dell’Europa occidentale con l’adozione di una pluralità di interventi che permettono non solo di ridurre la velocità sulle strade, ma anche di reprimere realmente i comportamenti più pericolosi. “Gli esempi sono tanti: Londra e Parigi hanno adottato provvedimenti per limitare la velocità delle auto ed è aumentato esponenzialmente il numero dei ciclisti. Nei centri urbani spagnoli il limite di velocità per i veicoli è di 30 chilometri all’ora -conclude il referente di Fiab-. Anche i controlli, generalmente, i controlli sono più capillari ed efficaci, in Germania ad esempio la polizia locale non ha l’obbligo di segnalare la presenza di un autovelox fisso: permettendo così controlli più efficaci e capillari, oltre a una migliore deterrenza”.

La mobilitazione “Stop al nuovo codice della strage” parte dalla piattaforma #Città30Subito a cui si uniscono numerose associazioni e attivisti di tutta Italia. Le mobilitazioni sono in programma da sabato 9 a martedì 12 marzo in più di 40 città da Milano a Torino, da Roma a Bologna passando per Firenze, Napoli, Barie e Aosta. Il calendario completo degli appuntamenti -in continuo aggiornamento- è consultabile online.

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